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Top 5 cose che fai quando non corri (e rosichi)

Top 5 cose che fai quando non corri (e rosichi)

Top 5 cose che fai quando non corri (e rosichi)

A volte è un infortunio, oppure ci si mettono il lavoro, la famiglia, le mille cose che si frappongono fra noi e la nostra routine di corsa quotidiana. A volte finiamo semplicemente la benzina e ci ritroviamo in completo burnout, senza le risorse che servono per continuare a tenere il piede sull’acceleratore. Però è capitato a tutti noi, prima o dopo, di ritrovarci ai box, più o meno forzatamente, mentre tutti gli altri invece continuavano ad andare avanti imperterriti, accumulando chilometri e dislivelli come se non ci fosse un domani. Sappiamo tutti di cosa sto parlando, giusto? Cosa succede a quel punto? Ecco la mia personale Top Five delle cose che si fanno quando tutti gli altri corrono e tu no (e rosichi).

  1. Internet

    Il runner appiedato finisce ben presto vittima della grande macchina dei social network. Tutto quel flow di immagini, tweet e hashtag che normalmente ci fanno una piacevole compagnia mentre sorseggiamo un recovery drink la domenica mattina, appena tornati dal nostro lungo, ecco che diventa il nostro metadone dolciastro. Da un momento all’altro ci troviamo senza la nostra droga preferita, ed eccoci a navigare come anime disperate nell’immensità del web alla ricerca di un sollievo che non troveremo mai. La mia debolezza principale sono i video. C’è chi si ammazza di podcast, di racconti e riflessioni profonde, io invece mi metto su Youtube e inanello una serie infinita di report di gara, video promo e retrospettive altisonanti sulle corse più belle del mondo. Il tutto si conclude di solito mettendo su per l’ennesima volta “Unbreakable”, seguito da un più attuale “This is your day”. Sul solito finale degli M83 giuro che, cascasse il mondo, tornerò ad allenarmi presto.

    Quando non ne posso più di video, mi consolo con i miei migliori amici di sempre: i libri. Se possibile, fanno ancora più male, perché lasciano vagare in maniera indiscriminata la mia mente assetata di endorfine. Mi ritrovo a leggere di Ueli Steck e delle sue salite in velocità, mi immergo in qualche testo pseudo filosofico sulla corsa o, da bravo nerd, finisco per rileggermi per l’ennesima volta qualche libro sull’allenamento. Più è tecnico e dettagliato, meglio è. Mi trovo a raschiare il fondo con i libri sull’alimentazione, tanto illuminanti e ricchi di spunti quando ti alleni, quanto terribilmente deprimenti quando sei piantato per terra come un tombino. La faccenda si esaurisce rileggendo in maniera ossessivo-compulsiva la mia collezione (quasi) completa di URMA. Quello è il colpo di grazia che mi fa passare allo step successivo.

  2. Gear freak

    Alla quarta volta che riorganizzi tutto l’abbigliamento sportivo nei cassetti, cominci a farti qualche domanda. C’è forse qualcosa di strano nel passare in garage dopo essere andato a buttare la spazzatura e finire col provarti per l’ennesima volta tutte le tue scarpe da corsa? A te sembra perfettamente normale: già che non corri, ottimizzi e cominci a pensare a quale scarpa userai nelle mille gare che sogni fare (e che ovviamente non farai, o almeno non tutte). Durante le riunioni più noiose in ufficio, metti giù un piano mentale minuziosamente dettagliato per le drop bag e i materiali da mettere direttamente nello zaino. I colleghi pensano che tu abbia quell’aria compiaciuta perché hai appena avuto una grande idea, invece hai solo trovato la combinazione ideale per far stare guscio, sovrapantalone e intimo caldo nello zainetto da 5 litri che volevi tanto usare. Priorities, right?

  3. Negazione

    Quando realizzo che non è leggendo di corsa o ammazzandomi di video sull’argomento che uscirò dal tunnel, mi torna in mente il Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) di Pulp Fiction: “Mi chiamo Jerda, e non è con le chiacchiere che uscirai da questa merda”.


