I 5 film che ti faranno alzare il sedere dal divano

È arrivata ufficialmente la primavera, e anche se da me si pensa ancora più a sciare che a correre, in tanti avrete sicuramente cominciato ad annusare l’aria di terra scaldata dal sole.

Per riprendere a correre, ma soprattutto cominciare a concentrarsi sugli allenamenti in vista delle prossime gare ci vuole volontà, determinazione, ma soprattutto: motivazione.

L’anno scorso, quando mi sono resa conto che di li a pochi mesi avrei dovuto correre la mia prima ultra, piuttosto che iniziare ad allenarmi, ho cominciato a esplorare il web alla ricerca dei documentari più fomentanti (perdonatemi il termine, ma rende l’idea) sull’ultrarunning. Che poi ero proprio curiosa di capire che cosa fosse quest’ultrarunnig.

Così, ho scovato i documentari che ogni runner dovrebbe avere sulla sua memoria esterna e che vanno rispolverati ad ogni pre-ultra che si rispetti.

Insomma, è finita che la primavera scorsa ho impararto i nomi di tutti gli ultra-runner più fichi della scena, ho imparato tutti i nomi delle aid station di Western States 100, e mi sono fomentata per bene, talmente bene che ho corso fino ad ottobre.

Ecco a voi la lista dei più bei (per me) lungometraggi sull’ultrarunning:

1 OUTSIDE VOICES

Il film che mi rivedrei mille volte di seguito. Parla di Jenn Shelton e del suo modo di vivere la corsa e la natura. La sua voce grida forte e il film regala emozioni pure in bianco e nero. Jenn è diventato presto il mio idolo, immaginate voi il perchè.
Dirtbagging, Bear 100, sbronze post-gara, musica country e un finale inaspettato in una lingua a noi ben conosciuta. Soldi ben spesi davvero. Da vedere prima di un’avventura di fast-packing o durante un estate di dirtbag running, ovviamente in furgone.

Regia di Joel Wolpert

2 THIS IS YOUR DAY

Quando senti una parolaccia uscire dalla bocca di Rob Krar, già sai che sarà un film spettacolare. Questo documentario parla di Rob Krar, Caroline Boller, Karl Hoagland e della loro WS 100. Inizialmente mi aveva turbato il rapporto tra Krar e Lady Krar ma alla V volta che l’ho visto ho cominciato a comprenderlo e apprezzarlo, stesso discorso per Rob. Epico, senza dubbio il film da vedere prima di una gara, meglio se prima della Western States. Non mi prendete per una cattivona, ma a volte le scene su Karl Hoagland le skippo: del resto è stata la giornata di Krar,  non la sua.

Regia di Myles Smythe

3 UNBREAKABLE

Un classicone i cui capisaldi sono l’abbigliamento terribile di Kilian e il suo crollo dovuto al pantaloncino bianco attillato, Jenn Shelton che corre in mutande e la canzone degli M83 all’arrivo di Geoff Roes. Ho avuto bisogno di tempo anche per apprezzare lui e il suo codino, ma ne è valsa la pena. Continuano a lasciarmi perplesse le scene in cui gli americani si cucinano paste asciutte con verdure che non darei nemmeno al cane.

Regia di JB Benn

4 IN THE HIGH COUNTRY

Parla di Tony Krupicka e della sua vita a ravanare per i monti. Come il film su Jenn è un documentario che più che parlare di corsa mostra cosa c’è dietro a questi miti in calzoncini. Stessa regia, ma livello a mio parere, imparagonabile.

Regia di Joel Wolpert

5 THE BARKLEY MARATHONS

La corsa che uccide i suoi figli. La Barkley è una gara fuori di testa ideata da un pazzo visionario. Non basta essere un ultrarunner per correrla, bisogna senza dubbio avere voglia di soffrire tanto. Ma tanto. Tra i vari documentari sulla Barkley quello fatto meglio è disponibile su Netflix.

Regia di Annita Ilkis e Timothy James Kane

Aprite i torrent, loggatevi su vimeo: questi sono dei capisaldi che vedrete e ri-vedrete mille volte. Sono decisamente i film che vi faranno alzare il sedere dal divano ed iniziare a correre.

Ultra-che?

