DU COACHING

Riflessioni anacronistiche di un infortunato.

Riflessioni anacronistiche di un infortunato.

Riflessioni anacronistiche di un infortunato.

Se rompersi è già sinonimo di schifo, rompersi male per un’idiozia probabilmente lo è ancor di più. Quando succede correndo, scivolando malamente su uno stupido sasso di una stupida strada bianca dietro casa: ti fa davvero pensare, specie quando c’è l’aggravante di aver appena concluso un mese in Dolomiti a correre tutti i giorni senza farti niente, con uno streak continuativo che avrebbe fatto invidia al Tommaso del 2017 – anno di gratia, ndr –.


Se possibile, la conta dei danni è peggio della botta morale: frattura del quinto metatarso, il punto fermo di ogni singolo passo che muovi di corsa, responsabile di quella supinazione un po’ esacerbata con cui hai imparato a convivere da anni. “Se non altro non mi sono infortunato a Padel o a Calcetto” è forse l’unica magra consolazione che provi a tirar fuori dalla faccenda, rassegnandoti già a un bel po’ di sedentarietà forzata.

Paco mi perdonerà per questo utilizzo fuori contesto, ma questa è uno dei miei leitmotiv all’inizio di ogni stagione. Quest’anno più di altri.

Era dal 2019 che non ti facevi male seriamente: ricordi bene come avevi affrontato -male- quel periodo, ma eventi come quello o quest’ultimo aiutano a fare quel gradino che ci porta oltre quella concezione un po’ tossica del nostro ‘Io corridore’ che per tanti è ancora un atteggiamento molto normalizzato.

Non siamo quello che corriamo.

Non siamo neanche un Infortunio che ci tiriamo dietro.


Se per un breve periodo la corsa ci è preclusa, non significa che ci sia meno valore in quello che facciamo.

Nè che ci sia per forza un ‘tutto da rifare’.
Non c’è ‘rifare’, c’è solo ‘fare di nuovo’.

Rassegnato, provi comunque a darti una struttura e a tirar fuori qualcosa di buono dalla faccenda:

  • Cerchi immediatamente un parere consono al danno fatto: avere un buon professionista di riferimento è fondamentale per pianificare la progressione di lavoro corretta per rimettere il piede nelle condizioni di esercitarsi, e l’arto completo in quelle di non perdere troppa struttura. Le prime camminate senza stampelle, dopo alcune settimane, ti ricordano subito quanto in fretta alcuni gruppi muscolari si impigriscono: serve un corretto approccio per riprendere senza fare errori grossolani.
  • Appena la fase dolorosa acuta scema, e si ha l’ok del professionista, diventa importantissimo ristabilire con lui un buon condizionamento dei maggiori comparti che inevitabilmente hanno perso forza attorno ad una struttura rimasta inattiva a lungo. Si può gestire tutto a corpo libero, per iniziare, e i primi focus sono sul rimettere il piede a lavoro in maniera più neutra possibile (priva di supinazioni o pronazioni eccessive), e poi di incastrarne il movimento corretto con caviglia e arto inferiore al completo. Così i principali esercizi che si aggiungono alla routine quotidiana diventano:
    • Calf Raise bi-podalico, per richiamare l’Achilleo ad un corretto scorrimento all’interno della sua guaina, e curare l’attivazione del Soleo con un input non-esplosivo;
    • Isometrie a durata progressiva, per lavorare sulla tenuta muscolare di quadricipite e gluteo senza carico articolare;
    • Mobilità generale dell’articolazione della caviglia, per ri-esercitare una stiffness minima in grado di sopperire al carico di camminata (prima) e corsa (poi);
    • Mobilità fine della volta metatarsale, per ristabilire un atterraggio e una digi-flessione completa: all’atto pratico ci si diverte raccogliendo fogli di carta, calzini, palline. Un mix di esercizio contemporaneamente snervante e calmo;
  • Importante in questa fase continuare ad avere feedback continui dal proprio professionista: tarare i carichi, fare passi avanti E indietro, aspettandosi di dover rimescolare le carte più di una volta durante il tempo minimo atteso per vedere dei miglioramenti.
  • Dentro e fuori gli accorgimenti riabilitativi, il tempo inizia a passare in maniera differente, scandendo le fasi del lutto con una strana ricetta a base di insofferenza e accettazione:
    • Rifiuto: 1 mese senza corsa passa veloce, ma lascia il segno: ti sei privato della principale attività di sfogo della settimana, e anche di quella più appassionante (le camminate col cane, ndr). Non ti resta che aspettare e vedere quando puoi mollare le stampelle, e nel dubbio attacchi la prima campagna seria a Baldur’s Gate;
    • Rabbia: inizi a pensare che 2 mesi tutto sommato non sono ancora il Male assoluto, grazie al fatto che è Dicembre e non Maggio, e che per la prima volta in 7 anni il non essere stato preso a Western States sembra una benedizione. La realtà diventa amara quando i primi passi senza stampelle ti rivelano che sei più storto di uno zoppo, e capisci di aver guardato il problema da una prospettiva ridicola: non si tratta di riprendere a correre, ma di riprendere a muoversi in maniera sensata.
    • Negoziazione: all’alba del terzo mese sei entrato nel loop. Un po’ si soffre, ma qualche gioia arriva. Le prime passeggiate senza male, addirittura con una parvenza di dislivello, ti aiutano a vedere il bicchiere mezzo pieno. In più ti convinci che l’Inverno è quasi finito e che quest’anno non ti ha nemmeno pesato troppo: respiri e inizi a pensare che magari la fine è vicina. Quasi ti dispiace dover dedicare meno tempo a Baldur’s Gate.;
    • Depressione: Il 3° mese non si conclude bene com’è partito: e la prospettiva del quarto all’orizzonte diventa un bonus dopo che cadi rovinosamente sulla frattura una seconda volta, a 10 settimane dalla prima. Si commenta da sè, tiri un dado e riporti la tua pedina al 2° Mese: e via di nuovo.
    • Accettazione: Chisura del 4° mese. La seconda caduta ha fatto forse più danni della prima.
      Non rimane che rimboccarsi le maniche e reggere il gioco, rimettendo ordine e accettando che i setbacks sono parte della fase riabilitativa. Di buono c’è che si può migliorare con gli esercizi, e che terminato Baldur’s Gate, si può guardare oltre;

