DU COACHING

Confessioni di un runner imprestato alla bicicletta.

Confessioni di un runner imprestato alla bicicletta.

Confessioni di un runner imprestato alla bicicletta.

Ebbene si, è giusto fare outing: non solo ho iniziato a pedalare, e con soddisfazione. Sono addirittura finito a fare un evento gravel, e la cosa scabrosa è che mi è piaciuto. Anzi, lo rifarò.

Chi mi ha portato sulla startline di Veneto Gravel, è la stessa persona che mi ha convinto a comprare una bici (e in generale a iniziare numerose attività costose): il mio diabolico cognato Janpo.

Eppure nella mia mente ci stava bene. Ho passato un inverno in cui ho corso tanto, e anche bene, ma sapevo di non essere pronto a gareggiare presto perché il mio corpo si stava ancora riabituando a certi carichi: andare a fare Veneto Gravel mi è sembrato un buon diversivo per avere qualcosa di stimolante, di nuovo, senza perderci la testa. Sapevo che se mi fossi messo in testa di fare una gara di trail, avrei avuto certe aspettative e avrei di conseguenza forzato la mano: la saggezza dei (quasi) cinquant’anni.

A gennaio avevo fatto un’altro evento da 120 chilometri che, a parte una bella nuotata in una pozzanghera profonda 30 cm, mi aveva lasciato curioso di capire cosa c’era oltre. Come funzionavano le cose quando di solito la gente scende, ritira la bici in garage e va a cena.

E così, mi sono iscritto. Nonostante un certo timore, quello che ti tiene attento, non sono andato in paranoia. Ho continuato a correre, e in mezzo ho messo quattro lunghi da 100 km circa, tutti abbastanza allegri, con qualche blocco pesante da mezz’oretta in soglia piena infilato in mezzo, e tre uscite del mercoledì sera con la crew di Bike Station, che sono servite più che altro a pomparci tra di noi e ad avere una scusa per ingoiare 2/3 pizze. Mi dava una certa sicurezza sapere che nella testa sapevo come gestire 30 ore di sforzo, che saremmo stati in tre a fare gruppo e che nel momento difficile potevamo sempre pensare a Stefano sulla 700 km che stava sicuramente trovando più lungo. Almeno forse.

La paura era quella di crollare muscolarmente, di ridurmi ad andare avanti ai 10 all’ora o peggio ancora di avere braccia e collo devastati. E così ho rivoluzionato un po’la mia routine di forza, alternando due schede incentrate su movimenti unilaterali con sempre attaccata una routine di brace mirata alla resistenza alla torsione laterale ed esercizi in tirata per simulare lo sforzo di restare in sella messo decorosamente.

Alla fine io, Janpo ed Andrea, ci siamo ritrovati a Bassano venerdì pomeriggio, abbiamo visto partire Stefano e poi una volta recuperato il photographer extraordinnaire Davide Biondani di Posta Cycling, con cui condividevamo casa, abbiamo deciso di ammazzare il tempo concedendoci un sano “mezzo e mezzo” alla Distilleria Nardini. Fatta la spesa Janpo è passato in consolle per la sua leggendaria cacio e pepe, 1kg di pasta per quattro, e nel mentre abbiamo fatto andare un pacco familiare di patatine e due di taralli assieme ad una sana dose di Moretti. You call it carboloading, we call it daily grind.

Sveglia, colazione, ultime sistemazioni, questo si, questo no, e via a timbrare. Destinazione conosciuta, esito ignoto.

Startline con Andrea

La prima parte è andata via liscia: lungo argine e poi ciclabile con un miliardo di attraversamenti. I chilometri andavano via, interrotti solo da una o due pause caffè e svariate pause fisiologiche. A Treviso ci siamo presi qualche momento in più per un panino ed uno stop supermercato, e poi al punto di controllo ho rivisto Andrea De Pieri con la sua piccola, cosa che mi ha fatto molto piacere e dato una certa carica, anche perché il tratto uscendo da Treviso è favoloso ed è volato via bene tirando decisi. Ad un certo punto abbiamo iniziato a respirare aria di mare ed è sbucata la laguna: il terreno scorrevole e una certa esaltazione mistica ci hanno fatto mangiare il tratto fino a Jesolo restando sui 30 km/h. Forse troppo? Forse, sta di fatto che dopo aver testato la simpatia lagunare nell’attraversare un ponte di barche (“Intanto buongiorno”) siamo arrivati al punto di controllo di Caorle belli fatti e pronti a recuperare un po’. Ingurgitato un bel gelatone e abbiamo osservato con ammirazione e malcelata invidia che qualcuno della lunga era già passato. A mezzogiorno. Beasts. L’atmosfera festosa del ristoro invitava alla fermata, ma dopo mezz’oretta abbiamo forzato la mano e ci siamo mossi, per poi rifermarci quindici minuti dopo sotto la bella chiesetta in cima al molo.

Finalmente mare. O laguna.