Banana non è un ultrarunner. Non è un ultrarunner e non è tantissime altre cose, ma piuttosto di parlare di chi è vorrei dirvi cosa fa.
Banana è uno che si spara ore di treno per una promessa fatta mesi prima e restata nell’etere. È quel genere (anche se poche persone non credo arrivino a fare un genere) di persone che non ha mai corso una gara di trail o su strada e quando gli chiedi di farti da pacer alla tua prima ultra dice subito di si. Che poi non lo sai nemmeno te che cosa deve fare un pacer ma ti sembra una cosa fica condividere questa esperienza con qualcuno.
Ti aspetta e si spara la pain cave con te, out & back. Non è umano, va avanti a sorrisi e birrette. Corre in silenzio, ma quando inizi a vedere annebbiato lui canta.
Arrivati all’ultimo ristoro dove dovrebbe lasciarti per il loop lui non ha bisogno che tu gli chieda di seguirti per l’ultimo girone dell’inferno, si è già tolto la maglietta ed è avanti a tirarti.
Ti tira tutti i chilometri e prima dell’arrivo rallenta e resta nell’ombra.
E poi beve, salta e balla per tutta la notte.
Questo è Banana. Questo è quello che fa, e questo è quello che ha fatto per arrivare qui.

La prima volta che mio padre mi ha messo gli sci ai piedi avevo circa 4 anni. Non ricordo molto di quei tempi. Mi dicono che non volevo essere lasciato al nido (credo più per paura di morire di fame), e che mi buttavo giù a cannone su qualsiasi tipo di pista. Sono passati trentaquattro anni, e non è cambiato nulla.

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Nel tempo intercorso tra tutti questi anni ho sempre fatto sport, anche di tipo diverso. Così, perchè fare sport è una cosa buona per un bambino in fase di crescita. Ma allo stesso tempo il tarlo di fumetti, giochi di ruolo, e videogiochi, si insinuava e si faceva strada lento ed inesorabile. Poi un giorno ha vinto lui su Frank, il mio amico immaginario con cui costruivo/distruggevo/ricostruivo cose con i mattoncini Lego, da solo nella mia piccola camera che dava su una chiostrina dove raramente (per non dire mai) arrivava la luce diretta del sole.

Quel tarlo però mi permetteva di continuare a viaggiare con il pensiero, di immaginare, di sognare. Fino al punto in cui preferivo più immaginare che fare. Ma cominciare a fare il mio (ancora attuale) lavoro, che ti impone di stare seduto davanti allo schermo di un computer per 8+ ore, non mi aiutò.

Un giorno, non ricordo bene come, mi resi conto che quel tipo di vita/non-vita mi aveva reso sedentario. E pesante. Molto pesante. Il giorno successivo andai a comprare un paio di scarpe da corsa al primo negozio di articoli sportivi che trovai vicino casa. Quel giorno corsi cinque minuti. Fu traumatico. Il giorno dopo corsi un paio di minuti in più.

Qualche settimana dopo correvo una media di dodici km per cinque volte a settimana. Quel primo paio di scarpe mi ha sorretto per più di mille km.

Non sapevo nulla di corsa. Di gare. Di quanto dovresti correre con un paio di scarpe prima che ti facciano più male che bene. E non mi interessava. Era una cosa mia, che facevo solo ed esclusivamente per me. Senza un fine. Senza un perchè.

Più tardi scoprii che, anzichè fare il criceto nel parchetto vicino casa, potevo correre per boschi, in montagna, in tanti altri posti. Per me la montagna era andare con mio padre in settimana bianca, e gettarmi su qualsiasi tipo di pista. Poi ho capito che in montagna si potevano fare tante altre cose. Cominciai ad arrampicare, ed il primo corso che seguii fu quello di alpinismo su roccia.

Come per tutte le cose, per poter ampliare il range di possibilità mi resi conto che dovevo allenarmi. E allora vai in palestra, tira tacche, mettiti sugli strapiombi. Ma la corsa era sempre lì. Non riuscivo più a vedere me stesso senza quel paio di scarpe che mi facevano macinare kilometri, senza un fine. Senza un perchè.

