DU COACHING

Fell running: gambe, testa e cuore.

Fell running: gambe, testa e cuore.

Fell running: gambe, testa e cuore.

Testo e foto di Elena Adorni

Capitolo 2

Il fell running non è una disciplina per deboli di spirito. Orientamento a parte, non sono richieste particolari capacità tecniche. Come dicono alcuni esperti del settore, servono solo gambe, testa e cuore. Io aggiungerei anche un grande amore per le pozzanghere e per il fango che ti si incrosta alle gambe per giorni. E anche per la salita, soprattutto sotto la pioggia e la grandine. L’assenza di un vero e proprio sentiero marcato, insieme ad un terreno roccioso unico al mondo, fanno sì che chi corra debba fare affidamento solo sulle proprie abilità e resistenze in autonomia, ancora di più rispetto ad una classica corsa su trail o strada. Una gara di fell può diventare un’avventura in montagna degna di essere chiamata tale.

Non ho una grandissima esperienza personale in fatto di gare. La mia prima (ed ultima) gara di fell running è stata appena più lunga di 15 miglia sulle colline fuori Manchester, nel cuore della campagna inglese. Il percorso partiva da un paesino in salita di nome Heptonstall. Mi avevano detto che a dare inizio alla gara con un colpo di pistola sarebbe stato il prete del paese. Una mezza maratona in mezzo a fiumi, sassi e pecore sarebbe stata rigenerante. Avevo delle scarpe da trail, non sarebbe servito molto altro. L’iscrizione alla gara era di 10£ ed essendo stanca di correre sul cemento tutti i giorni, volevo andare a vedere più da vicino che cosa fosse, questo fell running.
Sono partita con la mia amica Hannah, e siamo arrivate a registrarci alla partenza totalmente impreparate. Sapevamo che dovevamo portare uno zainetto con bussola, un paio di vestiti asciutti di emergenza e i guanti. In fila per prendere il numero, gli organizzatori ci hanno sgridate per non aver stampato la mappa del percorso a casa ed essendosi insospettiti, ci hanno chiesto se avessimo navigation skills (capacità di orientarsi solo con bussola e mappa). Assolutamente si, abbiamo detto. Hannah ha rinunciato a metà gara perché si è persa, mentre io in qualche modo sono arrivata fino alla fine, sempre seguendo gruppetti di persone, senza avere idea di dove sarei andata senza di loro. A fine gara sono entrata nella chiesa dove distribuivano la zuppa, e appena ho varcato la soglia tutti si sono girati verso di me. Mi sono guardata le gambe, che erano completamente insanguinate dal ginocchio in giù. Cadendo sul terreno roccioso in discesa mentre andavo abbastanza veloce, mi ero fatta due tagli piuttosto profondi su entrambe le ginocchia, ma ero così fuori di testa per la fatica e per la gioia di aver scoperto quel mondo, che non mi ero accorta del dolore, o del sangue, mi ero semplicemente rialzata e avevo proseguito senza manco guardarmi le gambe.
Dopo quella gara ho deciso che avrei corso su strada il meno possibile. Correre sul piano senza l’imprevedibilità degli elementi era diventato estremamente noioso. Il destino vuole che mi avessero offerto un lavoro a tempo indeterminato in campagna. Così ho iniziato ad allenarmi nei paesaggio nebbiosi e rocciosi delle colline inglesi e non mi sono più guardata indietro. Non ho mai sentito un grande senso di appartenenza a quei luoghi, non è mai scattata in testa quella cosa che ti fa dire: ah, correrei su queste piccole montagne per tutta la vita. Non ero nel mio elemento. Che ne sapevo allora. Erano i posti più selvaggi in cui fossi stata.

Ma che cos’è precisamente il fell running e cosa distingue la disciplina inglese dal classico trail? Inizierei con una breve premessa. L’Inghilterra è divisa storicamente e culturalmente tra Nord e Sud. Il Sud dell’isola (da Nottingham in giù) ha un accento molto più ‘neutrale’, le persone sono generalmente più ricche e il paesaggio è prevalentemente piatto. Il Nord, avvicinandosi alla Scozia, è più montagnoso, l’accento è quasi incomprensibile se non l’hai sentito prima, e c’è molto slang linguistico formatosi storicamente con la classe operaia. ‘Fell’, nello slang del Nord, significa collina.


Lo sport nasce come una prova di forza tra pastori durante le fiere agricole intorno alla fine dell’800 nel Lake District, una regione del Nord Est oggi Parco Nazionale. Eseguendo anche gare di lotta e altre prove fisiche strettamente riservate agli uomini, mentre le donne guardavano con gli ombrellini, i pastori sceglievano una collina su cui gareggiare in salita. Chi arrivava primo si guadagnava la fama locale e il prestigio di essere l’uomo più forte del villaggio. Le donne hanno iniziato a gareggiare per la prima volta nel 1979, nove anni dopo l’istituzione ufficiale dello sport attraverso la Fell Runners Association. Oggi il numero di donne che partecipano allo sport aumenta ogni anno e sta superando quello degli uomini.

