Da atleta, da allenatore, da giornalista o da semplice appassionato, questo era il mio quattordicesimo UTMB.
Chamonix è sempre stato in questi anni quella settimana folle cerchiata di rosso segnata sul calendario, convenientemente piazzata a scandire la fine dell’estate. Vissuta a volte con palpitazione (specie quando l’ho corso), a volte con emozione (quelli vissuti da allenatore), a volte con curiosità (quelli da giornalista), talvolta con spensieratezza (quelli da turista o le ore rubate al lavoro per uscite semiclandestine di corsa o per i party). Ma mi ha regalato in ogni caso incontri, ricordi, momenti, luoghi che hanno segnato la mia vita.
E’ovvio che, in quindici anni, ho visto UTMB e Chamonix cambiare in maniera radicale. Ma mai come quest’anno, avevo “sentito” il passaggio di un era. Nei prossimi giorni sarà il momento della parte “tecnica”, e sicuramente troverete qui o sulla newsletter approfondimenti ed osservazioni, ma mi faceva piacere aggiungere le mie considerazioni a quelle scambiate con colleghi ed amici o a quelle lette sul web, sul grande circus UTMB.
- Abbiamo il vizio di considerare i francesi boriosi e spesso siamo così provinciali da ripetere sempre gli stessi clichés idioti, ma sfido CHIUNQUE sia stato in questi giorni a Chamonix a negare l’affermazione che UTMB è il “sommet mondiale du trail”. Volente o nolente, è vero. L’hanno forse deciso arbitrariamente, all’inizio, ma le aziende, gli atleti, gli sponsor ed i media, ci hanno creduto ed ora è un dato di fatto.
- L’hanno raccontata tutti quella del livello, ed è vero, siamo arrivati ad un punto in cui dietro ai top, c’è un esercito di corridori di alto livello che si allenano come matti. Ma prima di partire con i classici “l’anno scorso con XX ero arrivato XX” ricordiamoci (come ha ricordato a me il buon Enrico Deffe) che la scorsa edizione non vedeva al via quasi nessun americano/australiano/neozelandese/thailandese/cinese. Piuttosto, la notizia è che alcune di queste nazioni stanno infilando davvero tanta gente in quella zona appena dietro i top assoluti. Che è emozionante.
- L’osservazione di Rigo nel suo bel post sulla pagina FB di Spirito Trail che “L’anno scorso per dimenticare emotivamente un morto ci sono volute 27 ore ma si vede che il movimento è cresciuto bene e quest’anno ne sono bastate 2” è incontrovertibile e a modo suo è segnale di quanto siano diventati bravi nella comunicazione. Anche se questa declinazione cinica della parola “comunicazione” mi fa abbastanza schifo.
- Non sono invece d’accordo con lui sul fatto che la TDS si sia presa comunque un bel palcoscenico grazie ai suoi vincitori Pommeret e Valmassoi. Forse è stato vero fino a venerdì, poi una CCC vissuta sul filo di lana ed una UTMB che, a parere personale e di qualche altro collega, è stata la più emozionante di sempre, l’hanno un po’cancellata dallo schermo. La TDS aveva onestamente contenuti tecnici inferiori, che non leva niente all’impresa di Ludo, Martina e di chiunque l’abbia fatta e finita, perché è un bel mostro di gara. Verissimo invece che UTMB (inteso come organizzazione) abbia voluto affossarla levandole visibilità, collocandola in una posizione assurda e con uno start ad un ora indegna che ha costretto troppi atleti a due notti fuori. Ma già con l’allungamento ed indurimento l’avevano svuotata di contenuti per farne una sorella macho di UTMB. Poi hanno capito che potevano comunque guadagnare di più facendo gare nuove altrove invece di infilare a forza gare nuove nella settimana di Chamonix ed è diventata una presenza imbarazzante. Io credevo addirittura la spostassero in altra data, invece ne faranno il contentino per chi non ha le Stones. Peccato, le prime edizioni erano state davvero belle gare su un percorso di livello.
- Non parlo della PTL perché non è il momento e non ho voglia di sentire tutte quelle menate su chi è “montagnard” e chi no.