Quel gesto, mettere un piede davanti all’altro, mi ha supportato sempre. Mi ha fatto vedere posti stupendi. Mi ha fatto provare tante emozioni diverse. Mi ha fatto esorcizzare tanti mostri. Mi ha tenuto la mano mentre passavo i periodi più brutti della mia vita. Quelle scarpe erano sempre lì. Non volevano nulla da me. Non dovevo avere un motivo per indossarle.

Qualche anno dopo Eva mi chiede se voglio supportarla in questa sua sfida con se stessa: correre cinquanta km. Cinquanta? Effettivamente tanto tempo prima avevo pensato di provare a correre una maratona per rendermi conto di cosa si trattasse. E non lo avevo fatto. Ma cinquanta km? Come si fa? Cosa ci vuole per riuscire a farlo?

Lusingato, accettai la proposta più che volentieri. Ci accordammo sul fatto che avrei corso una ventina di km nel mezzo di questa fantomatica “gara”, se me la fossi sentita. Credo di poterlo fare, o almeno ci provo. A malapena ho corso 15 km di seguito negli anni precedenti, magari a 20 riesco ad arrivarci.

Prendo un paio di treni che mi portano, dopo un adeguato ritardo, in una città a me estranea. Eva e Simone mi prendono alla stazione e mi portano in mezzo al nulla, dopo una serie non ben definita di curve. C’è un ragazzo che mi viene incontro, mi abbraccia, come se ci conoscessimo da una vita, e mi dice che è super contento che io sia lì. Ci mettiamo davanti a un fuoco con qualche birra in mano ed ho la sensazione di ritrovarmi in mezzo ad un gruppo di amici di vecchia data. Domani tutte queste persone, che vivono parecchio lontano tra di loro, correranno insieme cinquanta km, là in mezzo al nulla. Senza un perchè.

Mi unisco ad Eva dopo che lei ha già corso 10 km. Inizio a correre accanto a lei. Le ore passano. I km passano. Ogni tot ci sono delle specie di ristori autogestiti. In ognuno di questi, persone a me sconosciute mi trattano come se fossi uno di loro. Le ore passano. I km passano. Eva riesce nel suo intento. Corre cinquanta km. Io ne corro quaranta. Quaranta km sono meno di una maratona. Una maratona non è un’ultra.

Se mai qualcuno mi chiederà se corro le ultra* dirò di no. Non è ciò che faccio. Non mi faccio definire da nulla. Nè certamente dal numero di km che riesco a fare mettendo un piede davanti all’altro. Ma da quel giorno mi sono sentito parte di un gruppo trasversale di persone che mi hanno preso per mano e mi hanno fatto sentire parte di qualcosa. Sono stati loro a farmi sentire parte di qualcosa. Senza un perchè. Forse sono loro la definizione di ultrarunning. Forse ciò che rende l’ultrarunning quello che è sono le persone.

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Spin Rs, an unprofessional review

Tutto è iniziato alla mia prima ultra.

Ero nel bosco con un po’ di amici cercando di non sputare sangue già durante i primi chilometri. Ad un certo punto, una ragazza compare da un sentiero. “Non ci credo mi ero già persa”, dice la ragazza sorridente e magrolina. Si unisce al gruppo, anzi, più che altro si mette davanti a noi e credo proprio che vada al nostro ritmo solo per paura di perdersi di nuovo (si, lo farà, ma questa è un’altra storia).

Indossa delle scarpe blu elettrico e fucsia e la sua andatura mostra sicurezza ed esperienza. Poi ha stile. Basta poco e sono ormai convinta che le scarpe che indossa debbano essere le migliori. E poi mi hanno detto che è la donna del Coach.

Lightness Experience 2018 at UTMB - Chamonix
Guess who

Questa è la prima volta che ho visto le Spin Rs e i piedi che le indossano sono – si, l’avrete capito – di MC.

Ho corso solo con delle Cascadia e si può dire che non sia una grande fissata (né esperta) di materiale tecnico, per questo colgo l’occasione al volo quando mi capita di partecipare ad un experience SCARPA durante UTMB. Ci faranno testare le Spin RS e correre con Davide Grazielli (lo conoscete?) mangiare e bere. C’è bisogno d’altro?

Stresso MC da settimane per capire che numero devo prendere di queste scarpe. Tutti mi dicono che calzano strette e vado in totale paranoia. Stresso anche tutte le persone che so possano averle già provate e niente, non riesco comunque a dipanare i miei dubbi.