Ciò che distingue la disciplina anglosassone dal classico trail running è la mancanza di un vero e proprio sentiero, con varie eccezioni. Le gare sono divise in categorie di distanza ed elevazione, ma tutte richiedono una minima abilità di orientamento e l’obbligo di portare con sé mappa, bussola, vestiti di ricambio e cibo. Ai tempi in cui vivevo oltremanica, i miei amici arrampicatori che si credevano molto cool con le loro corde e ferri, avevano sempre qualcosa da dire quando preparavo il mio piccolo zaino da 10lt per andare ad allenarmi fuori. Lo chiamavano ‘lo zainetto della nonna’, granny’s bag, perché effettivamente c’era dentro quello che ti porteresti dietro per una scampagnata della domenica. Quando più in là ho iniziato anch’io a fare arrampicata e scialpinismo e sono diventata cool, mi è mancata (ed è mancata molto anche al mio portafogli) moltissimo la leggerezza minimalista di muoversi in montagna con attrezzatura minima. Lo zainetto della nonna, comunque, ti può salvare la vita se preparato bene. Anche nei rari casi in cui i percorsi sono tracciati, il maltempo imprevedibile può causare scarsa visibilità e situazioni di pericolo. Mi è successo in allenamento di uscire di casa con il sole e di ritrovarmi in cima ad una collina in una tempesta di neve, incapace di proseguire e rischiando seriamente l’ipotermia. Paradossalmente credo di essere stata più a rischio durante alcuni allenamenti lunghi in solitaria nei fells inglesi piuttosto che a fare scialpinismo in British Columbia a -25. Se fossi stata da sola me la sarei vista brutta, la poca visibilità e in questo caso la neve possono causare un rallentamento del ritmo facendo diminuire drasticamente la temperatura corporea. Da quel giorno ho deciso di iscrivermi ad un corso di orientamento, che a mio parere andrebbe fatto a prescindere. Se ti piace la montagna e ci vai spesso, anche solo su sentieri, dovresti sapere che la natura è imprevedibile e avere nozioni di orientamento e primo soccorso non solo può farti sentire più sicuro e ‘empowered’ (parola che non ha traduzione italiana), ma può anche aiutare gli altri che sono con con te e salvare delle vite a persone che non conosci.

L’altra caratteristica del fell running, è che è rimasto uno sport totalmente fuori dai circuiti della corsa ‘commerciale’ e questo lo rende unico. Nonostante ci sia un’associazione nazionale e nonostante siano passati più di cent’anni dalla sua nascita, le gare sono rimaste accessibili a tutti e sono tutt’ora organizzate dalle comunità rurali. Nonostante questo, al traguardo non manca mai un esercito di volontari che ti riempie di cibo fatto in casa, zuppa e pane e dolci. In Inghilterra si corre molto spesso su proprietà dei contadini, che è aperta al pubblico e si può attraversare legalmente rispettando un codice etico e pratico. I campi sono delimitati dalle tradizionali ‘fences’ (recinti) fatti di sassi, che sono segnati sulle mappe e molto spesso possono servirti come punto di riferimento quando non hai idea di dove sei finito. Azzardo a dire che dovrebbe essere così ovunque, che una gara dovrebbe promuovere il territorio e chi lo abita nel quotidiano, che siano umani o animali. Mi viene in mente il mio Appennino Tosco-Emiliano, semi disabitato e con sentieri meravigliosi dalle montagne fino al mare. Se fosse l’Inghilterra ed ogni paesino sfigato organizzasse tre eventi l’anno, si potrebbe gareggiare ogni fine settimana, e magari chi viene da fuori potrebbe fermarsi a comprare cibo prodotto in modo sostenibile da riportare in città aiutando l’economia locale, l’agricoltura rigenerativa e il proprio corpo.

Se vivessi ancora in Europa, in cima alla mia bucket list ci sarebbe sicuramente il Bob Graham Round. 66 miglia (circa 106km) e 27000 ft di dislivello toccando 42 ‘vette’ nel Lake District da compiere in un minimo di 24 ore con un testimone per ogni vetta raggiunta. C’è questo video molto bello di Salomon TV che vi fa entrare nell’atmosfera e riassume in modo efficace lo spirito della disciplina.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=f-03GxweU30]

Anche se non è una gara vera e propria ma piuttosto un loop più simile ad un fkt, credo che per storia e tradizione sia un circuito che incorpora l’essenza di quello che il fell running è, e anche quello che non è. Il record di un singolo giro è per ora di Kilian (12h 52m), ma il record di ‘round’ doppio è della mia preferita, Nicky Spinks, che ha completato il giro doppio in 45h30min. C’è un film che ne parla, ‘Run Forever’, prodotto da Innov-8. Sarà perché forse alla sua età mi immagino un po’ come lei, sarà che anche se ha sponsor la corsa rimane il suo hobby e il resto del tempo lo dedica alla fattoria, sarà che è un mostro nell’orientamento e sorride sempre (anche quando prova a finire la Barkley marathon, fallendo), sarà che ha iniziato a correre forte dopo essere sopravvissuta ad un tumore al seno, ma Nicky Spinks è davvero diventata una leggenda femminile dello sport anglosassone.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=2ABR30IHlq4]

 

Insomma, oltre il canale della Manica succedono un sacco di cose interessanti. L’ostacolo più grande sarà capire l’accento, ma gli inglesi del Nord sono così gentili ed amichevoli, che vi daranno sicuramente una mano.

Una risposta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *