Amore GR-anitico

Nel cuore aspro della Corsica, distante dalle più famose località balneari del Mediterraneo della vicina Sardegna, si nasconde uno dei percorsi trail-hiking più maestosi e impegnativi d’Europa (qualcuno non si è fatto problemi a definirlo il più difficile del continente, ma era un Francese e sappiamo che esagerano sempre, specie quando si parla di territorio nazionale); il GR 20 è un sentiero o meglio: una Gran Randonneè di circa 180 km e approssimativamente 13’000 metri di dislivello che collega Calenzana a Conca con una progressione dal Nord Ovest al Sud Est dell’isola. A dominare il percorso sono creste e graniti, un ‘seghetto’ di salita e discesa impegnativo con passaggi di media esposizione che lo rendono consigliabile a chi sa destreggiarsi in montagna con una buona esperienza. Neanche a dirlo, come tutti i percorsi duri anche solo in modalità Trekking di più giorni, ci deve essere chi decide di provare l’attraversata in un single-push e negli anni grandi nomi si sono accaparrati il record: nei tempi femminili l’unico ufficiale registrato è un 41 ore e 20 di Emilie Lecomte (nel 2012), mentre tra gli uomini dopo le 32 ore di Guillame Peretti e Kilian Jornet in 32 h e 54 min, il miglior tempo è rimasto per diverso tempo a François D’Haene con 31 ore spaccate (2016). Fortuna che l’attenzione per i FKT si è alzata nella Covid-era, e un nuovo nome si è preso il primato proprio quest’anno: Lambert Santelli con il tempo di 30 ore e 25 minuti.

Anche DU se ne è andata in avanscoperta, con l’inviato speciale nonchè new Coach, Andrea.

Scritto da Andrea Tarlao.

Era ancora presto per ricominciare con la fase di allenamento di ripetute solita della stagione invernale e l’energia e motivazione erano ancora sufficienti per potersi imbarcare in un ultimo progetto.

Era la prima settima di ottobre, quando per puro caso un amico mi ha proposto di passare qualche tempo in Corsica. Poco ci ha messo a farsi viva l’idea di provare a correre il GR20.

Una breve ricerca su internet, una chiamata con il mio coach ed ecco pronto un bel piano di attacco. I tempi si, erano stretti dopo l’ultima avventura in Svizzera ma a me piacciono queste sfide dove la linea tra successo ed insuccesso si assottiglia.

Partenza prevista per il tracciato prima settimana di Novembre, arrivo .. sperabilmente non più di 50 ore dopo.

Insomma mi aspettavano dure settimane di allenamento e programmazione. Gli allenamenti duri in genere non mi danno problemi, anzi, avere un progetto tiene alta la motivazione e costanza. E’ sulla programmazione che sono una frana. Solitamente quando faccio i miei lunghi non dedico tempo a studiare il percorso.

Ho ordinato una mappa ed una guida del trekking ( che per qualche motivo mi è arrivata in Francese), ma credo di aver speso più tempo a guardare le foto per capire realmente come potesse essere il tipo di terreno che a leggere la descrizione delle varie tappe, d’altronde anche nel mondo dell’ Ultrarunning la tecnicità è soggettiva e va in base all’esperienza.

Le cose che realmente mi interessava sapere prima di cominciare la corsa erano poche ed essenziali, per il resto mi piaceva la sensazione di avventura.

-Condizioni meteo

-Fonti d’acqua (se ne trovano lungo il percorso in questo periodo, sono ruscelli e fiumiciattoli di montagna più qualche fonte vicino ai rifugi)

-Possibili ristori (rifugi chiusi da ottobre)

Data la situazione rifugi ed il budget economico pressoché nullo per il mio obiettivo ho deciso di lasciare una drop-bag al km 100 circa, quando il sentiero incrocia la strada per la terza ed ultima volta lungo la parte nord del percorso, prima di cominciare la cosiddetta parte sud.

