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Non c’è un altro posto in cui vorremmo essere a fine Giugno (a parte Auburn, ovviamente), perchè non c’è un altro evento di Ultra Trail in Italia che sia riuscito a farci raccogliere così tanti ricordi, felici e sofferti, come Lavaredo Ultra Trail. Anche questa edizione la Crew di DU torna tra le Dolomiti ad assistere atleti e amici, in quello che si prospetta diventare un appuntamento cardine di quest’ anno di Coaching.

‘Sempre caro mi fu quest’ ermo colle’ – Coach G. prepara la lunga giornata di crewing a Col Gallina.

Lavaredo Ultra Trail non richiede presentazioni vista la storicità che ricopre nell’ambiente delle Ultra: è un evento delle grandi tradizioni che comunque ha visto una sua evoluzione negli anni, configurandosi come una tappa, finale o intermedia, sul cammino di preparazione di tanti atleti ogni anno. Con le distanze canoniche che spaziano dalla 20 ai 50 km (aka Skyrace e Cortina Trail) fino ai 120 km (la LUT), arricchite negli ultimi anni da una 80 km (Ultradolomites) e una veloce 10 su strade bianche, è a tutti gli effetti un evento che raccoglie corridori di ogni livello e aspirazione. Ci aggiungiamo che la difficoltà media dei percorsi è bassa e che tutti i tracciati consentono di assaporare i migliori sentieri dell’arco Ampezzano, e il risultato è una partecipazione massiva e la evidenzia come gara da Bucket List.

L’avvicinamento all’evento

Un evento con queste premesse ci ha convinti 4 anni fa a creare un percorso di preparazione particolarmente dedicato, sia per gli atleti del coaching personalizzato 1-1 che per i partecipanti ai programmi di allenamento del Cortina Training Plan. In entrambi i servizi abbiamo accompagnato gli atleti, rispettivamente in maniera più o meno personalizzata, in un approccio diretto alle gare di Cortina, grazie alla particolare posizione sulla metà anno che consente un lavoro mirato di 6 mesi. Studiato a puntino, sia nelle proposte di gare di avvicinamento che degli opportuni blocchi di allenamento pensati in direzione di una gara di media e lunga distanza in Dolomiti, a fine Giugno, abbiamo arricchito il percorso di avvicinamento con

  • 5 Webinars dedicati ai maggiori aspetti della preparazione aperti a tutti gli atleti interessati all’evento, dallo Strenght & Conditioning all’integrazione per sport di resistenza, dalle considerazioni sui materiali più adatti fino ad una curata analisi del percorso di ogni distanza e delle casistiche di gestione del giorno gara.
  • Long Runs di gruppo, due, per fare dei lunghi preparatori specifici a Febbraio e Maggio: poter vedere gli atleti di persona muoversi sui sentieri, fare valutazioni assieme sugli step fatti e quelli ancora da aggiustare in vista dell’evento di elezione, e poi per il motivo più importante: fare gruppo e creare quella facilità di dinamiche e situazioni familiari che fan volare le ore di allenamento.
  • Training Camp, quest’anno nell’Alto Garda, dove con più di 30 atleti abbiamo finalizzato gli ultimi aspetti tecnici dell’avvicinamento alla gara e messo assieme un buon weekend di volume tra le vette trentine.
Alto Garda, tra alpeggi, sentieri agili e salite impegnative. La quota neve ci ha tenuti distante dalla Dolomia, ma c’erano tutti gli ingredienti giusti per un LUT Training Camp. Pic: Coach Ambrosini

Specificità

Rispetto agli anni scorsi, quest’anno abbiamo posto particolare attenzione sullo sviluppo per tutti di un piano d’Integrazione flawless approfondito con gli interventi di una professionista del settore (say hi to Sara Toloni – Biologa Nutrizionista). Calcare sull’aspetto della nutrizione dentro e fuori il giorno gara è sempre stato un nostro pallino, quest’anno con un accento particolarmente marcato dopo che negli ultimi tempi sul tema c’è stata sempre più discussione (e confusione) alla portata di tutti, con le dovute criticità che la materia si porta dietro. Ci siamo impegnati a tenere le cose utili nel piatto ed eliminare leggende metropolitane e facili imprecisioni, per un allenamento che passasse anche da una giusta integrazione in corsa, e non solo nel volume o la qualità. La collaborazione a stretto contatto con Precision Hydration ci ha aiutati ad avere un supporto solido su cui porre basi non solo di teoria, ma anche di comune pratica nel giorno dei lunghi: provare questo, aumentare quel tipo di introito, tentare un approccio più liquido o uno più solido, ecc. Avere un prodotto affidabile ci ha dato una mano a poter dare una proposta concreta, senza forzature o proposte univoche calate dall’alto.

Coach Mari knows her chews.

Ma visto che non solo di carboidrati vive l’uomo, ma anche di pasti a base di volume e dislivello, una grossa parte della specificità della preparazione è passata attraverso il guidare gli atleti attraverso possibili scenari di approccio, fatti a volte di diverse gare di avvicinamento, altre volte di nessuna: ognuno ha fatto un percorso sui generis. Denominatore comune: arrivare a ridosso delle settimane e mesi finali con la voglia di passare ore sulle gambe, portare a casa km negli ambienti giusti e ‘testarsi’ in quei frangenti che il giorno gara saranno messi maggiormente sotto stress. Ultradolomites con la sua prima metà dal dislivello molto concentrato, LUT120k con la duplicità di sezioni corribili alle prime battute, e più muscolari nelle ultime, Cortina Trail con la possibilità di essere l’unica gara a percorrere la temuta Val Travenanzes da freschi. Ogni gara ha avuto una singola attenzione nella gestione delle dovute intensità, e quel che conta di più, nel saper dare il giusto taglio alla costruzione del tempo all’intensità-gara, che chiaramente varia da atleta ad atleta e da distanza a distanza. Non abbiamo la presunzione di aver dato le risposte a tutte le situazioni che ognuno dei nostri atleti si ritroverà ad affrontare tra una settimana, ma di sicuro abbiamo costruito una cassetta degli attrezzi solida da cui prendere il giusto strumento: e non solo dalle fasi finali dell’allenamento. Se ognuno dei nostri guarderà indietro ai mesi passati, riconoscerà che dove si trova adesso è il frutto di tutto quello che è venuto prima: dalla costruzione del volume invernale alla strutturazione dei lavori di forza e velocità, dal lungo blocco di Threshold Training per aumentare la resistenza alla fatica alle fatidiche rifiniture per dare a tutti quella fluidità di corsa che farà mettere il piede sulla start line col sorriso e il cuore leggero:

You’ve done the work…Now, you need to know that shit’s gonna happen. Andy Jones-Wilkins con una delle sue granate pre-WS.

DU Crew e weekend di gara

Non c’è percorso che si rispetti senza una degna conclusione: anche quest’anno tutti i coach tornano sul luogo del delitto per assistere gli atleti (e ogni tanto anche le improvvisate crew di amici e familiari) a sopravvivere al weekend Cortinese. Con circa 80 atleti distribuiti sulle varie distanze, si prospettano giornate (e notti) di sudore per tutti e 7 i coach. Si inizia dalle tradizioni più importanti:

  • Giovedì pomeriggio chiacchiere, fun run, e per qualcuno birretta post corsa, con ritrovo e partenza dal Mini-Golf di Cortina. Ci si rivede, si registrano un po’ di vibes dell’ultimo minuto e si smollano i nervi con qualche facile km in compagnia. E sul finale si porta un po’ di tifo ai compagni della Skyrace 20 km. Poi ognuno per sè, specie chi corre al mattino del giorno dopo.
  • Venerdì mattina e primo pomeriggio sono dedicati al fu Cortina Trail, con coach presenti in vari punti chiave del percorso. Assistenza non concessa, ma metteremo in gioco le nostre migliori pacche sulle spalle, e un po’ di cazzimma all’occorrenza.
  • Venerdì sera e Sabato notte, presenti in partenza ma soprattutto a presidiare la Aid Station di Ospitale, per guardare tutti entrare in gara vera con le migliori intenzioni, e magari senza saltare il ristoro. Chi lo sa, magari da qualche parte della notte un Coach si presenterà anche a Misurina, magari no: occhi aperti.
  • Sabato: safari full-contact. Da Cimabanche a Col Gallina fino a Passo Giau, il diabolico piano della DU Crew si concretizzerà ne Il giorno più lungo, per dare a tutti il giusto supporto al momento opportuno. E a ricordare l’adagio ‘A Col Gallina vietato stendersi!’.

Like glue like crew

Crediamo nel valore di quel che offriamo a partire da tutto quello che mettiamo nel concreto di ogni singolo giorno di coaching, in ogni feedback dell’afterhour, in ogni dato sviscerato da Training Peaks. Ma tutto questo non sarebbe possibile, né sufficiente, senza quel legante fondamentale che da spessore al nostro lavoro. Cortina, a fine Giugno, per noi allenatori è il setting perfetto per condividere lo stesso commitment che chiediamo ad ogni singolo atleta nei mesi precedenti alla gara. Gestire ups e downs in una giornata come questa esce molto più facile se al tuo fianco hai qualcuno di fidato che ti ha accompagnato alla meta: l’Ultrarunning è uno sport di testa ed emozioni, a vari livelli, prima di essere una mera disciplina di resistenza. Avere del supporto emotivo aiuta a superare quel momento difficile, magari anche solo fatto di pochi secondi in una gara di 20 ore, senza finire a raschiare il fondo del barile, da solo. Abbiamo dato più calci in culo a Col Gallina negli ultimi anni che in tutte le altre gare messe assieme cui partecipiamo, perchè sappiamo bene che momento delicato possa essere. Abbiamo aspettato atleti ai cut-off e li abbiamo spinti avanti di forza per non gettare alle ortiche una giornata dall’altissimo effort fisico e mentale; per non parlare delle imbeccate alle drop bags di Cimabanche o al final push infuso a Passo Giau. Sentirsi parte di una famiglia così grande, ne siamo certi, ha sempre dato quella marcia in più che vogliamo offrire, e ha dato risultati validati anche dal rate di finishers alle gare: anche quest’anno si mira al clean sweep!