    Lo visualizzo proprio mentre me lo dice guardandomi negli occhi, e questo mi preoccupa leggermente. Realizzo che per venirne fuori serve qualcos’altro e che devo cominciare a cercarlo seriamente. Prima che mi trovi Zed.

  4. Faccio cose, vedo gente

    “Non posso correre, ne approfitterò per vedere un po’ di gente e fare quelle cose che non riesco a fare quando mi alleno di brutto”. Bravo, bel tentativo. Peccato che nella maggior parte dei casi le suddette persone si siano ampiamente organizzate, durante la tua assenza. Piazzi un concerto, ti diverti anche. Però finisce tutto in un “Meh.”. Ti fai un paio di serate barbine come ai vecchi tempi, rivedi gli amici e ti racconti tutto quello che in mesi di training forsennato ti eri innocentemente dimenticato di condividere. Solo che realizzi di non avere chissà che da raccontare, e alla terza volta in cui ti ritrovi a parlare all’amico fonico di quella gara che ti piacerebbe un casino fare e di cui lui ignora persino l’esistenza, intuisci di non essere andato molto lontano.


    Ti guardi le scarpe, sono da trail, e sono pure infangate. Sei uscito a bere con le scarpe degli allenamenti importanti e non ci hai neanche fatto caso. Offri un ultimo giro e te ne vai a casa. A volte capita addirittura che tu riprenda la chitarra in mano, tiri giù qualcuno dei pezzi che ti ricordi ancora. È la più dolce delle consolazioni, e pensi che un giorno o l’altro ricomincerai a suonare seriamente.

  5. Consapevolezza

    Alla fine, arriva la consapevolezza. Non appena ne hai la possibilità, ti allacci le scarpe e vai a correre, con una discreta paura di realizzare quanto fai schifo. I primi chilometri sono tremendi, ti chiedi come farai mai a tornare ad essere anche solo l’ombra di quel te stesso che sei mesi fa si è presentato sulla start line della gara dell’anno, in forma smagliante e col sorriso sulla faccia. Mentre cerchi disperatamente di ritrovare un passo decente, ti ritrovi invaso di tutti i pensieri negativi che hai così diligentemente tentato di tenere a bada. Pensi agli amici che stanno gareggiando e che si divertono, che stanno bene, che postano foto di posti fighissimi mentre tu ti trascini cercando di completare una recovery in maniera anche solo vagamente decorosa.
    Mentre sei completamente in balìa di te stesso, però, ad un certo punto capita qualcosa. Il passo prende il giro giusto, le gambe cominciano a girare meglio, non soffri più e cominci persino a godertela. Ti dimentichi del passo, della forma, di tutte le menate che ti hanno annebbiato il cervello negli ultimi tempi. Respiri, corri, trovi il tuo flow. Tutto il resto sparisce. Finisci il tuo allenamento, e realizzi che hai in mente solo un pensiero: quando sarà il prossimo? La priorità numero uno diventa solo questa: trovare il sistema di tornare a sentirti così, qualunque cosa tu debba fare.

 

Ha un suo senso, ritrovarsi a raschiare il fondo del nostro personale barile. È uno schifo, là sotto. È buio e c’è una gran puzza di chiuso. Non ti ci ritrovi per niente, se non fosse per quel barlume di familiarità che ti ricorda che da lì ci sei passato tante altre volte per poi essertene tirato fuori, in qualche modo. Ci vuole carattere per uscire da laggiù, ma l’ultrarunning non è forse questo? Un’insensata e meravigliosa dimostrazione di carattere?

Allora ti ritrovi a sfogliare un calendario, a scegliere la casella in cui andare a scrivere il nome della tua prossima gara. Ricominci da lì. Ed è quello, il momento più importante di tutti. Cerchi un pezzo su Spotify, salti e sbraiti come un quindicenne, con una rabbia che ritrovi con una facilità che ti rincuora. Tutto ricomincia da lì, da quella casella sul calendario con su scritto “Lavaredo”. Ricomincia il tuo viaggio, e già ti sembra di respirare di nuovo.

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