Questo stop intermedio sul percorso ti aiuta a fare un ulteriore analisi della situazione, ti riscopri con più fretta di quanta ne avessi all’inizio della riabilitazione, e dopo averla analizzata la inquadri come quella malefica compagna di viaggio che ti fa caricare di aspettative, fare errori di valutazione, incappare in ulteriori problemi. Quel che è peggio, ti scoraggia dall’impegnarti seriamente, appendendoti a qualche flebile speranza cui dare più importanza rispetto al duro lavoro necessario al rientro.

Dopo gli esercizi, un po’ di sana mindfullness è quella chiave che serve per riportare le cose ad uno stato di quieta freddezza. Bisogna ragionare bene e mettersi in testa alcuni concetti chiave, che ad un passo dalla meta possono bruscamente riportarti indietro di alcuni progressi faticosamente guadagnati.

  • Non sei l’atleta di Novembre, non lo sarai più: è totalmente inutile pensare di riprendere dove avevi interrotto il tuo percorso. Serve uno sguardo nuovo verso l’attività in generale, e un approccio consapevole del lavoro lento e necessario per tornare al punto zero, e di quello altrettanto paziente per poter avere dei miglioramenti tangibili; 
  • Fare Ordine: sapere bene con cosa ripartire fa la differenza tra l’avere un piano e affidarsi solo alla pancia:
    • Volume: la triste verità è che dovrai dargli più peso di quello che speravi a Novembre, quando pregustavi di riuscire a mollarlo un po’ in favore di qualche esercizio veloce in più. Ma al fronte di uno stop di 4 mesi, è fondamentale rimettere in sesto una base solida di ore settimanali su cui poggiare poi il resto del lavoro. Importante mantenere una coerenza nella progressione tra le settimane e i mesi della ripresa, ma se non altro dopo una pausa come questa ogni minuto di libertà con le scarpette ai piedi sa di costruzione.
    • Intensità: la curiosità di un anno come questo che parte in ritardo è programmare le fasi di intensità in maniera differente rispetto alla programmazione ‘classica’ che hai seguito negli ultimi anni. Se Aprile all’orizzonte is the new ripetute invernali, così Luglio (speri) avrà il sapore di Threshold Training quando normalmente gli avresti dedicato solo volumi e gite in montagna. Una prospettiva insolita che obbligherà a qualche adattamento (specie alle temperature, in una parte della stagione) e che speri ti farà apprezzare
    • Specificità: probabilmente l’ultima cosa a cui si riesce a pensare quando si sta distanti dai possibili obiettivi dell’anno. Ringrazi che non dovrai passare Maggio e Giugno a preoccuparti di avere in saccoccia i km per chiudere Olympic Valley – Auburn, e cerchi di individuare qualche possibile meta per l’anno. Appena metti in fila quella, il credo parla chiaro: quelle magiche 6-8 settimane specifiche prima dell’evento non te le deve togliere nessuno.