In un anno di Trail ci sono decine di weekend di gara, dentro e fuori Italia, che meritano di essere assistiti e vissuti; Cortina non è tutto rose e fiori, ha le sue criticità e contraddizioni che fanno storcere il naso a molti puristi del nostro sport. Eppure sfiderei chiunque a venire ad uno dei principali ristori di queste gare e non restare affascinato dagli esempi di gaso, determinazione e grinta che suscitano gli atleti coi loro accompagnatori. E noi siamo 100% pronti a mettere la nostra parte.

Preparate la sedia da campeggio e la crema solare.

See you in Cortina.

Nuova incursione nel mondo dell’ultracycling: questa volta Stefano Rao, con l’aiuto di Coach D, ha preparato Seven Serpents, una brutta bestia sotto tutti i punti di vista. Mesi di uscite, sudate sui rulli, pianificazione meticolosa, idee malsane, e confronto. Com’è andata? Leggetevelo con le parole di Stefano.

Il primo evento Ultra non si scorda mai!

Avevo già partecipato a qualche evento unsupported su distanze di 400 e 700km, così, un po’ ingenuamente, nel Dicembre scorso decido di iscrivermi alla 7S 2024.

Nello stesso momento, scrivo un wa a Davide: “mi sono iscritto.. ho bisogno di te!”.
Credo sia stata da subito una sfida per entrambi, per obiettivi diversi, ma con il medesimo entusiasmo.
Non avevo mai seguito un programma di allenamento specifico finalizzato ad un evento. Compatibilmente con la quotidianità, ho seguito il piano strategico ed i suggerimenti di Davide, consapevole che altrimenti avrei concretamente rischiato di non chiudere il mio primo vero Ultra.

Seven Serpents è una gravel ride unsupported di 850km e 16.000 m d+, con partenza da Lubiana e arrivo a Trieste, si attraversano le foreste slovene prima di arrivare sulle coste rocciose croate, per poi sbarcare sull’Istria prima di riscendere verso la città della bora.

Come la maggior parte di questi eventi, i partecipanti non hanno a disposizione la traccia gpx sino a due settimana dalla partenza. Tutte le informazioni per iniziare a studiare il percorso si riescono a recuperare sul web attraverso i contenuti pubblicati per le edizioni precedenti. Ma non hai mai certezza che non vi siano varianti del percorso e il timore ed il rispetto per una traccia come la 7S, hanno caratterizzato tutti i giorni di avvicinamento all’evento.

Il piano di allenamenti proseguiva senza imprevisti. Nessun tipo di risentimento fisico aveva condizionato il mio percorso, e questo era per me già un primo successo. Durante altri eventi programmati prima della 7S mi accorgevo del miglioramento di forma e la conferme di Davide (nelle sue letture meticolose dei dati su TP) mi davano l’entusiasmo giusto per continuare.

Ma lo sappiamo tutti, in questi eventi la condizione mentale è quella che determina le condizioni per arrivare in fondo. Ogni evento è caratterizzato da fattori esterni che non ti permettono di pianificare ogni momento. Ma è proprio quello che mi elettrizza il cervello, che mi spinge a voler andare sempre un po’ più oltre.

La componente relativa alla preparazione fisica era ormai consolidata, il programma proseguiva senza intoppi. Era il momento di iniziare a trattare il tema alimentazione. Dopo aver seguito gli interessantissimi i webinar di Sara, i suggerimenti di Davide furono la voce che durante le mie ore di pedalata mi ricordavano di mangiare, mangiare, mangiare e bere. Arrivammo a dedurre che 50g/h di carbo sarebbero bastati a mantenere una forma costante associata ad un’idratazione di circa 1l/h.

Premesse e condizioni ottimali, mi restava solo da definire l’obiettivo: finire la 7S in 4gg!

Il 12/05 alle 7 del mattino parte la 7S, finalmente l’attesa è terminata e mi aspettano i primi paesaggi pazzeschi in terra slovena.

Decido di partire carico di cibo, sia nello stomaco sia in ogni angolo utile tra zainetto camelbag e borse. Paninetti con formaggio e miele, gel Precision e haribo incastrati ovunque. Per i primi 200km non volevo avere troppi pensieri relativi alle scorte di carburante. Le prime rampe impervie con pendenze infide (raramente inferiori al 12%) sfaldano il gruppone di 150 partecipanti. Tutto scorre, mi sento bene e la compagnia funziona.

Ma il primo temporale del tardo pomeriggio rimette in discussione l’ipotetica strategia di voler pedalare sino al km 300 circa. Dopo due ore di acqua un gruppo numeroso decide di fermarsi nell’ultimo paese prima di imboccare lo sterrato verso il Parco Nazionale Risnjak, che oltre ad essere celebre per la sua numerosa popolazione di orsi, è noto come territorio privo di civiltà. Proseguire per altri 100km sotto la pioggia ci fa desistere.

In quel momento le priorità cambiano. L’esigenza principale era quella di asciugarsi i piedi per poter affrontare la foresta di notte con 4°C. Io e Stefano (un ragazzo con cui ho condiviso molti momenti), per la più classica botta di culo, anziché una tettoia troviamo una stanza in una casa di un paese in mezzo al nulla. Sul consiglio di Davide: “ottimizza al meglio le soste”, decidiamo di asciugarci calzini e dormire un paio d’ore.

Si riparte con un caffè lungo ed i piedi asciutti verso la foresta buia e fredda. Osservati dai suoi abitanti la lascio alle prime luci dell’alba. I primi 350km e 6.000 m d+ sono stati fin troppo scorrevoli, ma in avvicinamento a Krk le cose sarebbero cambiate e l’hike a bike avrebbe testato le prime stabilità mentali oltre che fisiche ovviamente.

Alle 10:30 (27h circa dopo la partenza), dopo un interminabile single track fangoso, l’unico desiderio era quello di un piatto di pasta gigante. Alla prima trattoria, inspiegabilmente visto l’orario, ordino 250g di spaghetti bolognesi (lascio immaginare a voi i colori, i profumi ed il sapore della tradizione), ma vi assicuro che è stato uno dei piatti di pasta che ricorderò con infinita gratitudine. Supermercato di fronte per le provviste e via andare.

Non avevo dubbi in merito, ma quando il piatto di pasta “arriva alle gambe”, i km iniziano a scorrere con un’altra andatura. Sino ad uno dei passaggi più logoranti di tutto il percorso: sentiero da risalire per 250m di dislivello con la bici a spalle su rocce calcaree appuntite.

Un paio di gel e giù verso la costa, per poi risalire su rampe al 18% per poi riscendere sino al livello del mare e così via per tutta Krk sino a rendersi conto di poter prendere il penultimo traghetto delle 22 diretto a Cres. Traghetto voleva dire riposo (25 min) ma anche i successivi 140km di percorsi isolani in buona parte su asfalto, che avrebbero contribuito a riposare polsi e a caviglie che le discese sconnesse iniziavano a mettere a dura prova.

Passate le prima 40h, iniziai a dare un’occhiata al live challenge. Al km 510 mi resi conto di essere in 12esima posizione: ero partito con l’obiettivo di chiudere la 7S in 4 giorni, ma a chi non piace sognare? Ad un mio amico avevo confidato che un piazzamento nelle top 20 sarebbe stato qualcosa di pazzesco. Alle 23:30 davanti ad un panino grande come il mio casco, iniziai a credere di poter realizzare il mio sogno.

“ottimizza al meglio le soste” = digerire il panino in orizzontale, quindi un paio d’ore di riposo dentro il bivi prima di ripartire per il giro dell’isola. Perdo il traghetto verso l’Istria e vengo raggiunto da un paio di ragazzi che viaggiavano un’ora dietro me. Ma, un altro piatto di pasta (questa volta in bianco e particolarmente scotta), mi metterà nelle condizioni di proseguire al meglio per superare gli ultimi 4000m di dislivello.

Tutto procede al meglio, ma e quando ti senti troppo bene che rischi di esplodere. L’avvicinamento all’ultimo checkpoint a circa 150km dall’arrivo mi vede pedalare su un percorso collinare, che non mi sembra essere particolarmente energivoro. Ma tardo a mangiare qualcosa di solido ed un gel preso in ritardo mi spegne la luce sino a quando un distributore di benzina, ai piedi delle ultime due salite impegnative, è fornito di sandwich confezionati, snickers e bibite fresche. Mi fermo mezz’ora e faccio il pieno per affrontare le ultime salite, per buoni tratti spingendo la bici a piedi su fondi sterrati piuttosto connessi.

Il live challange mi informa che il gruppo di 4/5 riders davanti a me sono irraggiungibili (pedalano con un vantaggio di 30km) tanti quanti ne ho io su chi mi segue. Una breve telefonata a Martina (che non ha smesso, nemmeno di notte di spingermi e supportarmi) mi dà la carica indispensabile per gli ultimi 40km verso Trieste. Con circa 6h ore di sonno, dopo 82hrs e 33min, raggiungo Trieste con 850km e 16.320m d+ nelle gambe e nella testa.

Il mio obiettivo di finire la 7S in 4 giorni è stato largamente raggiunto con un inaspettato piazzamento in 16esima posizione.

Il primo Ultra non si scorda mai, così come tutte le persone che hanno contribuito al raggiungimento del mio obiettivo, a partire da Davide!

SET UP

Bicicletta: 3T Racemax Italia
Distribuzione: Sram eagle xx1 42t per 10:52
Ruote: Hunt 42 limitless
Copertoni: Pirelli cinturato gravel M 40mm
Borse: Missgrape + Camelbag con serbatoio 2L

Se rompersi è già sinonimo di schifo, rompersi male per un’idiozia probabilmente lo è ancor di più. Quando succede correndo, scivolando malamente su uno stupido sasso di una stupida strada bianca dietro casa: ti fa davvero pensare, specie quando c’è l’aggravante di aver appena concluso un mese in Dolomiti a correre tutti i giorni senza farti niente, con uno streak continuativo che avrebbe fatto invidia al Tommaso del 2017 – anno di gratia, ndr –.