La mia drop-bag era minimal come tutta l’organizzazione e conteneva:

-40gel

-patate lesse ed un po’ di riso in bianco

-calzini di ricambio

-batterie per la mia frontale

Continuavo a guardare il meteo e pareva che un’ ondata molto fredda stesse arrivando, solita chiamata al coach per riferirgli che la mia partenza era stata anticipata causa meteo al 19 Ottobre, come sempre le parole di Paco sono state di grande aiuto: “Vai , goditela e prenditela con calma, sarà un esperienza unica.. le gambe non sono al 100% però di testa ne hai!” Finisco i preparativi usando la mia solita check list per verificare se ho dimenticato qualcosa:

  • 40 gel
  • frutta secca
  • tramezzino (1 con formaggio)
  • pillole di magnesio e potassio
  • giacca a vento
  • pantaloni lunghi
  • maglia termica
  • maglietta di ricambio
  • buff
  • guanti
  • bastoncini
  • pile per frontale ( questa volta opto per le duracell e non per le ricaricabili petzel, le prime durano una notte intera)
  • carta igienica
  • accendino
  • telefono cellulare ( anche se non si ha linea se non vicino ai punti dove si incrociano le strade)
  • mappa del percorso

Il giorno successivo mi faccio accompagnare a Calenzana da un amico.

Si parte….

Parto piano lascio che le gambe si riscaldino al meglio, i primi km sono in salita però il terreno è ottimo, una corsa su un tipico sentierino di montagna. Cerco di mantenere un passo costante raggiungo la mia prima vetta “Bocca U Saltu” (1250Mt).

Da qua comincia una lunga traversata con qualche sali e scendi prima di arrivare al primo rifugio dove si trova una fonte.

La seconda tappa è quella che mi ha rallentato: una magnifica rampa granitica ed una traversata su cresta a mio parere non molto corribile, dove forse considerata l’anzianità delle mie scarpe ho cominciato a sentire un leggero dolore al ginocchio destro. Mi siedo prendo una pausa, respiro a fondo e spero che il dolore rimanga stabile.. ovviamente si sa che quando comincia un dolore difficilmente rimane stabile, ma aumenta.

Così come aumenta il dolore aumenta la difficoltà del percorso, ed ora ho una lunga discesa sassosa per arrivare a Haut Asco , dove deciderò a malincuore di fermarmi prima di causare ulteriori danni al corpo forzando una postura non più naturale.

Che dire, la mia avventura e’durata davvero poco. Ma dopo tutta la pianificazione, e dopo aver visto in che ambiente magnifico si sviluppa il GR 20, non posso non ritornare: alla prossima cara Corsica.

Sembra che dovremo torkare, Aska!

Wannabe a Viandante

La corsa è una cosa incredibilmente semplice. Quello che però ci affascina, è il significato che ciascuno di noi sa trovargli all’interno della propria vita. Come runner e come allenatori, è sempre affascinante scavare più a fondo, cercare di capire dove un semplice gesto atletico è capace di trasportarci. Forse per questo, forse perché il Viandante è uno di quei sentieri che avrei sempre voluto fare ma che non ho ancora smarcato, forse per l’essenzialità con cui se l’è vissuta Alessio, ma il suo racconto del sentiero del Viandante ha toccato le corde giuste. Quindi godetevi anche voi le sue parole e continuate a scavare. Coach D

Scritto da Alessio Di Pierdomenico.

5:50 AM: vibra il cellulare e rotoli giù dal letto.

Via il sonno e su la divisa, ovatta sotto i piedi in stile ninja e andare: fuori di casa dove tutto è pronto.

Non stancano mai le albe, con qualsiasi meteo. In soli otto mesi hai compreso che tutti i giorni possono partire nel migliore dei modi… E ora è difficile farne a meno.
Non importa se ti serve la frontale per trovare la traccia perché sei sempre nel tuo elemento. E la temperatura non fa mai paura: se hai dimenticato qualche strato, ti basta spingere un po’di più.

Nonostante il momento storico in cui ti trovi, non ti sei tirato indietro dall’inseguire una cosa nuova a cui dedicarti con tenacia e, soprattutto, hai capito che son tutte magnifiche prime volte quando, zuppo di sudore, rincasi e riponi le scarpette.

I mesi di quella brutta roba che il Coach chiama ‘ciclo’ volano coi km, anche quando non sembra. Anche d’inverno. È già tempo di testare tempi più lunghi sulle gambe e inizi a domandarti “Come risponderà il tuo corpo?” o “Cosa passerà dietro i tuoi lobi frontali di fronte tutte quelle ore a zonzo?”.

Sono lecite preoccupazioni, se la tua storia sportiva è stata per vent’anni legata a un rettangolo di erba verde. Anni in cui l’attività in sé era l’occasione per condividere e crescere. Poi però la magia ha iniziato a sbiadire… L’agonismo ha preso spazio alla spensieratezza e ti sei sentito pronto ad appendere la divisa; quasi dieci anni passano senza che nessuno sport ti coinvolga veramente.. Senza qualcosa da guardare con lungimiranza.