Usciti da Caorle (160 km fatti) ci siamo accorti che ci muovevamo ancora decisamente bene, lo spirito era alto ed il percorso bello, fino a diventare bellissimo nel single track lungo il fiume che portava a Oderzo e poi a Conegliano. Rapito dalla poesia, mi si è spenta la luce della ragione e mi sono messo davanti a menare. Fatto sta che ancora prima delle sette eravamo a Conegliano, dove ci siamo presi una pausa all’Aldi prima di affrontare le prime salite ed il tanto atteso (e temuto) cambio di paesaggi. Fatto sta che immergerci nelle colline del prosecco ci ha fatto bene, e abbiamo ancora tirato fino a Vittorio Veneto prima di prenderci la nostra tanto attesa pausa pizza.

Tanti sanno che le pecore sono il mio animale preferito. Tramonto, singletrack pettinato e gregge di pecore: momento clou della giornata.

A tutti gli effetti è stata la prima vera sosta, ci siamo seduti e rilassati e soprattutto resi conto che avevamo fatto 250 km in poco più di 12 ore, stando relativamente bene. Le cose si mettevano bene. Ci siamo sistemati per la notte, sistemato bici, luci, batterie e varie e siamo ripartiti. A dir la verità un po’appesantiti dalla pizza ed un po’rallentati dalla lunga sosta, ma mentalmente era un break che aspettavamo da tempo. Non ci ha aiutato il fatto che la salita più dura fosse immediatamente dopo la sosta, ma macinati bene anche i 25 km di salita, intervallati dagli splendidi tratti sul lungolago di Santa Croce abbiamo toccato il punto più a nord del percorso attraversando il fiume Piave. Arrivati al punto di controllo di Belluno il sonno e la stanchezza (km 300) iniziavano a farsi sentire: forse avremmo dovuto fermarci qui a dormire due orette, invece abbiamo ancora provato a forzare e passare Belluno, ma qualche evidente segno di troppo sonno ci ha convinto a tirare fuori i sacchi da bivacco ed infilarci sotto un portico nel paesetto di Mel, dopo 320 km. Nonostante il freddo e le panchine di marmo, siamo crollati e ci siamo goduti due ore di pseudosonno, a dimostrazione di quanto eravamo fatti.

Pizza break, getting ready for the night.

Una sontuosa colazione in un bar di bikers ha riportato un minimo di calore in una mattinata decisamente grigia ed umida. Però il paesaggio tra paesini e verdi vallate, con qualche bel tratto di gravel infilato (mai a forza, percorso veramente logico e filante) facevano passare i km. Finalmente, con la bellissima discesa delle scale di Primolano entravamo nella valle del Brenta e dirigevamo la ruota verso Bassano e l’arrivo. Finite le difficoltà, se non scansare nell’ultimo tratto le persone a passeggio sul bel lungo Brenta, ci ritrovavamo dopo 380 km ancora a menare decisi. Il passaggio sul ponte (con bici a spinta, sia chiaro) e l’arrivo alla villa Angaran, mettevano la parola fine al nostro viaggio: pacche sulle spalle, telefonata a casa e poi birretta e ristoro finale (buono, ottimo, bravi, bis). Al sole, seduti senza dover pedalare, in un’atmosfera rilassata e tranquilla, ci concedevamo ancora una birretta e un veloce check della posizione dei nostri soci Stefano e Davide, un messaggio alla mitica Betta che era sulla Lake, prima di tornare al furgone di Andrea, caricare le bici e rimettersi sulla strada di casa, ad un ora decente, oltretutto.

Finisher

Mi è piaciuto? Tantissimo.

E’stata una vera scoperta, avevo davvero bisogno di qualcosa che mi tenesse sul filo del rasoio e che comunque prevedesse anche il temuto fattore DNF. Invece, è andata, anche grazie al fatto che in tre ci siamo davvero supportati e sopportati a vicenda. Ci eravamo dati il target di provare a muoverci in maniera efficiente, e per quanto efficiente non sia proprio tangibile come un risultato cronometrico, ai miei occhi ce l’abbiamo fatta alla grande. Mi interessava la “gestione” di un certo tipo di sforzo, e penso di esserci riuscito bene.

Lo rifarò? Sicuro.

Nonostante il tipo di impegno, il post Veneto è stato ottimo: il giorno dopo un po’di doms ai quadricipiti, ma niente che mi impedisse di andare a correre con Mari la sera. Ho visto che con un po’di uscite in bici, senza stravolgere la mia routine di allenamento di corsa, si può decisamente fare. Ed è stato in primis divertente, non un semplice massacro gratuito. Resterò su questo tipo di distanza perché come nella corsa ho il terrore di andare oltre per la gestione del sonno: sotto questo punto di vista, tanto tanto rispetto a chi ha fatto la 700, perché combinare così tante ore in sella con la stanchezza accumulata ed il sonno, non è per niente semplice.

Si può migliorare? Come sempre.