Se possibile, la conta dei danni è peggio della botta morale: frattura del quinto metatarso, il punto fermo di ogni singolo passo che muovi di corsa, responsabile di quella supinazione un po’ esacerbata con cui hai imparato a convivere da anni. “Se non altro non mi sono infortunato a Padel o a Calcetto” è forse l’unica magra consolazione che provi a tirar fuori dalla faccenda, rassegnandoti già a un bel po’ di sedentarietà forzata.

Paco mi perdonerà per questo utilizzo fuori contesto, ma questa è uno dei miei leitmotiv all’inizio di ogni stagione. Quest’anno più di altri.

Era dal 2019 che non ti facevi male seriamente: ricordi bene come avevi affrontato -male- quel periodo, ma eventi come quello o quest’ultimo aiutano a fare quel gradino che ci porta oltre quella concezione un po’ tossica del nostro ‘Io corridore’ che per tanti è ancora un atteggiamento molto normalizzato.

Non siamo quello che corriamo.

Non siamo neanche un Infortunio che ci tiriamo dietro.


Se per un breve periodo la corsa ci è preclusa, non significa che ci sia meno valore in quello che facciamo.

Nè che ci sia per forza un ‘tutto da rifare’.
Non c’è ‘rifare’, c’è solo ‘fare di nuovo’.

Rassegnato, provi comunque a darti una struttura e a tirar fuori qualcosa di buono dalla faccenda:

  • Cerchi immediatamente un parere consono al danno fatto: avere un buon professionista di riferimento è fondamentale per pianificare la progressione di lavoro corretta per rimettere il piede nelle condizioni di esercitarsi, e l’arto completo in quelle di non perdere troppa struttura. Le prime camminate senza stampelle, dopo alcune settimane, ti ricordano subito quanto in fretta alcuni gruppi muscolari si impigriscono: serve un corretto approccio per riprendere senza fare errori grossolani.
  • Appena la fase dolorosa acuta scema, e si ha l’ok del professionista, diventa importantissimo ristabilire con lui un buon condizionamento dei maggiori comparti che inevitabilmente hanno perso forza attorno ad una struttura rimasta inattiva a lungo. Si può gestire tutto a corpo libero, per iniziare, e i primi focus sono sul rimettere il piede a lavoro in maniera più neutra possibile (priva di supinazioni o pronazioni eccessive), e poi di incastrarne il movimento corretto con caviglia e arto inferiore al completo. Così i principali esercizi che si aggiungono alla routine quotidiana diventano:
    • Calf Raise bi-podalico, per richiamare l’Achilleo ad un corretto scorrimento all’interno della sua guaina, e curare l’attivazione del Soleo con un input non-esplosivo;
    • Isometrie a durata progressiva, per lavorare sulla tenuta muscolare di quadricipite e gluteo senza carico articolare;
    • Mobilità generale dell’articolazione della caviglia, per ri-esercitare una stiffness minima in grado di sopperire al carico di camminata (prima) e corsa (poi);
    • Mobilità fine della volta metatarsale, per ristabilire un atterraggio e una digi-flessione completa: all’atto pratico ci si diverte raccogliendo fogli di carta, calzini, palline. Un mix di esercizio contemporaneamente snervante e calmo;
  • Importante in questa fase continuare ad avere feedback continui dal proprio professionista: tarare i carichi, fare passi avanti E indietro, aspettandosi di dover rimescolare le carte più di una volta durante il tempo minimo atteso per vedere dei miglioramenti.
  • Dentro e fuori gli accorgimenti riabilitativi, il tempo inizia a passare in maniera differente, scandendo le fasi del lutto con una strana ricetta a base di insofferenza e accettazione:
    • Rifiuto: 1 mese senza corsa passa veloce, ma lascia il segno: ti sei privato della principale attività di sfogo della settimana, e anche di quella più appassionante (le camminate col cane, ndr). Non ti resta che aspettare e vedere quando puoi mollare le stampelle, e nel dubbio attacchi la prima campagna seria a Baldur’s Gate;
    • Rabbia: inizi a pensare che 2 mesi tutto sommato non sono ancora il Male assoluto, grazie al fatto che è Dicembre e non Maggio, e che per la prima volta in 7 anni il non essere stato preso a Western States sembra una benedizione. La realtà diventa amara quando i primi passi senza stampelle ti rivelano che sei più storto di uno zoppo, e capisci di aver guardato il problema da una prospettiva ridicola: non si tratta di riprendere a correre, ma di riprendere a muoversi in maniera sensata.
    • Negoziazione: all’alba del terzo mese sei entrato nel loop. Un po’ si soffre, ma qualche gioia arriva. Le prime passeggiate senza male, addirittura con una parvenza di dislivello, ti aiutano a vedere il bicchiere mezzo pieno. In più ti convinci che l’Inverno è quasi finito e che quest’anno non ti ha nemmeno pesato troppo: respiri e inizi a pensare che magari la fine è vicina. Quasi ti dispiace dover dedicare meno tempo a Baldur’s Gate.;
    • Depressione: Il 3° mese non si conclude bene com’è partito: e la prospettiva del quarto all’orizzonte diventa un bonus dopo che cadi rovinosamente sulla frattura una seconda volta, a 10 settimane dalla prima. Si commenta da sè, tiri un dado e riporti la tua pedina al 2° Mese: e via di nuovo.
    • Accettazione: Chisura del 4° mese. La seconda caduta ha fatto forse più danni della prima.
      Non rimane che rimboccarsi le maniche e reggere il gioco, rimettendo ordine e accettando che i setbacks sono parte della fase riabilitativa. Di buono c’è che si può migliorare con gli esercizi, e che terminato Baldur’s Gate, si può guardare oltre;

Questo stop intermedio sul percorso ti aiuta a fare un ulteriore analisi della situazione, ti riscopri con più fretta di quanta ne avessi all’inizio della riabilitazione, e dopo averla analizzata la inquadri come quella malefica compagna di viaggio che ti fa caricare di aspettative, fare errori di valutazione, incappare in ulteriori problemi. Quel che è peggio, ti scoraggia dall’impegnarti seriamente, appendendoti a qualche flebile speranza cui dare più importanza rispetto al duro lavoro necessario al rientro.

Dopo gli esercizi, un po’ di sana mindfullness è quella chiave che serve per riportare le cose ad uno stato di quieta freddezza. Bisogna ragionare bene e mettersi in testa alcuni concetti chiave, che ad un passo dalla meta possono bruscamente riportarti indietro di alcuni progressi faticosamente guadagnati.

  • Non sei l’atleta di Novembre, non lo sarai più: è totalmente inutile pensare di riprendere dove avevi interrotto il tuo percorso. Serve uno sguardo nuovo verso l’attività in generale, e un approccio consapevole del lavoro lento e necessario per tornare al punto zero, e di quello altrettanto paziente per poter avere dei miglioramenti tangibili; 
  • Fare Ordine: sapere bene con cosa ripartire fa la differenza tra l’avere un piano e affidarsi solo alla pancia:
    • Volume: la triste verità è che dovrai dargli più peso di quello che speravi a Novembre, quando pregustavi di riuscire a mollarlo un po’ in favore di qualche esercizio veloce in più. Ma al fronte di uno stop di 4 mesi, è fondamentale rimettere in sesto una base solida di ore settimanali su cui poggiare poi il resto del lavoro. Importante mantenere una coerenza nella progressione tra le settimane e i mesi della ripresa, ma se non altro dopo una pausa come questa ogni minuto di libertà con le scarpette ai piedi sa di costruzione.
    • Intensità: la curiosità di un anno come questo che parte in ritardo è programmare le fasi di intensità in maniera differente rispetto alla programmazione ‘classica’ che hai seguito negli ultimi anni. Se Aprile all’orizzonte is the new ripetute invernali, così Luglio (speri) avrà il sapore di Threshold Training quando normalmente gli avresti dedicato solo volumi e gite in montagna. Una prospettiva insolita che obbligherà a qualche adattamento (specie alle temperature, in una parte della stagione) e che speri ti farà apprezzare
    • Specificità: probabilmente l’ultima cosa a cui si riesce a pensare quando si sta distanti dai possibili obiettivi dell’anno. Ringrazi che non dovrai passare Maggio e Giugno a preoccuparti di avere in saccoccia i km per chiudere Olympic Valley – Auburn, e cerchi di individuare qualche possibile meta per l’anno. Appena metti in fila quella, il credo parla chiaro: quelle magiche 6-8 settimane specifiche prima dell’evento non te le deve togliere nessuno.

Se non altro, ringrazi l’infortunio per averti tolto dalla frustrante ricerca di un obiettivo facile per toglierti dall’annuale dilemma da Qualifier. Inoltre, sapere di avere meno tempo per godersi l’anno ti rende più facile capire cosa hai voglia di fare veramente.

Un atleta che non sa dove direzionare la sua stagione, per troppe idee, troppe possibilità o troppi pochi stimoli veri farà sempre fatica a dare un senso alla sua programmazione annuale. Si lascerà rimbalzare di inerzia tra appuntamenti poco importanti, scoprendo tardi di aver buttato via parecchio tempo ed energie mentali che avrebbe potuto conservare per godersi un percorso di preparazione più coerente con il suo drive.

La cosa bella di passare tutto il periodo invernale fermo ai box, è che hai una visione dell’anno -contingentata dalla struttura dei 365 giorni / 4 stagioni – molto più pulita e snella. Improvvisamente, fino ad Aprile tutto inizia a chiamarsi ‘Ripresa’, fino a Giugno ‘Costruzione’, e l’Estate per la prima volta in anni la soprannomini ‘Lavoro’ e non’ Divertimento & Cazzeggio’ come tuo solito, perchè sai già che sarà fondamentale prenderci dentro in maniera un po’ più ossessionata per tirar fuori qualcosa di buono dal periodo più adatto alle fasi specifiche.

E tra Settembre e Dicembre, magari, puoi pensare di concretizzare qualche obiettivo. Gli sfizi vanno, i pallini restano: ripulito il calendario da ‘possibilità’, rimangono i bersagli grossi. Quelli che ti motivano a fare bene, a rimetterti in carreggiata e soprattutto a fare le cose con stimolo e divertimento. Provi un paio di lotterie che normalmente avresti skippato, scegli qualcosa di appassionante, e ti tieni un piano B a fine anno, perchè comunque sai che le cose possono andare anche storte, e non sarà tutta in discesa questa ripresa alla corsa.