Poi, il caso, fa sì che ti imbatta in un libro e inizi a divorarne altri… Leggi articoli, ti butti su video, documentari e film. Semplicemente rimani folgorato e senza spiegarti il motivo capisci che vuoi a tutti costi entrare a far parte di quello strambo mondo fatto di vesciche e unghie che cadono.

Correre può insegnare a essere umili e farti capire che il sostegno alla crescita deve arrivare da un qualcuno in grado di guidarti dopo l’imprinting… E se hai la fortuna di trovare qualcuno che ti fa contemporaneamente da coach e da mentore, allora hai imboccato la via giusta!

Il battesimo di fuoco lo fissi dopo che ti imbatti nella parola “Viandante”, nel vocabolario come “persona che passa per vie fuori di città, viaggiando a piedi, per raggiungere luoghi anche lontani”… Praticamente descrive la tua idea di ultra e lo fa proiettando nella mente una visione poetica di Te stesso, in pellegrinaggio per il puro divertimento di farlo, esplorando senza assilli.

Così scopri che sulla strada per la casa in montagna esiste uno splendido cammino tracciato chiamato Sentiero del Viandante. I segnali vanno assecondati, sempre!

E allora ti godi tutto, a partire dalla preparazione dell’evento: studio della traccia, strategia di passo sul percorso, alimentazione e idratazione, gestione degli imprevisti. Impari ad apprezzare meglio anche gli sforzi amorevoli di chi ti sopporta con il sorriso tutti i giorni, tra macchinate di capi tecnici, capitali spesi in gel, podcast a tema e S&C casalingo… La stessa moglie che la mattina presto di un sabato di metà Aprile ti scorta all’inizio della via, in quel di Abbadia Lariana.

La mattinata è fresca, limpida e scorre veloce nell’ammirare tutte le sfumature dei belvedere affacciati sul lago. La traccia è scolpita nell’amato sottobosco che zigzaga alla base delle guglie calcaree delle Grigne. Il sole scalda anche più di quello che ci si aspettava, ma si beve e mangia regolarmente e questo sembra bastare per mantenere alta la motivazione.

È incredibile come una superstrada percorsa in auto decine di volte all’anno abbia sempre celato quei paesaggi laghee, fatti di paeselli di riviera arroccati, muri a secco e ville nobiliari. È una cerniera di mulattiere e sentieri che unisce i due estremi di questo mondo: acqua e montagna.

La percezione di quello che vedi e senti si perde nei meandri della mente quando trovi quel flow che aziona i piedi in maniera meccanica e automatica… Le immagini, i rumori e i profumi ti elevano a uno stato di pace mentale che sa di inconscio e profondamente intimo, quasi primordiale.

Dopo aver percorso i boschi sopra l’insenatura del laghetto di Piona, comprendi che il sentiero sta per virare deciso verso la bassa Valtellina quando il massiccio campanile della Chiesa della Madonna di Valpozzo inizia a svettare tra le fronde dei castagni.

E dopo tutte quelle ore non puoi che desiderare il dolce bentornato della tua famiglia: quando i tuoi due devoti whippet ti si scagliano addosso a tutta, anticipando con piacere la finish line sai di essere arrivato, ad attenderti tua moglie e un meritatissimo pacco di patatine!

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Nota a margine: dati tecnici del percorso.

Distanza: 45 km

Elevazione: 2500 d+ / 2500 d-

Località di partenza: Abbadia Lariana

Località di arrivo: Piantedo

Traccia GPX: https://connect.garmin.com/modern/course/51076546

Difficoltà: E (che vuol dire ‘esticazzi?’: per tutti)

Via Alpina: 1st attempt

Credevamo non fosse facile gestire un’estate senza gare: invece è bastato pungolarli un po’ ed hanno trovato mille modi diversi per trovare lungo. E a proposito di lunghezza, pochi hanno mirato così lungo come Francesco. A chi affascina l’idea delle traversate, a chi esalta il multiday, a chi piace l’idea del viaggio o anche solo a chi è curioso di sapere cosa vuol dire mettersi in moto per quattro giorni di corsa, ecco il racconto di Francesco Piovesan.

Passare in casa più tempo del solito è stato per me sinonimo anche di guardare più Youtube del solito e cercare di prendere spunto su qualcosa da fare in sostituzione delle gare di quest’anno. Era da qualche tempo che stavo pensando ad un multi-day che, su consiglio del Coach, sarebbe stato interessante combinare ad un FKT.

