Zen Circus – considerazioni sparse su UTMB Chamonix 2022

Da atleta, da allenatore, da giornalista o da semplice appassionato, questo era il mio quattordicesimo UTMB.

Chamonix è sempre stato in questi anni quella settimana folle cerchiata di rosso segnata sul calendario, convenientemente piazzata a scandire la fine dell’estate. Vissuta a volte con palpitazione (specie quando l’ho corso), a volte con emozione (quelli vissuti da allenatore), a volte con curiosità (quelli da giornalista), talvolta con spensieratezza (quelli da turista o le ore rubate al lavoro per uscite semiclandestine di corsa o per i party). Ma mi ha regalato in ogni caso incontri, ricordi, momenti, luoghi che hanno segnato la mia vita.

E’ovvio che, in quindici anni, ho visto UTMB e Chamonix cambiare in maniera radicale. Ma mai come quest’anno, avevo “sentito” il passaggio di un era. Nei prossimi giorni sarà il momento della parte “tecnica”, e sicuramente troverete qui o sulla newsletter approfondimenti ed osservazioni, ma mi faceva piacere aggiungere le mie considerazioni a quelle scambiate con colleghi ed amici o a quelle lette sul web, sul grande circus UTMB.

Discutendo di UTMB con Holly Rush: Simon Freeman perplesso si astiene.
  • Abbiamo il vizio di considerare i francesi boriosi e spesso siamo così provinciali da ripetere sempre gli stessi clichés idioti, ma sfido CHIUNQUE sia stato in questi giorni a Chamonix a negare l’affermazione che UTMB è il “sommet mondiale du trail”. Volente o nolente, è vero. L’hanno forse deciso arbitrariamente, all’inizio, ma le aziende, gli atleti, gli sponsor ed i media, ci hanno creduto ed ora è un dato di fatto.
  • L’hanno raccontata tutti quella del livello, ed è vero, siamo arrivati ad un punto in cui dietro ai top, c’è un esercito di corridori di alto livello che si allenano come matti. Ma prima di partire con i classici “l’anno scorso con XX ero arrivato XX” ricordiamoci (come ha ricordato a me il buon Enrico Deffe) che la scorsa edizione non vedeva al via quasi nessun americano/australiano/neozelandese/thailandese/cinese. Piuttosto, la notizia è che alcune di queste nazioni stanno infilando davvero tanta gente in quella zona appena dietro i top assoluti. Che è emozionante.
  • L’osservazione di Rigo nel suo bel post sulla pagina FB di Spirito Trail che “L’anno scorso per dimenticare emotivamente un morto ci sono volute 27 ore ma si vede che il movimento è cresciuto bene e quest’anno ne sono bastate 2” è incontrovertibile e a modo suo è segnale di quanto siano diventati bravi nella comunicazione. Anche se questa declinazione cinica della parola “comunicazione” mi fa abbastanza schifo.

Non la classica relazione Coach – Atleta. Ma sembra funzionare. Coach Tommy & Francesca Pretto, 9a donna all’UTMB.
  • Non sono invece d’accordo con lui sul fatto che la TDS si sia presa comunque un bel palcoscenico grazie ai suoi vincitori Pommeret e Valmassoi. Forse è stato vero fino a venerdì, poi una CCC vissuta sul filo di lana ed una UTMB che, a parere personale e di qualche altro collega, è stata la più emozionante di sempre, l’hanno un po’cancellata dallo schermo. La TDS aveva onestamente contenuti tecnici inferiori, che non leva niente all’impresa di Ludo, Martina e di chiunque l’abbia fatta e finita, perché è un bel mostro di gara. Verissimo invece che UTMB (inteso come organizzazione) abbia voluto affossarla levandole visibilità, collocandola in una posizione assurda e con uno start ad un ora indegna che ha costretto troppi atleti a due notti fuori. Ma già con l’allungamento ed indurimento l’avevano svuotata di contenuti per farne una sorella macho di UTMB. Poi hanno capito che potevano comunque guadagnare di più facendo gare nuove altrove invece di infilare a forza gare nuove nella settimana di Chamonix ed è diventata una presenza imbarazzante. Io credevo addirittura la spostassero in altra data, invece ne faranno il contentino per chi non ha le Stones. Peccato, le prime edizioni erano state davvero belle gare su un percorso di livello.
  • Non parlo della PTL perché non è il momento e non ho voglia di sentire tutte quelle menate su chi è “montagnard” e chi no.
  • A tutti i cari amici che mi dicevano “te ne vai in vacanza eh, beato te”: le vacanze le vado a fare in un posto che scelgo io, in un momento che scelgo io, e solitamente non comprendono il fatto di dormire male 3 ore a notte, inseguire persone sudate, nervose e distrutte dalla fatica, rispondere a messaggi alle 11 di sera come alle 5 del mattino e fare la coda per comprare due brioches che costano quanto un pranzo in un paese normale. Il mio lavoro non lo cambierei con nessun altro, ma resta un lavoro: puoi anche fare l’assaggiatore di creme alla nocciola o il tester di materassi, ma se lavori 20 ore al giorno weekend incluso, una settimana resta lunga. Got it?