Infortunarsi non significa far calare il sipario, e neanche dover per forza guardare al proprio ‘progetto personale’ in maniera limitata.

Significa accettare lo schifo, tirare una linea e ripartire, con la consapevolezza che i passi avanti arriveranno ma in maniera diversa da prima, che non dovrai accontentarti di essere lo stesso di qualche mese prima: avrai da esplorare novità e possibilità che prima non avevi messo nel mirino.
Lungi da me cadere in paternalismi, ma credo sia importante in momenti come questo ricordarsi di non credere di portare tutto sulle proprie spalle: il runner -ultra o meno- ha la brutta abitudine di identificarsi troppo facilmente con lo sport che fa, con il come lo fa, e di quanto riesce a sostenerlo da solo; quando invece ognuno di noi resta un sistema complesso immerso tra pari, atleti e non, che possono renderci momenti difficili meno duri e soli. Ringrazio la maturità ‘atletica’ e gli anni passati tra le due sponde del Coaching per avermi aiutato sempre a uscire da questa identità ‘corsa-centrica’, che rischia sempre di venire un po’ intaccata da eventi avversi come un infortunio.

All’apertura di Marzo mi ritrovo con molta più carica di quella che credevo avrei avuto solo un mese fa, mi ritrovo con un piede un po’ più cooperante ma ancora distante dal 100% della forma, mi ritrovo con un po’ di esperienza più sana di come affrontare uno stop.

E forse, forse, forse mi ritrovo pure
con un obiettivo ambizioso.

Gradatim Ferociter.

Dicembre è iniziato col botto per tutta la DU Family, con due tra le più ghiotte lotterie della scena Ultrarunning sotto la cintura e una panoramica sempre più ampia di possibilità verso l’anno prossimo (leggasi: non ci hanno preso da nessuna parte, ndr), si iniziano a fare i dovuti preparativi di ‘chiusura’ e si guarda in prospettiva questo 2023 da diverse prospettive.

Avere l’endorsement di diversi brand, in un servizio di Coaching, può a volte suonare un po’ strano visto che il focus è sempre posto sulla persona -l’atleta- a cui vogliamo sempre dedicare il 100% delle nostre energie e del nostro committment lungo tutta la stagione o l’obiettivo su cui si lavora assieme.

Eppure è innegabile che al crescere di una struttura come DU, l’avere alle spalle realtà che credono nel nostro progetto e nella serietà con cui lo portiamo avanti, è un’enorme boost verso la nostra stessa programmazione del futuro e ci consente allo stesso tempo di poter proporre quel quid in più tra i servizi: dai test prodotto durante i Camp fino alla possibilità di offrire concretamente ai nostri atleti idee, soluzioni e materiali in cui crediamo.

Per cui, alla chiusura dell’anno, qui alcuni dei nostri prodotti must per cui non potremo mai ringraziare abbastanza i partners di DU Coaching:

Black Diamond Rhythm Shirt – Coach Guglie

Leggera che sembra sparire a pelle, ma dotata di un’enorme capacità di termoregolazione. Loose fit, manica lunga o corta a scelta: questo base layer ci ha fatto rivalutare tutte le altre Merino con cui abbiamo corso in passato, tanta è la capacità di rimanere asciutta e calda anche a temperature decisamente poco confortevoli. Se protetta da un opportuno secondo strato, windshell o meno, consente di andare lontano, a lungo, senza pensare ad una maglia di ricambio. Also: uno dei prodotti mpiù odor-proof che abbiamo mai provato.

Black Diamond Sprinter 500 – Coach Francesco

Con l’ottimo rapporto peso/potenza di 100 gr x 500 lumen, è entrata a gamba tesa sul mercato delle lampade compatte. L’abbiamo apprezzata per la facilità di utilizzo: un unico tasto per domarli tutti e un fascio di luce nitido sono una bella combinazione per un prodotto essenziale. Il pacchetto batteria da 1800 mAh, sostituibile da stilo AAA non la renderanno la lampada più potente del mercato, ma sicuramente una delle più polivalenti.

Scarpa Spin Planet – Coach Tommy

In un mondo che vira sempre più spesso verso il massimalismo, saper creare un prodotto che sposi l’idea di volumi sopra la media senza sforare nel ‘troppo ingombrante/poco sensibile’ è un arte che gli amici di Scarpa hanno saputo leggere e sviluppare bene con Spin Planet. Al di là di avere un prodotto con non uno ma ben due occhi puntati sulla sostenibilità, ai piedi la scarpa si comporta bene in tante situazioni diverse, su distanze veramente senza limiti: dal veloce collinare settimanale al confort duraturo necessario per il TOR. Promossa da tutto lo staff DU, sappiamo già che ci condurrà lontano nelle prossime stagioni.

Cascada Lakewood Pants – Coach Davide

Ci avevano già convinto gli Shorts, ma la versione lunga ci ha decisamente conquistato. Fit comodissimo e davvero stiloso (si dice ancora? siamo boomer ndr), un tessuto ristop con trattamento idrorepellente che si fa apprezzare in molti ambienti e condizioni meteo, fino a quella speciale situazione in cui devi lavare la bici (o le scarpe da corsa) e lasciare acqua e fango fuori dai pantaloni è un must. Uno dei prodotti forse più pricey di Cascada, ma li merita tutti (ricordatevi del codice sconto DUCOACHING-20 ).

Coros Pace 3 – Coach Mari

Uno degli ultimi arrivati in casa Coros, e come la versione 2 ci ha fatto gola dal Day 1. Leggero, compatto, preciso: per chi non ha bisogno di mappe ma si accontenta di una grande efficienza energetica, per programmare workout su strada e in pista o correre la prossima 100 miglia, Pace 3 does it all. Presto sul sito di Gravity Distribution, ad un prezzo inferiore di 250 € che lo rende davvero una killer application, specie col codice sconto COROS22DU. Fenomenali poteri cosmici in un minuscolo spazio vitale […]

Non vediamo l’ora di scoprire cosa ci riserva il 2024! Tutte le news le troverete sicuramente anche in newsletter: subscribe and enjoy.

Buon ultimo rush dicembrino, e buona chiusura dell’anno!

The DU Staff

Avete presente il leitmotiv con cui ci ha salutato Sha’Carri Richardson dopo la vittoria nei 100 m ai campionati U.S. Track & Field lo scorso Luglio: ‘I’m not back, i’m better’ ? Non trovo frase più calzante per descrivere la freschezza con cui Ribelle Run ha fatto ritorno sul mercato con il recente lancio della sua evoluzione: la linea Kalibra. Ribelle Run, ‘the Hero of Trail’, è la gamma-prodotto nata in Scarpa dalla mente di Marco de Gasperi un paio di anni fa, e con la sua derivazione dai già presenti prodotti per Alpinismo Veloce rappresenta un approccio tecnico al prodotto da Skymarathon e Trail Running in ambiente impegnativo.

Ora, a due anni dal lancio della prima Ribelle, e con il know-how del prodotto tecnico per attività su neve Kalibra G, la linea Kalibra va ad affiancare il prodotto originale (che continuerà ad esistere) con un’ evoluzione high-tech atta a soddisfare chi già apprezzava le caratteristiche del prodotto ma voleva un qualcosa in più. I maggiori cambiamenti riguardano la presenza di un nuovo sistema di fitting chiamato Wrap360 e regolato da un BOA versione Li2, una nuova tomaia e una completa revisione della suola

Partendo da quest’ultima, Kalibra va a specializzare le destinazioni d’uso di Ribelle con due varianti del pacchetto suola: una versione Hard Terrain (HT) e una Soft Terrain (ST). Anche se PRESA è il compound scelto per entrambe, i due modelli montano diverse mescole e tasselli pensati per aderire e lavorare in maniera specifica su terreni differenti. HT ha un tassello più basso e ravvicinato, per migliore aderenza su terreni compatti e rocciosi, mentre ST monta una suola scolpita con denti più profondi e spaziosi, per affondare meglio su terreni scivolosi o in generale morbidi, e riuscire a drenare meglio fango e detriti.

Novità che invece salta maggiormente all’occhio -e al piede- è la totale revisione del sistema di chiusura del prodotto, che abbandona il quick-lace e abbraccia la presenza di una singola rotella BOA Li2: questa si differenzia da quelle standard più conosciute perchè consente la tensione in entrambi i sensi di rotazione, per allentare e stringere senza vincoli e senza dover sganciare nel mezzo della corsa, rendendo tutto molto intuitivo.

Il BOA lavora in sinergia con una serie di inserti termo-plastici che, saldati assieme ad un nuovo mesh dotato di microfibra, aiutano a generare un feeling aderente ma mai troppo stretto, pur mantenendo un impronta ‘spaziosa’ all’avampiede. Un mix di sensazioni che piacerà agli amanti dei prodotti precisi nelle situazioni che contano, senza sacrificare il confort.

L’unione di un approccio nuovo ad un prodotto collaudato nelle prime corse mi ha convinto, aspetto di farci ancora qualche decina di km per poter dire se rimarrò un romantico della prima volta o se mi lascerò ingolosire maggiormente da questa nuova Ribelle (complessivamente il quinto paio, ndr). Anche se il peso sulla carta è aumentato, la sensazione è di maggiore leggerezza del dichiarato una volta indossata: rimane una scelta perfetta per un prodotto versatile che non grida necessariamente ‘terreno tecnico’ ma può configurarsi per una miriade di situazioni dentro e fuori la montagna: l’anima correreccia grazie alle geometrie belle slanciate pare sia rimasta invariata in questa nuova iterazione, a cambiare sono sicuramente quei dettagli che ne definiscono maggiormente il playground.

Da tenere a mente che non è un prodotto per lunghissime distanze (col primo paio ci ho portato a casa una Mozart 100km: ah, l’amour), ma va a inserirsi meglio in quegli utilizzi che vanno dall’ora -anche intensa-, alle gare ‘brevi’ sotto i 30 km, fino alle Marathon su qualsiasi terreno.