Apro la scatola e dentro ci trovo un 38. Ma non avevo chiesto un 37.5? Oddio, tu che numero hai Mary? Panico. Però che colori! Io comunque me le metto va’.

Ricevo subito un prezioso consiglio da un atleta DU (quelli si che le distrugg..ehm, provano le scarpe): ‘metti la soletta più morbida che trovi nella scatola’. Detto, fatto.

Così – anche stavolta – mi ritrovo a correre con gli amici, sui sentieri del Bianco. Solo che stavolta piove e probabilmente sembriamo una squadra di calcio.

Lightness Experience 2018 at UTMB - Chamonix

Il numero, sembra sia giusto (siete sollevati anche voi non è vero?) e in discesa riesco quasi a star dietro a MC. Sono appena diventate le mie scarpe preferite.

Lightness Experience 2018 at UTMB - Chamonix

Dettagli tecnici? Chiedete al nostro esperto materialista. Uno con due fibbie mi ha detto che è una scarpa che non regala nulla, e questo, penso sia vero. Precisa, leggerissima e con una suola (la litebase Vibram) che fa restare in piedi anche il runner più goffo (questo posso dirlo con certezza).

Lightness Experience 2018 at UTMB - Chamonix

Così dopo Chamonix, ho deciso di lasciare le Cascadia nel portabagagli ed ho dato alle Spin un tentativo serio: Dolomiti di Brenta. Non immaginerete mai cosa è successo.

No, nessun podio né record. Mi spiace, sarebbe stato un bel lieto fine.

Nessun podio ma anche nessuna vescica, ne storta, e questo posso dire che è un vero risultato.

In più – avrei dovuto immaginarlo guardando MC – ma pare che alla scarpa siano state fatte lamine e soletta, perché in discesa ti portano giù in sole due curve.

#nobeeristoofar

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COACH SAYS

Stavolta frego Andrea e faccio l’esperto io. Che poi farsi consigliare da uno che alle 11 ha una birra in mano… ma a mia discolpa posso dire che non guidavo e che si accompagnava bene coi formaggi. Anzi, si sarebbe accompagnata bene se le giapponesi non avessero assaltato il tagliere (ed il prosecco). Ma parliamo di scarpe…

SPIN RS: dopo l’ottima riuscita della SPIN, c’era attesa per la versione RS che doveva sulla carta rappresentare un’evoluzione più ammortizzata ed adatta alle lunghe distanze.

Ma una volta presi in mano già i primi prototipi, avevo capito che era riduttivo ridurla al ruolo di sorella maggiore, perché la RS va a mettersi in uno spazio tutto suo.

La tomaia ricorda quella della SPIN in tutto, con l’aggiunta di un toe bumper che su sentieri sassosi e tecnici si sente e non poco. Qualche rinforzo in più nella parte mediana, ma la calzata resta comoda e la scarpa flessibile e reattiva.

Le grosse novità sono nell’intersuola e soprattutto nella suola MEGAGRIP con LITEBASE: il nuovo tread è aggressivo e da ancora più sicurezza della versione normale, ma grazie all’intersuola più alta e protettiva, non si sente minimamente. La cosa bella è che grazie al LITEBASE tutta questa protezione e grip non si sente sul peso, che è quasi identico alle SPIN.

Il drop diventa 8 mm, ma alla calzata difficilmente si riconosce perché la scarpa resta molto bassa e stabile: forse solo in discesa si nota che la caviglia resta un po’più alta.

Come si comporta sui sentieri? E’una scarpa meno immediata della SPIN, perché è molto più neutrale. Devi metterci del tuo, tenerla su di giri, ma se perde quella sensazione da Formula 1 della SPIN, è decisamente più protettiva e perdona molto, specie in discesa dove aiuta a lasciare andare senza perdere nulla in precisione e stabilità.

Dove la vedo bene: montagna vera dove si apprezza la protezione e leggerezza, sentieri fangosi dove la suola si comporta al meglio, ma anche sulle rocce dove la precisione si fa gradire ed apprezzare. E se vi capita di trovare quei bei battutoni di terra morbida all’americana, rimarrete sorpresi da come si comporta a ritmi veloci…

Distanza: lo chiedete ad uno che usa le SPIN per fare 160 km, quindi non faccio testo. Ma io la vedo dalle sky fino alle 50 miglia per tutti. Oltre serve un po’di gamba per tenerla attiva ed apprezzare la scarpa: se siete dei muscolari, potete tranquillamente portarla oltre, specie aggiungendo la soletta più spessa tra le due a disposizione per renderla ancora più protettiva.