Vivendo in Svizzera, è piuttosto semplice partire da un punto e fermarsi in qualsiasi piccolo paese per prendere un bus o un treno e tornare a casa. L’idea iniziale era di fare 200km, numero tondo, e vedere quanto ci mettevo. Avevo scelto per questo un tratto della Via Alpina, una serie di itinerari sulle Alpi, da Trieste a Montecarlo. Chiaramente non potevo registrare l’FKT di un tratto della Via Alpina, quindi ho preso l’itinerario Verde che attraversa la Svizzera (ok…e il Liechtenstein) e ho deciso di provare a farlo tutto. Partenza da Lenk im Simmental, nelle Alpi Bernesi, e arrivo a Sücka, nel Liechtenstein. Secondo il sito ufficiale, 280km e 17000m di dislivello. E qui c’è stata la prima lezione: i dati che si leggono online potrebbero non essere precisi.

Via Alpina Verde, una passeggiata di salute di 280 km (forse…)

Il sito però offre una guida molto dettagliata sul percorso e la quantità di informazioni presente mi spinge a preparare un Excel in cui prevedo orari di partenza e arrivo dei singoli giorni, nonché luoghi di sosta intermedi dove poter comprare del cibo reale. Ecco la seconda lezione, che deriva dalla prima: è probabile che se le distanze non sono quelle che pensi, una tabella con orari e soste programmate serve a poco. 

Programmo comunque il materiale per 4 giorni, cercando di minimizzare quanto possibile. D’altro canto devo correre, mangiare e dormire. Devo però tenere in considerazione che il percorso si snoda tra valli relativamente calde e passi vicini a ghiacciai. Arrivato il giorno della partenza, peso lo zaino che, considerando 1L d’acqua, sarebbe arrivato a 5,6 kg. Penso che tutto sommato non sia tanto, ma dopo i primi 80km inizierò a cambiare idea.

Il primo giorno é il più duro, con due passi a 2800m e la distanza maggiore da coprire. So che non devo forzare molto il ritmo perchè poi lo pagherei nei giorni successivi. E comunque voglio anche godermi un po’ il panorama, che monti come l’Eiger e lo Jungfrau possono assicurare. Così infatti arrivo a sera, entrando nell’hotel alle 23.00 sotto la pioggia. Unico problema incontrato un dolore alla caviglia, che però riesco a risolvere correndo con la scarpa allacciata solo sopra la pianta del piede. Un aspetto invece molto positivo è la segnalazione del sentiero, che coincide con il percorso svizzero numero 1, rendendo la traccia GPS praticamente inutile.

Il secondo giorno inizia da dove il primo aveva finito, ossia con la pioggia. E così continua fino a mezzogiorno. Il bello è che una coppia che avevo incontrato il giorno prima e faceva il percorso in senso opposto mi dice che il tratto che avrei fatto appena sveglio era il più bello. Mi accontenterò delle foto…degli altri. Mi fermo in un paese per mangiare qualcosa di caldo e, contando nel fatto di trovare cibo familiare, entro in un ristorante italiano. Prendo una zuppa di patate che altro non è che purè allungato con un po’ d’acqua, molto poca. Riparto ancora sotto la pioggia e dopo qualche minuto capisco che qualcosa nel mio stomaco non va…

Jungfrau

Nel pomeriggio il tempo migliora ma non riesco a godermi più di tanto la giornata e, anche se riesco a continuare a mangiare Snickers, la nausea mi obbliga a fermarmi prima di dove diceva il mio Excel. Saltano quindi tutte le prenotazioni degli hotel, ma dato che gli Svizzeri sono di media buoni e gentili, mi rimborsano tutte le notti anche se non era previsto da Booking.

Il giorno successivo si rivela il migliore, non sento particolare stanchezza e il tempo è clemente. A colazione cambio tattica e invece di svegliarmi presto e mangiare al sacco, svaligio il buffet.  Ripeto lo stesso il quarto giorno, ma il fatto di aver passato più di 72 ore da solo, incontrando principalmente mucche e pecore, inizia a farsi sentire sulla testa. Il classico grüezi (“ciao” in svizzero-tedesco) non mi esce più molto bene. C’è anche da dire che la distanza massima che avevo corso prima di quel momento erano 120km e inizio ad accusare qualche dolore.