Sky’s the limit – Notorious B.I.G.

Qualche veloce specs:

Kalibra HT

  • Peso: 310 gr
  • Stack: Tallone 24,5 mm – Punta 20,5 mm
  • Drop: 4 mm
  • Suola: PRESA con tasselli da 4 mm
  • Prezzo: 189 €

Kalibra ST

  • Peso: 320 gr
  • Stack: Tallone 26,5 mm – Punta 22,5 mm
  • Drop: 4 mm
  • Suola: PRESA con tasselli da 5 mm
  • Prezzo: 189 €

Lanciate ufficialmente a Chamonix durante il weekend di UTMB, sono disponibili sul sito Scarpa https://it.scarpa.com/scarpe-trail-running.html.

Coach T.

#NoPlaceTooFar #Scarpa #RibelleRun #Kalibra

Trasportare l’idea di un abbigliamento necessario all’interno di uno sport sempre aperto a libere interpretazioni, dalla scuola minimalista alla professione della compressione graduata, potrebbe non sembrare così semplice. Però ci sono dei capi che in maniera imprescindibile non possiamo che apprezzare nell’armadio, nello zainetto da corsa, o addirittura in una drop bag a metà gara dove speriamo di trovare conforto (o salvezza) con la scelta corretta dei materiali.

Quando Black Diamond ci ha presentato parte della sua collezione dedicata al Trail running, abbiamo capito in fretta che non si trattava di un kit poco ispirato o, peggio, privo di identità: trovare dei prodotti che risuonino positivamente con la propria idea di confort in corsa (e perchè no, anche di stile) non è assolutamente scontato. Ma con BD c’è stato subito feeling.

L’approccio del brand, se dovessimo definirlo in una parola, è essenziale: no frills. La funzionalità di ogni capo non viene mai eclissata dall’estetica, e tutto mantiene una specifica identità senza perdersi all’interno di un catalogo enorme (spulciate il loro sito se non ci credete) dedicato a diverse discipline, dal climbing all’hiking, dal free touring al trail running. Il prodotto di quest’ultima categoria ci è sembrato subito adatto e appetibile per ogni giornata da passare sulle gambe, nonché frutto di scelte ponderate nei materiali, e a partire da Maggio ci siamo impegnati subito per metterlo sotto stress tra gare, Training Camp e vacanze sui sentieri: siamo pronti a trarre qualche conclusione sui nostri capi preferiti.

Sprint Shorts

Partiamo dalla spina dorsale di ogni kit da Trail: il capo che per antonomasia è arrivato a identificare il nostro sport. Questi shorts con taglio a scelta, da 5 a 7 pollici di lunghezza, sono uno dei prodotti più robusti presenti nel settore: il materiale sarà forse poco elasticizzato ma anche con il trattamento Durable Water Repellent (DWR) che li riveste rimane aderente e rispettoso delle esigenze di movimento. Cinque tasche, di cui due zippate, garantiscono una grande personalizzazione del materiale da trasportare e la sicurezza di non perdere le cose che contano. Ci abbiamo strizzato per bene un antivento, il telefono, chiavi, diversi gel e una frontale, e ancora non siamo riusciti a riempire le profonde tasche laterali. Cherry on top? Sviluppate con mr 14 Fourteener, Joe Grant: uno che ama stare fuori più di qualche ora di corsa, e vuole farlo comodo.

Lightwire Tech T-Shirt

Leggera, dotata di una trama di media traspirazione e di cuciture ben piazzati ai lati delle spalle: mantengono la mobilità sempre fluida senza sacrificare il supporto per reggere adeguatamente il carico di uno zainetto senza lasciare fastidiosi segni di frizione sulla pelle. Davvero comoda, il taglio è largo e comodo, non per amanti dei prodotti attillati, ma questo la rende ancora più ariosa e ne aumenta la traspirazione. Last but not least: si può scegliere tra manica lunga e corta, per ogni situazione o stagione. 10 le colorazioni maschili, 7 le femminili: accontentano tutti.

Distance Wind Shell

In lizza per il podio dei nostri prodotti preferiti, sarebbe improprio definire questo capo come un semplice antivento. Dotato di una rivoluzionaria tecnologia produttiva che elimina l’utilizzo di PFC nel processo di costruzione, la Distance Wind Shell si propone come il prodotto definitivo per la categoria Trail, combinando materiali leggerissimi ad un trattamento water-resistant più protettivo e durevole anche del wclassico DWR. Anche con queste rifiniture ultra-leggere, rimane facilmente comprimibile e il peso piuma di appena 80 gr la fa scomparire agilmente anche dentro una semplice tasca da shorts. Comoda in ogni situazione, anche semplicemente quando non si sa se prendere la ventina o la giacca impermeabile, è così traspirante che funziona anche in condizioni assolate, al bisogno.

Rhythm T-Shirts

E arriviamo alla nostra preferita: siamo semplicemente innamorati di questa maglia, la più leggera sul mercato ad essere ricavata da un brevetto che metta assieme Lana e tessuto sintetico. Non solo è la più leggera, ma nella costante ricerca di prodotti in grado di contrastare la sudorazione di Coach T., si è rivelata davvero all’altezza delle aspettative: la trama morbida e ariosa del filato si asciuga molto meglio di altre t-shirt della stessa categoria, e senza assumere odori sgradevoli (se puzzate di morte al miglio 78 / 100, quelli siete voi e non la maglia). Anche in condizioni di umidità, il filato riesce a raccogliere le gocce d’acqua sulla superficie esterna della maglia e a lasciarle evaporare man mano che l’attività continua. Mai fredda da suggerire di dover essere accompagnata ad uno strato secondario, in condizioni più pungenti l’abbiamo coperta con la Distance Wind Shell e si è comportata ugualmente benissimo nel termoregolare la situazione: mai troppo calda, mai troppo fredda. Disponibile sia in manica corta che lunga, quest’ultima fantastica anche per terzi tempi con la febbre post-ultra e per l’ every-day commuting, grazie ad un design davvero minimal e fresco.

Quattro capi, tutti semplici e funzionali, bastano per accompagnarci in ogni allenamento, e in tante situazioni del giorno gara. Accoppiare la Tech Tee alla Rhythm consente di gestire cambi di temperature, albe frizzanti e notti dove una termoregolazione efficace è la nostra migliore amica, mentre l’una e l’altra utilizzate singolarmente diventano utilissime per situazioni più polarizzate, rispettivamente nel caldo intenso e nel freddo secco e pungente. Gli shorts sono destinati a diventare un evergreen grazie allo stile ultrarunning-old school e la libertà movimento (sopratutto i 5”), mentre aggiungono più dettagli di tanti altri prodotti paragonabili sul settore. E la Wind Shell? polivalente e leggerissima: un metti/togli immediato con un peso davvero dimenticabile.

E per tutto quello che non può essere trasportato in un paio di shorts? e gli accessori extra?
Ne parliamo nel prossimo articolo, dove vi presentiamo i nuovissimi zainetti Distance e gli accessori per le situazioni più critiche.

E ricordatevi che con il codice sconto N78N4Y17A6, fruibile tutto l’anno, sul sito https://www.blackdiamondequipment.com/en_IT/ avete la possibilità di accedere ad una scontistica dedicata del 10% sui vostri prossimi acquisti.

Keep up the style!

The DU Team

L’abbiamo avuta ai piedi per un po’ ormai, inaugurata in tempi non sospetti durante il LUT Camp nelle bellissime Piccole Dolomiti, a fine Maggio. Ci ha subito colpito per la versatilità, i concetti alle spalle del prodotto e per un’estetica che ci ha strappato subito un grande ‘Sì’. A un mese di distanza, e almeno 100 miglia tested tough, Spin Planet si è presa immediatamente un posto d’onore nelle nostre scarpiere.

pic by Davide Biondani

Da dove arriva e dove va
Spin Planet nasce dall’unione di due necessità:

  • creare un prodotto versatile per atleti che non competono necessariamente in ambienti montani o tecnici, coperti da altri prodotti della linea Trail Running di Scarpa;
  • dare un nuovo punto di partenza sulla creazione di un prodotto eco-sostenibile: la tomaia presenta un mesh 100% riciclato, la schiuma EVA compressa che compone la zeppa è per il 45% derivata da componenti riciclati, il battistrada PRESA dotato di un disegno inedito è composto per il 30% da gomma riciclata;

Nella line-up di Scarpa va a inserirsi nella famiglia Spin, fiore all’occhiello del settore Trail degli amici di Asolo, ma senza sovrapporsi alle velocità e tecnicità da Skyrunning della 2.0, né alla robustezza di Spin Infinity: Un prodotto nuovo su che va a guadagnarsi un suo personale spazio, e una destinazione d’uso differente. Non di meno, si spoglia di tecnologie ingombranti a livello di eco-sostenibilità come la suola in Vibram e il diffuso termoplastico che ha sempre fatto da protagonista sulle tomaie finora.

Quel che ci è piaciuto
Fin dalla calzata, abbiamo apprezzato la tomaia davvero avvolgente sul piede, con pochi spazi vuoti: si sente il materiale elasticizzato andare a conformarsi in maniera precisa ma sempre ariosa e comoda, e si sposa davvero bene con l’ampia sezione frontale dove le dita sono libere di muoversi. Una volta che si fa pace con dei lacci un po’ troppo lunghi, si ha un’allacciatura sicura e stabile. Il feeling nelle prime corse è di un prodotto un po’ rigido che unito ad uno stacco da terra interessante (28 mm al tallone, 24 mm all’avampiede) può causare un po’ di insicurezze ai poco avvezzi delle scarpe Max Cushion.

(Coach Grazielli will say: we’re not in the first Spin anymore, Toto.)

Tempo di due-tre corse e la situazione migliora sensibilmente: la zeppa si ammorbidisce e prende maggiore forma adattandosi alla propria rullata e appoggio, godibile in tutte le situazioni dove si vuole correre con continuità, meno quando c’è da lavorare su terreno tecnico e si vuole tanto ground feeling.
Molto piacevole la rullata accompagnata: la vorremmo sempre in ogni uscita di allenamento dove le gambe vanno incoraggiate con geometrie in grado di togliere un po’ di fatica al passo, specie grazie all’ampia base di appoggio e al rocker che sotto le dita da quella smoothness in più alla falcata.