Difetti: non mi piacciono le scarpe nere. Marta, posso avere quelle verdine la prossima volta?

GTL -La Grande Traversata del Lagorai

Cosa succede a mettere Eva e Molletta (scusa Giulia, ma per noi resti Molletta) in viaggio per una settimana in una delle traversate più belle del Nord Italia? Un tipico esempio di “slow and heavy”: ma chi l’ha detto che per godersi la montagna bisogna sempre e solo parlare di corsa? Il caro vecchio escursionismo, ha ancora un senso? Non saremo tutti troppo presi dalla mania di correre, correre, correre, non importa dove ma importa quanto? Vediamo se il Dynamic Duo vi convince a prenderla con calma, almeno ogni tanto.

Km: un’80ina

Dislivello: un po’ più di 5000

Tempo massimo: il necessario, ma forse, anche un po’ di più.

GTL: effettivamente potrebbe sembrare il nome di un’importantissima gara di ultra trail, ma invece non lo è.

Le uniche cose che accomunano questa traversata con un ultra sono la fatica, la montagna e i sentieri che la rendono in qualche modo più accessibile all’essere umano.

I sentieri.

Mentre procedevo concentrata verso l’attacco della via guardavo i camminatori con i loro zaini enormi pieni di cose probabilmente inutili fermarsi a guardare una pianta, a chiaccherare, a sedersi e bere un sorso d’acqua.

– Dove andate di bello?

– Sul Campanile a scalare.

– Ah ma davvero? Che brave. Io ho le vertigini, non potrei mai. Che coraggiose.

– Ma va… quale coraggio. E poi fidati ci riusciresti anche tu… Voi dove siete diretti?

– Arriviamo al rifugio, poi torniamo indietro. Speriamo che il tempo regga.

Anche se mi godevo l’avvicinamento e la relativa fatica per me i sentieri erano la rampa di lancio per la mia avventura. Aveva un senso percorrerli solo se arrivavano alla base di una grande parete da scalare.

Il girare in montagna fine a se stesso proprio non riuscivo a capirlo, e diciamoci la verità, un po’ lo snobbavo.

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Backpacking is not a crime

Per quanto a me sembri strano ritrovarmi qui, con uno zaino da 15k (?) a camminare per arrivare ad un posto dove dormire, non riesco proprio a capacitarmi di come Giulia abbia deciso di voler esser qui. Non si sta nemmeno lamentando…anzi, sembra divertirsi più di me.

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Giulia che si diverte un casino dopo aver fatto la doccia

Con una partenza alla solita buon’ora (le 15 sono un’ottima ora) portiamo il nostro solito stile anarchico ed approssimativo anche a questa nuova disciplina. Nessuno studio preventivo, cartina comprata alle ore 14.45 e via così. Le giovani marmotte ci fanno un baffo.

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Approcciando il trekking fast and light

I posti sono selvaggi e bellissimi, le persone poche. Se fossi venuta qui a correre con la solita modalità ‘half-ass’ non avrei trovato turisti a cui scucire sorsate d’acqua in cambio di foto ricordo.

Procedo lenta e stanca. Credevo fosse una passeggiata e invece ho la testa china e mangio terra. Giulia sta bene, in discesa corre. Insieme impariamo la tecnica scarafaggio grazie cui riusciamo a rimetterci lo zaino sulla schiena dopo una pausa. Ci ripromettiamo di non fare mai più un giro con uno zaino del genere, ma intanto fantastichiamo su soluzioni per portare più cibo alla prossima. Eh si, mentre da un lato mi riprometto che almeno per un anno sui sentieri ci andrò solo ‘fast and light’, dall’altro con Giulia già si pensa alla prossima volta…

Ci sono voluti sei giorni per arrivare da Panarotta a Passo Rolle, se ci si pensa son davvero tanti. Avremmo potuto andare più veloci, fare tappe più lunghe, ma credo che tutto sommato ci saremmo perse qualcosa.