Englestlensee

E’ comunque una bella giornata da passare sui monti quindi vado avanti, ad un ritmo più lento, ma comunque correndo. Decido di fermarmi nel tardo pomeriggio dopo 250km, sapendo che non me ne mancano altri 30, ma, secondo la mappa, più del doppio. Seduto al tavolino di un bar, con una meritata birra in mano, penso per un istante a ripartire il mattino successivo, ma decido di chiudere questo tentativo e far tesoro delle lezioni imparate per il prossimo anno. Non c’è fretta.

Rigofollie: ragazzi problematici e FKT.

Credo che Francesco sarebbe la gioia e disperazione di ogni Coach. Tanto talentuoso e capace di saper scavare a fondo, quanto indisciplinato ed anarchico. Ma è una persona intelligente, in primis, e poi esprime una gioia con la corsa che gli si perdonerebbe (quasi) tutto. Continuo a credere di riuscire un giorno a convertirlo ad un approccio quantomeno “non schizofrenico“, ma quando ho pensato ad una persona che nella dimensione FKT può davvero esprimere il proprio estro, lui è il primo che mi è venuto in mente. La nostra personale battaglia continua, comunque. Coach D.

Il meraviglioso mondo degli FKT (Fastest Known Time) è già stato introdotto nel blog da Paco e discusso ampiamente nell’ultima puntata di “True Commitment”. Per gli smemorati: prendi un percorso, che sia già stato fatto o che possibilmente qualcun altro in futuro sarà interessato a ripetere, corrilo e cerca di essere il più veloce possibile.

Ci sono delle varianti e qualche accorgimento ma sostanzialmente è molto semplice: dei chilometri, un orologio che parte con te e si ferma solo alla fine, il proprio fiato. Per gli amanti dei dettagli (o del farsi problemi laddove non ce ne sono) c’è un sito che dice tutto quello che c’è da sapere su questo tipo di sfide. Personalmente non lo conoscevo e non ho neanche molta voglia di andare a guardarlo quindi da questo punto in poi si prosegue con la mia personale visione e opinione dei FKT.

A me i FKT sono sempre piaciuti, anche prima che sapessi si chiamassero così. Da “segmenti” di pochi km a viaggi con migliaia di metri di dislivello. Si esce un po’ dal mondo delle gare. Si parte da un percorso che si ha già in testa per qualche strano motivo o attrazione, lo si pianifica a proprio gusto con più variabili e poi via, di cavoli propri. Ho sempre sentito i FKT molto più miei delle gare, sono sempre stato meglio che durante le gare, mi hanno dato più soddisfazione di molte gare (ma c’è da dire che io nelle gare mi ritiro).

Personalmente riconosco tre modi diversi di fare un FKT:

  • Avventura: un viaggio da solo, autogestito il più possibile, con infinite variabili e imprevisti che non si può prevedere. Alla scoperta di sentieri un po’ nuovi, un giro disegnato con un po’ di fantasia e creatività su una mappa in posti che si cercava una scusa per andarci da un po’.
  • A bomba: una sfida fisica, sentieri che si conosce quasi a memoria, sasso per sasso. Tutto pianificato fino all’ultimo dettaglio, fino all’ultima lepre per metterci meno possibile su sentieri che si sente casa propria.
  • Assistenza: accompagnare un amico/a nella sua sfida personale, probabilmente a bomba ed essere partecipe dell’altrui obbiettivo per scroccare un po’ di felicità da cosa bella.

Prima dell’emergenza Corona-Virus, per questo 2020 avevo pianificato di farne uno per tipo. Adesso che sono saltate le gare… beh in realtà non cambia quasi niente. Ma per oggi scriverò solo del primo, quello più viaggio, anche perché degli altri due Coach Grazielli è venuto a sapere leggendo ora queste righe.

Il mio primo FKT si chiama “Dolomiti di Brenta Trek”, un anello alto delle Dolomiti di Brenta, 89 km e 8200 d+ da guida ufficiale (www.dolomitibrentatrek.it). Tutto corribile. Tentativi noti, nessuno. Tempo stimato per persone allenate: 6 giorni. Ore necessarie da tabella CAI senza soste: 43. Quota: tra i 1500 m e i 2500 m. Bei numeri

Mi è venuto in mente 2 anni fa mentre mi trovavo là in mezzo. Mi piace perché questi posti li ho un po’ nel cuore eppure non li conosco ancora così tanto, perché è un anello, perché è tecnico. Semplice

Scelto il misfatto rimane quindi da rispondere alle domande pratiche: Come? Dove? Quando? Perché?