Approvatissima per la vostra prossima LUT, o magari per una 100 miglia stelle e strisce dove non ci si aspetta un terreno complesso. Ma pensando anche più in piccolo: ottima per ogni distanza intermedia su terreni appropriati a una suola versatile da percorsi misti. Questa scarpa brilla quando il passo è costante e solo gli atleti più forti muscolarmente sapranno spingerla anche su andature più veloci.

Il suo runner ideale? è per chiunque!

‘Cruising the woods’ pic by Davide Biondani

Quel che può migliorare ancora…
Pochi flaws, ma qualcosa ci è saltato all’occhio: il peso della scarpa (sopra i 300 gr dal 42 maschile in su / 280 nelle taglie centrali femminili) non farà impazzire gli amanti della leggerezza (anche) nelle lunghe distanze. Unito al periodo di break-in della scarpa, c’è da prendere molta confidenza con il prodotto prima di poter decidere se portarla su gare a tripla cifra o se mantenerla come polivalente sparring partner: all’inizio può sembrare un po’ macchinosa in corsa: basta darle fiducia. Sul funzionamento della scarpa non abbiamo trovato bias, ma visto che non si può ignorare l’elefante nella stanza: molti hanno appuntato che l’assenza del Vibram si senta. Nel nostro caso, con utilizzi su Dolomia, colline e Media montagna Piemontese, non ne abbiamo percepito così tanto la differenza; chiaro che su terreni montagnosi dove il sasso inizia a diventare preponderante sul percorso, meglio premunirsi con prodotti più grippanti (Spin Infinity, anyone?) per gestire l’umidità su sassi viscidi e l’eventuale presenza di Neve. Spin Planet nasce e viene apprezzata maggiormente su altri tipi di percorso, per cui va scelta di conseguenza.
Il tassello da 4 mm fa comunque il suo dovere, sui terreni per cui è pensato.

Final wish di Coach T.: una linguetta meno alta e dei lacci più corti.
Una volta che questa Planet verrà asciugata di un po’ di peso inizierà a brillare ancor di più: fino ad allora continueremo a godercela comunque sui sentieri, dalla Val Chiusella a Torino, da Londra alla Svizzera alle Piccole Dolomiti.

Geek Section: specs!

  • Stack: 28 mm – 24 mm
  • Drop: 4 mm
  • Peso: 305 gr il 42 EU maschile
  • Tomaia: Mesh + Microfibra ricilati al 100%
  • Intersuola: Eva media densità, riciclata al 45%
  • Suola: Mescola PRESA All Terrain Gum, tassello da terreno misto: profondo 4 mm
  • Desinazioni d’uso: Allenamento quotidiano facile/moderato, Long Runs a ritmo di Endurance, Giorno gara per qualsiasi distanza

Trovate Spin Planet in tutte le colorazioni e misure sul sito Scarpa: https://it.scarpa.com/product/26923457/spin-planet-lunghe-distanze-per-beginner-e-pro-azure-black

See you out there! #NoPlaceTooFar

Per i ristori finali dei nostri Camp spesso ho preparato i Muffin sia dolci che salati: oltre ad essere gustosi, sono comodi da trasportare, facili da mangiare e già in porzioni singole.

Io li adoro, e adoro anche la rapidità con cui si preparano: con un po’ di fantasia si possono inventare innumerevoli varianti, sia dolci che salate.

Ho sempre pensato che fosse un’invenzione americana (ed in parte non è errato, perché quelli che siamo abituati a mangiare noi vengono proprio dagli Stati Uniti), ma la vera patria dei muffin è l’Inghilterra.

I primi Muffin risalgono ai primi del ‘700 ed hanno una storia molto semplice: pare che il fornaio delle case nobili britanniche li preparasse per la servitù con i rimasugli di pane del giorno prima, la frutta che era disponibile e residui della lavorazione dei biscotti. Questo impasto veniva poi cotto su una piastra e condito con burro. L’aspetto era in realtà più simile ad una frittella che al muffin che conosciamo noi.

Dall’Inghilterra vennero poi importati nelle colonie americane verso la fine del diciannovesimo secolo. Qui subirono qualche cambiamento. Variazioni che riguardano principalmente le dimensioni, come accade a tutto ciò che è americano: i dolcetti si ingrandirono a dismisura e si alzarono in altezza, anche grazie all’avvento del lievito chimico. Assecondando un’altra tipica mania americana, quella di “improve”, di migliorare il prodotto, ne furono inventate innumerevoli varianti e, soprattutto, fu aggiunta una maggiore quantità di zucchero. Oggi tre Stati Americani hanno addirittura un loro Muffin ufficiale: il Massachussets ha quello al mais, lo stato di New York quello alle mele e il Minnesota quello ai mirtilli!

I MIEI MUFFIN SALATI

Ingredienti:
250 gr farina*
3 cucchiai di parmigiano grattugiato
5 gr sale
9 gr lievito per torte salate

125 gr yogurt bianco (non zuccherato)
70 ml olio semi
2 uova
latte qb

*verdura/ olive/ capperi/ spezie/ formaggio a dadini/ erbe aromatiche (a tuo piacere)

Procedimento:
In una terrina unite tutti gli ingredienti secchi (farina, parmigiano, sale, lievito) e miscelateli con un cucchiaio. In un’ altra unite tra loro quelli liquidi (yogurt, uova, olio). A questo punto potete versare il composto liquido nella ciotola del composto secco e mescolare tutti gli ingredienti con un cucchiaio o una frusta, unite anche i condimenti che avete scelto (verdura, semi, spezie, capperi, olive, erbe aromatiche, e se l’impasto fosse duro aggiungete un po’ di latte.

Dividete l’impasto negli appositi pirottini, in carta o in silicone. (devono essere riempiti a 2/3 non pieni) cuocere a 180° per 20/25 min

*Potete sostituire una parte di farina 00 con quella che più vi piace: integrale, di ceci di castagne o mix per celiaci.

I MIEI MUFFIN DOLCI:

Ingredienti:

250 gr farina
125 gr zucchero
9 gr lievito
la buccia grattugiata di 1 limone

125 gr yogurt bianco o alla frutta
70 ml olio semi
2 uova
latte qb

*Frutta o gocce di cioccolato a tuo piacimento

Procedimento:
in una terrina unite tutti gli ingredienti secchi (farina, zucchero, lievito) e miscelateli con un cucchiaio. In un’ altra unite tra loro quelli liquidi (yogurt, uova, olio, buccia di limone). A questo punto potete versare il composto liquido nella ciotola del composto secco e mescolare tutti gli ingredienti con un cucchiaio o una frusta.
All’ultimo unite anche la frutta a pezzi o le gocce di cioccolato. Se l’impasto risultasse troppo duro aggiungete un po’ di latte.


Come per quelli salati anche quelli dolci possono essere personalizzati a piacere con qualsiasi frutto, gocce di cioccolato, cocco, frutta secca, vaniglia, cannella, caffè ecc.

Ricordate che se volete aromatizzarli al cacao questo dovrà essere unito alle farine.

Dividete, l’impasto negli appositi pirottini, in carta o in silicone. (devono essere riempiti a 2/3 non pieni) cospargeteli con un po’ di zucchero ed infornate a 180° per 20/25 min

Ogni volta che Paco veniva in pellegrinaggio da noi (come diceva lui) mi chiedeva se glieli preparavo. Poi una volta tornato a casa arrivava la richiesta di mandargli la ricetta. Rigorosamente non in grammi ma convertito in cucchiai o tazze. “Mari lo sai che la cosa che più si avvicina ad una bilancia a casa mia è lo shaker di Why che mi ha regalato il Dem!” Ora, ogni volta che li preparo, mi chiedo se qualcuno ha mai avuto l’onore di mangiare i Muffin fatti da lui!

Mari – Aid Station Foodie

Si allungano le giornate, ma non basta: con l’Estate a base di Long-Long Runs le necessità di tutti sono di poter continuare a correre anche quando il Sole scende, o quando lo si sta ancora attendendo nel buio che precede l’alba: tempo di headlamps!

DU chiama, Black Diamond risponde.

Gare, allenamenti lunghi, notturne in compagnia: da sempre una buona lampada fa la differenza tra il brancolare nel buio e il rendere più sicuro muoversi al calar della notte, o nell’attesa di scorgere l’indaco all’orizzonte. Quando si arriva a scegliere dei prodotti dedicati all’illuminazione utile durante la corsa, ci sono alcuni fattori di cui tenere conto per trovare la frontale che più fa al caso nostro:

  • portata ossia quanto distante riesce a tirare la lampada sia a massima potenza che in modalità standard, questo determinerà rispettivamente il massimo focus raggiungibile dal fascio luminoso in caso di bisogno e quello normale che utilizzeremo la maggior parte del tempo, per guardarci i piedi magari, o appena qualche metro avanti a noi; 100 metri è uno standard, ma buone lampade funzionano con fasci ampi anche intorno agli 80m in maniera qualitativa.
  • durata: ci sono lampade perfette per una notte intera a media intensità, altre ottime per brevi sessioni, altre minime e di poco ingombro da considerarsi giusto un backup per le situazioni critiche, spesso richieste anche nei materiali obbligatori delle gare; 7-8 ore di autonomia a portata media sono un buon compromesso, mentre per portate massime 2-3 ore sono lo standard.
  • tipo di fascio luminoso: compatto, esteso, affilato, non tutte le lampade nascono uguali, alcune sono pensate per emettere una luce focalizzata davanti mentre altre propongono un fascio ampio che può risultare meno preciso ma consente una visione dei paraggi più nitida su un campo esteso;
  • ergonomia: la comodità del prodotto dipende spesso da come viene distribuito il peso, se in un unico pacchetto frontale che posizione assieme il corpo luce e la batteria (magari immediato da utilizzare ma a peso più concentrato) oppure dividendo torcia e batteria tra fronte e retro, spartendo più o meno equamente il peso a scapito di una stabilità da regolare maggiormente sopra la nuca. Teste diverse, ergonomie diverse.
  • battery pack: litio o alcaline? In molti casi una batteria a ioni di litio è più performante nel fornire una luce potente, dall’altro canto un set di tripla AAA è davvero comodo da tenere nello zaino per un cambio-batterie sul momento, in caso di bisogno. Fortunatamente, negli ultimi anni la maggior parte delle lampade monta la possibilità di utilizzare entrambe le opzioni.