- A tutti i cari amici che mi dicevano “te ne vai in vacanza eh, beato te”: le vacanze le vado a fare in un posto che scelgo io, in un momento che scelgo io, e solitamente non comprendono il fatto di dormire male 3 ore a notte, inseguire persone sudate, nervose e distrutte dalla fatica, rispondere a messaggi alle 11 di sera come alle 5 del mattino e fare la coda per comprare due brioches che costano quanto un pranzo in un paese normale. Il mio lavoro non lo cambierei con nessun altro, ma resta un lavoro: puoi anche fare l’assaggiatore di creme alla nocciola o il tester di materassi, ma se lavori 20 ore al giorno weekend incluso, una settimana resta lunga. Got it?
- Per gli addetti ai lavori era abbastanza palese, ma la presenza di IRONMAN si faceva discretamente sentire. Non vedevi il loro marchio manco per sbaglio, perché probabilmente c’era la paura di “spaventare” un mercato abbastanza tradizionalista e mugugnone, ma nell’impostazione dell’evento, in alcune piccole cose come l’organizzazione dell’Expo, il risalto dato alle categorie di età, non ci voleva molto per notarlo. Prima di tutti, ci sono arrivati alcuni miei atleti anglosassoni che sono migrati alle ultra dal triathlon per sfuggire dalla morsa di IM: non ne erano contenti, ma fortunatamente in questi anni hanno capito che esistono alternative.
- E questa è forse la lezione più importante che porto a casa: venerdì, in uno di quei momenti di spensieratezza rubati al lavoro, io, Mari e Tommy siamo saliti al Mer de Glace e poi abbiamo corso il Balcon Nord fino alla cabinovia. A metà strada abbiamo passato una coppia ed ho riconosciuto immediatamente Diana e Tim Fitzpatrick. Ora, servirebbe troppo per raccontare di loro e lo lascio a questo bell’articolo di iRunfar, ma Diana è in questo momento la Presidente del Board della Western States 100. Con la solita cordialità americana, quando ci hanno raggiunti mentre io e Mari dividevamo una barretta, hanno attaccato discorso e quando hanno scoperto che avevo corso WS e che conoscevamo tante amicizie comuni, abbiamo passato una mezz’oretta che credo non dimenticherò mai. Per loro era la prima volta ad UTMB e quasi con timore Diana ci ha confidato come la magnitudine dell’organizzazione UTMB l’avesse impressionata, al punto di non sapere come Western States potrà mai avvicinarsi a quello che aveva visto. La mia risposta, e lo penso dal profondo del cuore, è che Western States non dovrà mai cercare di replicare UTMB: Western States non ha nessun bisogno di inseguire nessuno, l’atmosfera, il senso di comunità che ha saputo creare, la sua storia, non hanno niente da invidiare a UTMB. Sono due standard diversi, entrambi di altissimo livello, ma è bello che possano convivere. Assieme ad altri 100 ancora diversi. Vale per le gare grosse, storiche, ma anche per quelle nuove: quando una gara ha un bel percorso, o una storia particolare, o un attenzione speciale per i corridori, quando sa “raccontare” qualcosa ed emozionare, che bisogno c’è di scimmiottare qualcosa che è pressoché unico ed irripetibile?
L’ho detto tante volte e non mi stancherò di ripeterlo: il nostro mondo è in espansione, ma sarà davvero una crescita se sapremo rendere il nostro sport inclusivo. E allora quale modo migliore se non iniziare a godere della diversità nelle gare che scegliamo?
- Ci sono due motivi principali per cui io, Mari e gli altri allenatori di DU decidiamo ogni anno di spendere un sacco di soldi (Chamonix è diventata inavvicinabile, a proposito) e bruciare una settimana del nostro tempo per essere a UTMB.
Il primo è stare vicino ai nostri atleti e vivere insieme il culmine di mesi di mail, telefonate, messaggi ed allenamenti: vederli tagliare quel traguardo, è una delle cose più belle che possono capitare ad un allenatore.
Il secondo è la gente: quella che rivedi dopo un anno, quella che conosci in giro, quella di cui avevi sentito parlare o quella che hai sempre ammirato (come Tim e Diana). Ma non ritorni mai indietro da Chamonix senza qualche nuovo amico e qualche storia in più da raccontare. E questo è uno dei motivi (come dice il buon Simon di LIKE THE WIND) per cui corriamo: la comunità che ci circonda e rinnovare il nostro ruolo in essa.
Ci vediamo il prossimo anno, maledetta Chamonix.