Come?

Bisogna essere allenati, certo, la parola qua dovrebbe averla il Coach ma mi ha lasciato carta bianca e quindi scrivo il cazzo che mi pare. Non credo di dovermi allenare in modo tanto diverso per questi 89 km se non, Covid permettendo, di abituarmi di nuovo a passare tante ore in montagna. Le difficoltà del percorso saranno le lunghe e ripide salite e discese e la tecnicità di certi tratti, ma , ehi, me lo sono scelto io quindi queste cose sono esattamente quelle in cui in cui mi trovo più a mio agio e su cui quindi passo più chilometri il resto del tempo.

Considerando che l’idea è di farla in avventura, quindi zainetto e via e ci ristora solo in rifugi, torrenti o piante di mirtilli, una parte fondamentale ce l’ha con cosa partire. Da esperienza so che in uno zaino da 5 L riesco a fare stare tutto ciò che mi serve:

  • Cibo
  • 1 L acqua
  • Goretex
  • Telo termico
  • Fischietto
  • Berretto
  • Maglia termica
  • Guanti
  • 2 X Buff
  • Telefono
  • Cartina “Dolomiti di Brenta”
  • Bastoncini
  • Orologio GPS
  • Occhiali da sole
  • Mini kit medico
  • Soldi

Materiale aggiuntivo: ramponi in caso di neve/ghiaccio quota, kit da ferrata e casco che devo ancora capire come sono i punti più critici. Ovviamente in questi casi lo zaino diventa più voluminoso.

Per il cibo, ci si adegua ai rifugi quindi conoscendomi sarà un tripudio di Coca Cola, Radler, panini con lo speck e strudel. Probabilmente con me porterò qualche gel, delle Kinder Brioss e dello sgombro sott’olio per le emergenze. Fortunatamente riesco a bere molto poco, ho lo stomaco ricoperto di ghisa e quindi la parte di alimentazione e idratazione è quella che mi preoccupa meno di tutte.

Alla fine, il segreto è ricordarsi di essere comunque impreparati e quindi doversi aspettare di tutto e di più. Qualcosa andrà storto per forza ma così è ancora più divertente.

Dove?

Le Dolomiti di Brenta, ovvio. Si, ma da dove? La bellezza di fare un giro così ad anello è che si può partire da dove si vuole (basta ritornarci) e nel senso che si desidera. Questo forse non va bene secondo le regole ufficiali del FKT ma come cantava Achille Lauro vestito da ciclista: me ne frego. Da cartina ci sono moltissime vie di accesso al Dolomiti di Brenta Trek. Per gusto personale, anzi per amore, partirei da Malè, Val di Sole, salirei al Rifugio Peller, punto più settentrionale del sentiero, e partirei in senso antiorario verso la Val Rendena, giro intorno Cima Tosa, avvistamento di Andalo e Molveno, dritto verso la Val di Non e poi tana libera tutti.

Quando?

Visto quota e situazione pandemica, il periodo migliore sarebbe agosto-settembre, in modo che neve ce ne sia poca e i rifugi magari abbiano ripreso a lavorare (più per loro che per necessità mia). Se mi aspettano 89 km con 8200 d+ potrei stimare per eccesso un tempo necessario intorno alle 16 ore. Quindi la cosa migliore sarebbe partire per le 4 di mattina e cerca di arrivare entro il tramonto con il mix di motivazione cronometrica e solare. Possibilmente un giorno della settimana in cui dopo non debba lavorare. Poi, magari non si può uscire, magari salta tutto, ma le montagne restano e questo sogno nel cassetto pure.

Perché?

Perché mi va. Perché quelle montagne mi piacciono tanto e lassù da solo in distanziamento sociale so che mi vengono le farfalle allo stomaco (non crediate che a farla come FKT non ci sia il tempo per ammirare tutto quello che ci si circonda, al massimo il rischio è cadere ogni due metri!). Perché ho scoperto che a fare un FKT così, in avventura per tutto il tempo necessario a completarlo mi sento bene, mi sento veramente a mio agio con tutto. Libero. E non ho mai pensato “quanto manca?”, come in gara, piuttosto mi sono detto “vorrei che mancasse di più!”. Questo genere di cazzate per quando appaiano sadiche ai più mi hanno sempre fatto tornare a casa con il doppio di energia e per quanto controsenso possa esserci la settimana dopo corro anche più forte. Quindi, perché no?