Black Diamond da sempre lavora a stretto contatto con tutti gli sport Outdoor e negli anni sta convertendo prodotti inizialmente nati per arrampicata e hiking in ottime headlamps bilanciate per l’utilizzo sui sentieri, ma di corsa.

Concettualmente, propone 3 gamme di prodotti:

Multi-purpose.

  • Coi prodotti Astro, Cosmo e Flare: lampade leggere e immediate, compatte e dai fasci focalizzati per utilizzi lenti e ravvicinati: camping, camminate ed escursioni. Compatibili con batterie a Litio e Alcaline senza bisogno di upgrade esterni. Nel caso di Flare, (solo batteria CR) ottima come Emergency Lamp per la sua essenzialità e le funzioni SOS.

Hike&Climb, con la linea compatta Storm, Spot e OnSight:

  • Storm con corpo centrale robusto e completamente stabilizzato sulla fronte, con fascio ampio e luminoso fino a 500 lumen, con autonomia a massima potenza di 7h e 120 metri di portata.
  • Spot che si configura come una versione compatta di Storm: peso ridotto e luce che segue di conseguenza, con 400 lumen massimi a 100 metri di distanza, per massimo 4h.
  • OnSight che nasce da Arrampicata con un fascio focalizzato ed uno ampio, e a 375 lumen massimi per 3 h rimane una valida soluzione come prodotto di media gamma anche per chi corre.

Running, con la linea Sprint e Sprinter:

  • Sprint 235, la più semplice tra le dedicate alla corsa, con lo scarso ingombro compensato da una batteria limitata;
  • Sprinter 500, la new entry della linea, che diventa la nuova capostipite della gamma-running con il suo equilibrio di portata media, luce intensa a 500 lumen massimi ed ergonomia, con il battery pack opposto al corpo luce;

Entrambe sono semplici da utilizzarsi, con un unico tasto fisico montato sopra alla lampada, e posseggono la tecnologia PowerTap, un tasto a sfioramento sul lato destro del corpo luce che consente di passare istantaneamente tra luce massima e fascio soffuso, utile per una transizione a massima intensità in condizioni difficili o a mani fredde. Sono entrambe bloccabili in maniera da evitare accensioni indesiderate nello zaino, impermeabili stormproof (adoriamo questi americani, ndr) e regolabili sull’orientamento del fascio di luce.

Inoltre, entrambe hanno tre comodi Led che indicano il livello di carica della batteria, comodissimo per fare un check preventivo e non uscire di casa con brutte sorprese.

Queste due lampade ovviamente sono state il nostro principale focus-test nell’ultimo periodo, e ne traiamo pro/contro e destinazione d’uso per entambe.

Sprint 225

Pro

  • Leggerissima, poco più di 50 gr per una peso piuma che sia alla fronte che in tasca semplicemente, scompare;
  • Headband leggera, elastica in grado di ripartire bene il peso della frontale
  • Tempo di ricarica di 3h
  • 225 lumen di luce nitida e chiara, approoved

Contro

  • Solo ricaricabile, non ha la possibilità di montare batterie stilo, scelta Green ma svantaggio in caso di necessità (a meno di non avere un secondo battery pack di BD da 700 mAh.
  • solo 1.5 h a potenza massima

Destinazione d’uso e consigli

Perfetta per utilizzi brevi, corse all’alba o alla sera quando si mette in conto di doverla utilizzare per poco tempo e, nel momento in cui non serve più, la si vuole stipare comodamente in tasca senza bisogno di cinture o altri compartimenti. Ottima backup lamp per le gare con lampada secondaria da materiale obbligatorio: sicuramente sarà sempre con noi in ogni caso: il peso è davvero nullo.

Sprinter 500

Pro

  • 500 lumen per 3h e mezza di ampio fascio intenso per allenamenti intensi senza temere il buio;
  • 250 lumen per 7h a luce media per una notte intera on luce nitida e ravvicinata;
  • peso contenuto intorno ai 100gr, ben ripartito tra corpo luce anteriore e batteria posteriore: ottima stabilità;
  • compatibile con battery pack Litio e 3AAA alcaline, facili da inserire al bisogno;
  • pacchetto posteriore con led rosso fisso o intermittente per ulteriore visibilità;
  • quel tasto PowerTap regala un fascio chiaro per ogni momento di difficoltà;

Contro

  • senza fascia superiore di sostegno (staccabile) il bouncing aumenta leggermente e richiede maggiore aggiustamento della lampada.

Destinazione d’uso e consigli

Giorno (notte?) gara e allenamenti di ogni distanza. Prodotto affidabile e divertente nella sua semplicità. In caso di previste temperature basse, un pack di 3AAA nello zaino e passa la paura, veloci da sostituire e garanzia anche per le notti più lunghe.

Nell’attesa di un’Estate che, per una volta, pare farsi attendere non ci resta che pianificare bene gite, tracce e zainetti, e stare pronti ad avventurarci là fuori senza timore di rimanere senza luce.

E ricordatevi che con il codice sconto N78N4Y17A6, fruibile tutto l’anno, sul sito https://www.blackdiamondequipment.com/en_IT/ avete la possibilità di accedere ad una scontistica dedicata del 10% sui vostri prossimi acquisti.

Buon allenamento a tutti!

Coach. T

Let me be, your everlasting light.

The Black Keyes

Ebbene si, è giusto fare outing: non solo ho iniziato a pedalare, e con soddisfazione. Sono addirittura finito a fare un evento gravel, e la cosa scabrosa è che mi è piaciuto. Anzi, lo rifarò.

Chi mi ha portato sulla startline di Veneto Gravel, è la stessa persona che mi ha convinto a comprare una bici (e in generale a iniziare numerose attività costose): il mio diabolico cognato Janpo.

Eppure nella mia mente ci stava bene. Ho passato un inverno in cui ho corso tanto, e anche bene, ma sapevo di non essere pronto a gareggiare presto perché il mio corpo si stava ancora riabituando a certi carichi: andare a fare Veneto Gravel mi è sembrato un buon diversivo per avere qualcosa di stimolante, di nuovo, senza perderci la testa. Sapevo che se mi fossi messo in testa di fare una gara di trail, avrei avuto certe aspettative e avrei di conseguenza forzato la mano: la saggezza dei (quasi) cinquant’anni.

A gennaio avevo fatto un’altro evento da 120 chilometri che, a parte una bella nuotata in una pozzanghera profonda 30 cm, mi aveva lasciato curioso di capire cosa c’era oltre. Come funzionavano le cose quando di solito la gente scende, ritira la bici in garage e va a cena.

E così, mi sono iscritto. Nonostante un certo timore, quello che ti tiene attento, non sono andato in paranoia. Ho continuato a correre, e in mezzo ho messo quattro lunghi da 100 km circa, tutti abbastanza allegri, con qualche blocco pesante da mezz’oretta in soglia piena infilato in mezzo, e tre uscite del mercoledì sera con la crew di Bike Station, che sono servite più che altro a pomparci tra di noi e ad avere una scusa per ingoiare 2/3 pizze. Mi dava una certa sicurezza sapere che nella testa sapevo come gestire 30 ore di sforzo, che saremmo stati in tre a fare gruppo e che nel momento difficile potevamo sempre pensare a Stefano sulla 700 km che stava sicuramente trovando più lungo. Almeno forse.

La paura era quella di crollare muscolarmente, di ridurmi ad andare avanti ai 10 all’ora o peggio ancora di avere braccia e collo devastati. E così ho rivoluzionato un po’la mia routine di forza, alternando due schede incentrate su movimenti unilaterali con sempre attaccata una routine di brace mirata alla resistenza alla torsione laterale ed esercizi in tirata per simulare lo sforzo di restare in sella messo decorosamente.

Alla fine io, Janpo ed Andrea, ci siamo ritrovati a Bassano venerdì pomeriggio, abbiamo visto partire Stefano e poi una volta recuperato il photographer extraordinnaire Davide Biondani di Posta Cycling, con cui condividevamo casa, abbiamo deciso di ammazzare il tempo concedendoci un sano “mezzo e mezzo” alla Distilleria Nardini. Fatta la spesa Janpo è passato in consolle per la sua leggendaria cacio e pepe, 1kg di pasta per quattro, e nel mentre abbiamo fatto andare un pacco familiare di patatine e due di taralli assieme ad una sana dose di Moretti. You call it carboloading, we call it daily grind.

Sveglia, colazione, ultime sistemazioni, questo si, questo no, e via a timbrare. Destinazione conosciuta, esito ignoto.

Startline con Andrea

La prima parte è andata via liscia: lungo argine e poi ciclabile con un miliardo di attraversamenti. I chilometri andavano via, interrotti solo da una o due pause caffè e svariate pause fisiologiche. A Treviso ci siamo presi qualche momento in più per un panino ed uno stop supermercato, e poi al punto di controllo ho rivisto Andrea De Pieri con la sua piccola, cosa che mi ha fatto molto piacere e dato una certa carica, anche perché il tratto uscendo da Treviso è favoloso ed è volato via bene tirando decisi. Ad un certo punto abbiamo iniziato a respirare aria di mare ed è sbucata la laguna: il terreno scorrevole e una certa esaltazione mistica ci hanno fatto mangiare il tratto fino a Jesolo restando sui 30 km/h. Forse troppo? Forse, sta di fatto che dopo aver testato la simpatia lagunare nell’attraversare un ponte di barche (“Intanto buongiorno”) siamo arrivati al punto di controllo di Caorle belli fatti e pronti a recuperare un po’. Ingurgitato un bel gelatone e abbiamo osservato con ammirazione e malcelata invidia che qualcuno della lunga era già passato. A mezzogiorno. Beasts. L’atmosfera festosa del ristoro invitava alla fermata, ma dopo mezz’oretta abbiamo forzato la mano e ci siamo mossi, per poi rifermarci quindici minuti dopo sotto la bella chiesetta in cima al molo.