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Giulia si rinfresca le zampe in attesa del temporale

La fretta, il rientro, quello che ti aspetta all’arrivo comincia a perdere senso e ti ritrovi veramente nel presente. Sei in un non-luogo dove poche cose hanno importanza: il vento che preannuncia un temporale, le ore che mancano al bivacco, i calzini bagnati, il risotto al tartufo liofilizzato tenuto per l’ultima sera.

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Il momento più atteso della giornata

Immersi nel quotidiano, domati dalle scadenze, conquistati dal superfluo, abbiamo bisogno di sporcarci un po’ per riuscire a vedere il bello.

E camminare, alla fine, non è affatto male…

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Home is everywhere
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Trash lovers

 

10 COSE CHE NON POSSONO MANCARE IN UNA TRAVERSATA A PIEDI

– un cambio di percorso

– un temporale spaventoso

– un incontro notturno

– condividere una parte di percorso con un nuovo amico

– la conta delle barrette rimaste

– uso preventivo e sconsiderato di medicinali

– un debito da dover saldare tramite vaglia contratto per panini e birre

– uso indiscriminato di bende elastiche

– una sbronza rovinata dall’arrivo di una famiglia in bivacco

– un bagno senza vestiti e un urlo fortissimo

 

“Seeking Alessandro”, ovvero le lunghe ore della Lavaredo Ultra Trail

Se pensi di leggere un resoconto di una gara di ultra running, dell’emozionante Ecstasy of Gold di Morricone, dell’incredibile alba alle tre cime di lavaredo e dell’arrivo trionfale in corso italia, puoi anche chiudere qui, perché io, la LUT non l’ho corsa.

Però, quando qualcuno mi domandava “dove sei l’ultimo week end di giugno?io rispondevo: “alla LUT”.

Il seguito della conversazione andava più o meno così:

– LUT che?

– dai la Lavaredo Ultra Trail, la gara di corsa.

– ah, ma la corri?

– no.

– e che vai a fare, ci lavori?

– no vado a fare assistenza a dei ragazzi che la corrono.

– ah.

 

“Seeking Alessandro”, ovvero le lunghe ore del Lavaredo Ultra Trail

Dopo aver fatto calcoli improbabili di arrivo degli atleti ad un determinato punto e quanto ci si metterà a raggiungerlo, montiamo in macchina, scendiamo e aspettiamo.

Il Coach guarda l’orologio: “mmm strano che Jimbrosini non sia insieme ai primi. Sarà mica partito con calma?

Il primo ristoro fila via veloce, tra schiamazzi, rapidi incontri e applausi. Stanno tutti bene. Qualcuno ci chiede “quanto sta avanti Alessandro?

Qualcun altro invece:

“ma gli altri dove sono?”

“sono passati di qui un quarto d’ora fa…”

 “dio caro che rabbiosi, sono partiti forte, vedranno…”

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Ale Locatelli parte alla caccia di Canetta

Al lago di misurina non si riesce a scendere dalla macchina da quanto fa freddo fuori. Colpi di sonno e paura di non beccare i ragazzi che cominciano ad arrivare ad intervalli più ampi.

Tommy “the geek” Bassa controlla gli orari di passaggio e menomale che sul sito viene fatto il calcolo di arrivo previsto perché vista l’ora tarda cominciamo a perdere ogni capacità di calcolo. Ci resta solo l’antica tecnica del calcolo a mano ma quelle è meglio lasciarle al caldo nelle tasche.

La notte comincia ad essere lunga e MC vede un sacco di Bette passare che poi in realtà si scoprono essere ragazzi esili e con una cadenza a 120 rpm. Senza esserci presi nessuna droga proviamo l’esperienza dell’allucinazione collettiva e tutti quanti vediamo un panda. Seduto. In macchina.

La scure del Dem comincia a mietere vittime. Torniamo – purtroppo – a Cortina in 5. Un Alessandro con noi. Il panda invece, resta lì.

A Col Gallina sarà una giornata lunga, ma vediamo passare tutti. Sono passati tanti chilometri da misurina (una 50ina più o meno, come dicevo non siamo più in grado di fare calcoli precisi) e non abbiamo idea di come stiano tutti. Ci arrivano informazioni frammentarie e racconti di terrore (esempio: ho visto la Betta, aveva gli occhi rossi grossi come due palle da tennis, secondo me si è ritirata).