Col sennò di poi, c’è sempre qualcosa che potevamo affrontare diversamente. Una cosa su tutte, avrei evitato soste così lunghe in due o tre occasioni e piuttosto inserito qualche break in più da 10/15 minuti. Ma volevamo che rimanesse un piacere e ad un certo punto, anche mentalmente, aspettavamo di poter staccare dal “dover pedalare”. I ritmi, invece, erano quelli giusti: avessimo forzato la mano, avremmo pagato sicuramente. Dal punto di vista alimentare/idrico, è filato via tutto liscio: ho cercato di mangiare qualcosa ogni mezz’ora, principalmente barrette e qualche gel, tranne che dopo le soste lunghe pizza/panino/gelato dove aspettavo sempre un oretta prima di riprendere. Facile e gestibile, rispetto alla corsa si possono buttare giù decisamente meglio molte più calorie. Siamo andati via “leggeri” ed abbiamo usato più o meno tutto quello che avevamo dietro, segno che ci avevamo preso.

Nello specifico, questo è quello che avevo:

– la bici è una 3T Exploro Primo, montata con GRX x 2, perché a me piace così. 46/30 e dietro 11/42 che è anche esagerato, un 11/36 basta e avanza, specie su questo tipo di percorsi. Ma anche nei tratti filanti non mi è mai “mancato” niente, quindi non cambierò pignone per sfizio. Copertoni Specialized Pathfinder da 38 che mi sono fatto finalmente montare tubeless da Andrea prima di Veneto Gravel: differenza abissale, perché non l’ho fatto prima chissà. I Pathfinder sono sicuramente scorrevoli, ma va detto che a certe velocità in curva senti spesso la ruota scappare: quando finiranno, proverò i Pirelli Cinturato che montavano i miei soci. Il resto, tutto perfetto. Certo che un paio di cerchi di carbonio…

– avevo una borsa centrale Apidura, dove avevo infilato tutti gli attrezzi (multitool, pompa, una camera d’aria, forcellino/falsa maglia e tacchette delle scarpe di ricambio + lubrificante e uno straccio), parte del cibo, il vestiario in uso (buff/guanti/giacchina leggera) oltre alle due batterie della luce ed il powerbank ed un sacchettino con presa charger e una frontalina Black Diamond Sprinter d’emergenza. Nella borsa sottosella avevo invece il vestiario rimanente, il sacco da bivacco Black Diamond Twilight, la luce di scorta con relative pile ed il resto del cibo. Set up super compatto, la bici era ancora maneggevole e reattiva.

– abbigliamento: intimo, maglia maniche corte Core, salopette cargo Core e giacchina antivento leggera Brevet di Rapha, manicotti (usati al mattino/sera) e gambali leggeri (messi solo nelle quattro ore più fredde), giacchina imbottita supercompattabile (messa per dormire e nelle due ore seguenti) e guscio antipioggia Black Diamond Fineline (non usato). Calze degli amici di Cascada e guanti e cappellino di Posta Cycling (eccellenze italiane). Casco POC e occhiali a cui ho cambiato lente chiara per la notte e poi tenuto per pigrizia. Scarpe Fizik Vento Overcurve che si sono dimostrate comode e portabili anche dopo 20 ore, quindi promosse.

– elettronica: io e Janpo abbiamo comprato una luce all’ultimo minuto, in superofferta, da Lordgun e una batteria di scorta. Ci credevamo così poco che entrambi abbiamo portato anche la nostra vecchia luce con relative batterie, invece si è dimostrata eccellente: la tenevamo al minimo tranne che nei tratti impegnativi o in discesa dove la mettevamo al secondo step. Al mattino, per sfizio, l’ho lasciata accesa per vedere quanto durava ancora, e mi si è spenta solo arrivato a Bassano. Con una sola batteria! Dietro mi ero comprato la Lezyne Zecto che dura in eterno. GPS Garmin 520 plus che dopo 8 ore ho attaccato al powerbank e poi ricaricato durante la sosta pizza: ha fatto il suo, ma forse l’investimento sul 530 merita se pensi di fare eventi di questo genere e non vuoi svenarti, per la durata eterna e anche perché quando è sotto powerbank, il 520 tende a sbroccare ogni tanto. A Belluno, se non ci fosse stato Janpo a navigare, mi sarei perso nei meandri della città, e non parliamo di New York.

– cibo: una quindicina di gel Powerbar (riportati a casa una manciata) ed una ventina di barrette Powerbar, a cui ho aggiunto quattro barrette proteiche comprate all’Aldi. Sono partito con due borracce piene di Clusterdextrin Why per non mettere solido sulla colazione e per strada ho mangiato due panini al formaggio, un gelato, una pizza alle verdure e bevuto due Coca Cola, più colazione con cappuccio e brioche alla crema. Non ho fatto il conto delle calorie preciso, ma la strategia di base era mangiare qualcosa ogni mezz’ora e ogni tanto concedersi un solido per dare soddisfazione, senza troppe menate. Ha funzionato.

Una risposta

  1. Saranno gli anni e i km ,anche io punto a qualche cosa del genere.
    Ho difficoltà a trovare compagni, o sono già “pro” o la pensano una pataccata. Tengo duro e cerco di buttare dentro km.

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