Finalmente mare. O laguna.

Usciti da Caorle (160 km fatti) ci siamo accorti che ci muovevamo ancora decisamente bene, lo spirito era alto ed il percorso bello, fino a diventare bellissimo nel single track lungo il fiume che portava a Oderzo e poi a Conegliano. Rapito dalla poesia, mi si è spenta la luce della ragione e mi sono messo davanti a menare. Fatto sta che ancora prima delle sette eravamo a Conegliano, dove ci siamo presi una pausa all’Aldi prima di affrontare le prime salite ed il tanto atteso (e temuto) cambio di paesaggi. Fatto sta che immergerci nelle colline del prosecco ci ha fatto bene, e abbiamo ancora tirato fino a Vittorio Veneto prima di prenderci la nostra tanto attesa pausa pizza.

Tanti sanno che le pecore sono il mio animale preferito. Tramonto, singletrack pettinato e gregge di pecore: momento clou della giornata.

A tutti gli effetti è stata la prima vera sosta, ci siamo seduti e rilassati e soprattutto resi conto che avevamo fatto 250 km in poco più di 12 ore, stando relativamente bene. Le cose si mettevano bene. Ci siamo sistemati per la notte, sistemato bici, luci, batterie e varie e siamo ripartiti. A dir la verità un po’appesantiti dalla pizza ed un po’rallentati dalla lunga sosta, ma mentalmente era un break che aspettavamo da tempo. Non ci ha aiutato il fatto che la salita più dura fosse immediatamente dopo la sosta, ma macinati bene anche i 25 km di salita, intervallati dagli splendidi tratti sul lungolago di Santa Croce abbiamo toccato il punto più a nord del percorso attraversando il fiume Piave. Arrivati al punto di controllo di Belluno il sonno e la stanchezza (km 300) iniziavano a farsi sentire: forse avremmo dovuto fermarci qui a dormire due orette, invece abbiamo ancora provato a forzare e passare Belluno, ma qualche evidente segno di troppo sonno ci ha convinto a tirare fuori i sacchi da bivacco ed infilarci sotto un portico nel paesetto di Mel, dopo 320 km. Nonostante il freddo e le panchine di marmo, siamo crollati e ci siamo goduti due ore di pseudosonno, a dimostrazione di quanto eravamo fatti.

Pizza break, getting ready for the night.

Una sontuosa colazione in un bar di bikers ha riportato un minimo di calore in una mattinata decisamente grigia ed umida. Però il paesaggio tra paesini e verdi vallate, con qualche bel tratto di gravel infilato (mai a forza, percorso veramente logico e filante) facevano passare i km. Finalmente, con la bellissima discesa delle scale di Primolano entravamo nella valle del Brenta e dirigevamo la ruota verso Bassano e l’arrivo. Finite le difficoltà, se non scansare nell’ultimo tratto le persone a passeggio sul bel lungo Brenta, ci ritrovavamo dopo 380 km ancora a menare decisi. Il passaggio sul ponte (con bici a spinta, sia chiaro) e l’arrivo alla villa Angaran, mettevano la parola fine al nostro viaggio: pacche sulle spalle, telefonata a casa e poi birretta e ristoro finale (buono, ottimo, bravi, bis). Al sole, seduti senza dover pedalare, in un’atmosfera rilassata e tranquilla, ci concedevamo ancora una birretta e un veloce check della posizione dei nostri soci Stefano e Davide, un messaggio alla mitica Betta che era sulla Lake, prima di tornare al furgone di Andrea, caricare le bici e rimettersi sulla strada di casa, ad un ora decente, oltretutto.

Finisher

Mi è piaciuto? Tantissimo.

E’stata una vera scoperta, avevo davvero bisogno di qualcosa che mi tenesse sul filo del rasoio e che comunque prevedesse anche il temuto fattore DNF. Invece, è andata, anche grazie al fatto che in tre ci siamo davvero supportati e sopportati a vicenda. Ci eravamo dati il target di provare a muoverci in maniera efficiente, e per quanto efficiente non sia proprio tangibile come un risultato cronometrico, ai miei occhi ce l’abbiamo fatta alla grande. Mi interessava la “gestione” di un certo tipo di sforzo, e penso di esserci riuscito bene.

Lo rifarò? Sicuro.

Nonostante il tipo di impegno, il post Veneto è stato ottimo: il giorno dopo un po’di doms ai quadricipiti, ma niente che mi impedisse di andare a correre con Mari la sera. Ho visto che con un po’di uscite in bici, senza stravolgere la mia routine di allenamento di corsa, si può decisamente fare. Ed è stato in primis divertente, non un semplice massacro gratuito. Resterò su questo tipo di distanza perché come nella corsa ho il terrore di andare oltre per la gestione del sonno: sotto questo punto di vista, tanto tanto rispetto a chi ha fatto la 700, perché combinare così tante ore in sella con la stanchezza accumulata ed il sonno, non è per niente semplice.

Si può migliorare? Come sempre.

Col sennò di poi, c’è sempre qualcosa che potevamo affrontare diversamente. Una cosa su tutte, avrei evitato soste così lunghe in due o tre occasioni e piuttosto inserito qualche break in più da 10/15 minuti. Ma volevamo che rimanesse un piacere e ad un certo punto, anche mentalmente, aspettavamo di poter staccare dal “dover pedalare”. I ritmi, invece, erano quelli giusti: avessimo forzato la mano, avremmo pagato sicuramente. Dal punto di vista alimentare/idrico, è filato via tutto liscio: ho cercato di mangiare qualcosa ogni mezz’ora, principalmente barrette e qualche gel, tranne che dopo le soste lunghe pizza/panino/gelato dove aspettavo sempre un oretta prima di riprendere. Facile e gestibile, rispetto alla corsa si possono buttare giù decisamente meglio molte più calorie. Siamo andati via “leggeri” ed abbiamo usato più o meno tutto quello che avevamo dietro, segno che ci avevamo preso.

Nello specifico, questo è quello che avevo:

– la bici è una 3T Exploro Primo, montata con GRX x 2, perché a me piace così. 46/30 e dietro 11/42 che è anche esagerato, un 11/36 basta e avanza, specie su questo tipo di percorsi. Ma anche nei tratti filanti non mi è mai “mancato” niente, quindi non cambierò pignone per sfizio. Copertoni Specialized Pathfinder da 38 che mi sono fatto finalmente montare tubeless da Andrea prima di Veneto Gravel: differenza abissale, perché non l’ho fatto prima chissà. I Pathfinder sono sicuramente scorrevoli, ma va detto che a certe velocità in curva senti spesso la ruota scappare: quando finiranno, proverò i Pirelli Cinturato che montavano i miei soci. Il resto, tutto perfetto. Certo che un paio di cerchi di carbonio…

– avevo una borsa centrale Apidura, dove avevo infilato tutti gli attrezzi (multitool, pompa, una camera d’aria, forcellino/falsa maglia e tacchette delle scarpe di ricambio + lubrificante e uno straccio), parte del cibo, il vestiario in uso (buff/guanti/giacchina leggera) oltre alle due batterie della luce ed il powerbank ed un sacchettino con presa charger e una frontalina Black Diamond Sprinter d’emergenza. Nella borsa sottosella avevo invece il vestiario rimanente, il sacco da bivacco Black Diamond Twilight, la luce di scorta con relative pile ed il resto del cibo. Set up super compatto, la bici era ancora maneggevole e reattiva.

– abbigliamento: intimo, maglia maniche corte Core, salopette cargo Core e giacchina antivento leggera Brevet di Rapha, manicotti (usati al mattino/sera) e gambali leggeri (messi solo nelle quattro ore più fredde), giacchina imbottita supercompattabile (messa per dormire e nelle due ore seguenti) e guscio antipioggia Black Diamond Fineline (non usato). Calze degli amici di Cascada e guanti e cappellino di Posta Cycling (eccellenze italiane). Casco POC e occhiali a cui ho cambiato lente chiara per la notte e poi tenuto per pigrizia. Scarpe Fizik Vento Overcurve che si sono dimostrate comode e portabili anche dopo 20 ore, quindi promosse.

– elettronica: io e Janpo abbiamo comprato una luce all’ultimo minuto, in superofferta, da Lordgun e una batteria di scorta. Ci credevamo così poco che entrambi abbiamo portato anche la nostra vecchia luce con relative batterie, invece si è dimostrata eccellente: la tenevamo al minimo tranne che nei tratti impegnativi o in discesa dove la mettevamo al secondo step. Al mattino, per sfizio, l’ho lasciata accesa per vedere quanto durava ancora, e mi si è spenta solo arrivato a Bassano. Con una sola batteria! Dietro mi ero comprato la Lezyne Zecto che dura in eterno. GPS Garmin 520 plus che dopo 8 ore ho attaccato al powerbank e poi ricaricato durante la sosta pizza: ha fatto il suo, ma forse l’investimento sul 530 merita se pensi di fare eventi di questo genere e non vuoi svenarti, per la durata eterna e anche perché quando è sotto powerbank, il 520 tende a sbroccare ogni tanto. A Belluno, se non ci fosse stato Janpo a navigare, mi sarei perso nei meandri della città, e non parliamo di New York.

– cibo: una quindicina di gel Powerbar (riportati a casa una manciata) ed una ventina di barrette Powerbar, a cui ho aggiunto quattro barrette proteiche comprate all’Aldi. Sono partito con due borracce piene di Clusterdextrin Why per non mettere solido sulla colazione e per strada ho mangiato due panini al formaggio, un gelato, una pizza alle verdure e bevuto due Coca Cola, più colazione con cappuccio e brioche alla crema. Non ho fatto il conto delle calorie preciso, ma la strategia di base era mangiare qualcosa ogni mezz’ora e ogni tanto concedersi un solido per dare soddisfazione, senza troppe menate. Ha funzionato.