Si, c’è anche da far festa. Ma poca e senza esagerare.
  • Per gli addetti ai lavori era abbastanza palese, ma la presenza di IRONMAN si faceva discretamente sentire. Non vedevi il loro marchio manco per sbaglio, perché probabilmente c’era la paura di “spaventare” un mercato abbastanza tradizionalista e mugugnone, ma nell’impostazione dell’evento, in alcune piccole cose come l’organizzazione dell’Expo, il risalto dato alle categorie di età, non ci voleva molto per notarlo. Prima di tutti, ci sono arrivati alcuni miei atleti anglosassoni che sono migrati alle ultra dal triathlon per sfuggire dalla morsa di IM: non ne erano contenti, ma fortunatamente in questi anni hanno capito che esistono alternative.
  • E questa è forse la lezione più importante che porto a casa: venerdì, in uno di quei momenti di spensieratezza rubati al lavoro, io, Mari e Tommy siamo saliti al Mer de Glace e poi abbiamo corso il Balcon Nord fino alla cabinovia. A metà strada abbiamo passato una coppia ed ho riconosciuto immediatamente Diana e Tim Fitzpatrick. Ora, servirebbe troppo per raccontare di loro e lo lascio a questo bell’articolo di iRunfar, ma Diana è in questo momento la Presidente del Board della Western States 100. Con la solita cordialità americana, quando ci hanno raggiunti mentre io e Mari dividevamo una barretta, hanno attaccato discorso e quando hanno scoperto che avevo corso WS e che conoscevamo tante amicizie comuni, abbiamo passato una mezz’oretta che credo non dimenticherò mai. Per loro era la prima volta ad UTMB e quasi con timore Diana ci ha confidato come la magnitudine dell’organizzazione UTMB l’avesse impressionata, al punto di non sapere come Western States potrà mai avvicinarsi a quello che aveva visto. La mia risposta, e lo penso dal profondo del cuore, è che Western States non dovrà mai cercare di replicare UTMB: Western States non ha nessun bisogno di inseguire nessuno, l’atmosfera, il senso di comunità che ha saputo creare, la sua storia, non hanno niente da invidiare a UTMB. Sono due standard diversi, entrambi di altissimo livello, ma è bello che possano convivere. Assieme ad altri 100 ancora diversi. Vale per le gare grosse, storiche, ma anche per quelle nuove: quando una gara ha un bel percorso, o una storia particolare, o un attenzione speciale per i corridori, quando sa “raccontare” qualcosa ed emozionare, che bisogno c’è di scimmiottare qualcosa che è pressoché unico ed irripetibile?
    L’ho detto tante volte e non mi stancherò di ripeterlo: il nostro mondo è in espansione, ma sarà davvero una crescita se sapremo rendere il nostro sport inclusivo. E allora quale modo migliore se non iniziare a godere della diversità nelle gare che scegliamo?
All work and no play makes Davide a dull boy.
  • Ci sono due motivi principali per cui io, Mari e gli altri allenatori di DU decidiamo ogni anno di spendere un sacco di soldi (Chamonix è diventata inavvicinabile, a proposito) e bruciare una settimana del nostro tempo per essere a UTMB.
    Il primo è stare vicino ai nostri atleti e vivere insieme il culmine di mesi di mail, telefonate, messaggi ed allenamenti: vederli tagliare quel traguardo, è una delle cose più belle che possono capitare ad un allenatore.
    Il secondo è la gente: quella che rivedi dopo un anno, quella che conosci in giro, quella di cui avevi sentito parlare o quella che hai sempre ammirato (come Tim e Diana). Ma non ritorni mai indietro da Chamonix senza qualche nuovo amico e qualche storia in più da raccontare. E questo è uno dei motivi (come dice il buon Simon di LIKE THE WIND) per cui corriamo: la comunità che ci circonda e rinnovare il nostro ruolo in essa.