Se non altro, ringrazi l’infortunio per averti tolto dalla frustrante ricerca di un obiettivo facile per toglierti dall’annuale dilemma da Qualifier. Inoltre, sapere di avere meno tempo per godersi l’anno ti rende più facile capire cosa hai voglia di fare veramente.

Un atleta che non sa dove direzionare la sua stagione, per troppe idee, troppe possibilità o troppi pochi stimoli veri farà sempre fatica a dare un senso alla sua programmazione annuale. Si lascerà rimbalzare di inerzia tra appuntamenti poco importanti, scoprendo tardi di aver buttato via parecchio tempo ed energie mentali che avrebbe potuto conservare per godersi un percorso di preparazione più coerente con il suo drive.

La cosa bella di passare tutto il periodo invernale fermo ai box, è che hai una visione dell’anno -contingentata dalla struttura dei 365 giorni / 4 stagioni – molto più pulita e snella. Improvvisamente, fino ad Aprile tutto inizia a chiamarsi ‘Ripresa’, fino a Giugno ‘Costruzione’, e l’Estate per la prima volta in anni la soprannomini ‘Lavoro’ e non’ Divertimento & Cazzeggio’ come tuo solito, perchè sai già che sarà fondamentale prenderci dentro in maniera un po’ più ossessionata per tirar fuori qualcosa di buono dal periodo più adatto alle fasi specifiche.

E tra Settembre e Dicembre, magari, puoi pensare di concretizzare qualche obiettivo. Gli sfizi vanno, i pallini restano: ripulito il calendario da ‘possibilità’, rimangono i bersagli grossi. Quelli che ti motivano a fare bene, a rimetterti in carreggiata e soprattutto a fare le cose con stimolo e divertimento. Provi un paio di lotterie che normalmente avresti skippato, scegli qualcosa di appassionante, e ti tieni un piano B a fine anno, perchè comunque sai che le cose possono andare anche storte, e non sarà tutta in discesa questa ripresa alla corsa.

Infortunarsi non significa far calare il sipario, e neanche dover per forza guardare al proprio ‘progetto personale’ in maniera limitata.

Significa accettare lo schifo, tirare una linea e ripartire, con la consapevolezza che i passi avanti arriveranno ma in maniera diversa da prima, che non dovrai accontentarti di essere lo stesso di qualche mese prima: avrai da esplorare novità e possibilità che prima non avevi messo nel mirino.
Lungi da me cadere in paternalismi, ma credo sia importante in momenti come questo ricordarsi di non credere di portare tutto sulle proprie spalle: il runner -ultra o meno- ha la brutta abitudine di identificarsi troppo facilmente con lo sport che fa, con il come lo fa, e di quanto riesce a sostenerlo da solo; quando invece ognuno di noi resta un sistema complesso immerso tra pari, atleti e non, che possono renderci momenti difficili meno duri e soli. Ringrazio la maturità ‘atletica’ e gli anni passati tra le due sponde del Coaching per avermi aiutato sempre a uscire da questa identità ‘corsa-centrica’, che rischia sempre di venire un po’ intaccata da eventi avversi come un infortunio.

All’apertura di Marzo mi ritrovo con molta più carica di quella che credevo avrei avuto solo un mese fa, mi ritrovo con un piede un po’ più cooperante ma ancora distante dal 100% della forma, mi ritrovo con un po’ di esperienza più sana di come affrontare uno stop.

E forse, forse, forse mi ritrovo pure
con un obiettivo ambizioso.

Gradatim Ferociter.