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Angelo lungo il sentiero

Hayden Hawks arriva che il ristoro ancora non è pronto e noi ci stiamo stropicciando gli occhi. Passano le prime donne e il primo dei nostri ad arrivare subito dopo la Gallagher è Jimbrosini. È la prima volta che lo vediamo arrivare fresco e non sfatto, senza nessuna scritta in faccia. A Cimabanche si è addirittura cambiato. Sembra uno serio.

Stavolta invece che scommettere ripetute (cioè, ma chi, sano di mente, metterebbe in posta delle ripetute?) il Coach scommette birre sul suo tempo di arrivo. Dovrà poi pagarle.

Arrivano in molti. Svariati Alessandri (non me ne vogliate, vi conosco da troppo poco per ricordarmi i vostri dati anagrafici), qualche Andrea, Angelo, Marcello… insomma, arrivano tutti e il Coach li convince che mancano solo 20 chilometri (che poi risulteranno essere tipo 28) e un paio di strappi. Sappiamo tutti che la prossima salita è un palo nei denti ma non si può far niente di diverso dal mentire. Partono tutti convinti e rincuorati.

Nel frattempo MC ed io stiamo curando la nostra abbronzatura.

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Ecco cosa succedeva mentre noi eravamo a prendere il sole.

Manca la Betta. Non l’abbiamo vista bene e ci sono arrivate notizie che la situazione non è migliorata con il passare del tempo. Il Coach sta ripassando a mente il discorso che dovrà fare per farla continuare. MC ed io partiamo per andarle incontro ed ecco che arriva. Testa e piedi sono andati.

Il Coach le parla, le da una previsione di arrivo e lei prende e riparte. Questi ragazzi credono veramente a tutto ciò che dice il Coach. Sono matti.

Avevo detto che non avrei parlato di arrivi trionfali in piazza Di Bona e mantengo la parola. Ti basti sapere che alla fine, sono arrivati tutti.

Assistere ad una gara è un’esperienza che consiglierei di fare a chiunque. Su svariate ore di gara sono solo pochi minuti che si passano con chi corre, ma sono momenti di qualità. Basta un gesto semplice come un applauso o riempire le borracce per far sentire importante chi corre. In quel momento lui è il primo per te.

Certo, non potrai andare in giro per Cortina con lo smanicato da Finisher e tutti guardando la tua abbronzatura penseranno che sei stato sdraiato su un prato a prendere il sole, (che poi in parte è anche vero) ma basta un grazie sincero a ricordarti quanto sia importante, a volte, esserci.

Crewing it’s a serious thing

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La tipica abbronzatura che contraddistingue la DU crew

 

10 cose che vorresti sapere per la tua prossima LUT

  • Il Buff sta male a tutti. Se mai ci fosse stata una possibilità di inserzione/collaborazione con questo marchio ce la siamo giocata. Scusa Davide.
  • Gli split shorts stanno male a tutti, ed infatti non li indossava nessuno.
  • Il lago di misurina è un posto bellissimo per vedere l’alba. Invece che vederlo durante la Lut, ti consiglio di portarci una bella ragazza (o bel ragazzo) a scambiarvi dei limoni.
  • La moda del momento è la giacca “plaid”. Che MC ha scoperto non essere una parola solo piemontese.
  • A cortina tutti i bar aprono alle 7,30. I migliori alle 9.15.
  • Non incitare la Wolf, ti ucciderà con lo sguardo, poi supererà tutte e vincerà.
  • Per fare assistenza ricordati di portare: spazzolino, crema solare totale e soprattutto abbigliamento da spedizione in quota.
  • Se hai corso con un partner (morosa/o, amica/o, etc) e non vi siete parlati per gli ultimi 20 chilometri perché correvate insieme ai vostri mostri, ricordatevi di prenderlo per mano a qualche metro dell’arrivo.
  • Il Coach sa tutti i modi più fichi per incitare in inglese. Con accento della Squaw Valley. È inoltre bravissimo a mentire su km mancanti/percorsi e orari di arrivo previsti.
  • Se Avril lavigne avesse corso sarebbe stata Kelly Wolf.

Eva