    Ci vediamo il prossimo anno, maledetta Chamonix.
UTMB: la migliore scusa per rivedere un amico. Il mio pacer di Rio Del Lago 2016, nonché Race Director di Canyons 100, Chaz Sheya.

OCC – in (trail) medio stat virtus

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L’avevamo promesso (o minacciato) ed eccoci qui, pronti ad entrare gradualmente nella UTMB madness. Ma alle 100 miglia – soprattutto quella del Bianco – non ci si arriva partendo da zero ma godendosi tutto il sapore che hanno i chilometraggi che vengono prima.

Per questo, non ci resta che partire dalla OCC (Orsières – Champex – Chamonix), la gara di media distanza (sono considerate Trail Ultra Medium le gare tra i 42 e i 69 km) che quest’anno vede la sua quinta edizione.

La gara, che esplora il Vallese, parte da Orsières, (sud-ovest del Canton Vallese, nella valle Val d’Entremont) passa sotto il versante orientale del Monte Bianco per arrivare prima a Champex-Lac e poi proseguire sul percorso di UTMB e CCC fino al centro di Chamonix.

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Passiamo ai numeri che, per quanto sarebbe bello pensare al trail solo come uno splendido viaggio sui sentieri, vanno tenuti da conto.

OCC – dettagli tecnici

Distanza 55 km

Dislivello 3500 mt +

Cutoff 14 h 30

Partenza Orsières centro 29/08/2019 08:15

Punti ITRA 3

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La parola agli atleti DU

Matilde Giovannoni

3c84cab3-ba5c-49fd-9da2-f642eb13fe22Cosa ti aspetti dalla gara? 

Spero e sono sicura di trovare paesaggi super, di guardarmi intorno tanto e conoscere nuove persone. Spero di non trovarmi in una gara di invasati-imbruttiti stile milanese
Punto a godermela e a finire in un tempo decente…. che non so quale sia….

Quale sarà secondo te il punto cruciale del percorso?

Punto cruciale critico credo arrivare a Trient e La Flegere. Anche se personalmente mi spaventano quasi più le fasi di corsa in piano che la salita (so che me ne pentirò quel giorno). Quindi forse cruciale il primo pezzo per non rimanere troppo indietro…

THE COACHES WILL HAVE THEIR SAY

Abbiamo chiesto ai nostri valorosi allenatori di tirare fuori i nomi giusti di chi starà davanti. Post UTMB, sarete liberi di deriderli.

Coach Paco:

Tra le donne, al primo posto ci piazzo la vincitrice di Speedgoat 50k in carica, Anna Mae Flynn. Seconda metto Ruth Croft che è una che va forte e ha scelto di stabilizzarsi su distanze più corte e gare tirate, parte da favorita, e a buona ragione. Terza metto Dominika Stelmach, una polacca che parte di sicuro da outsider. Si è vista poco e tutto il resto, ma vedrete che potrebbe fare bene. Podio azzardato, ma vediamo come va.

Tra gli uomini invece spazio a Pat Reagan, uno che sa correre, forte, più forte di tutti forse. Il suo problema è la salita, ma OCC non è tutto sommato una gara incorribile. Col caldo e con qualche errore davanti, potrebbe saltare fuori in discesa correndo comodamente sotto ai 4 al km. Poi Chris Mocko se non salta per aria provando a seguire qualcuno che ha più gambe di lui. Voglio proprio vedere cosa combina. E poi Francesco Trenti: occhi puntati sul trentino, che è uno che si allena tanto. Fermato a Cortina da una slogatura, ma l’ho visto coi miei occhi più tirato che mai. Forza Franz!

Coach Davide:

Ruth Croft parte con tutti i favori, e a ragione. A Chamonix non ha mai sgarrato, qualsiasi distanza abbia fatto. L’unica che quest’anno potrebbe impensierirla, secondo me, è Sheila Aviles, nel circuito sky sta mettendo in riga tutti e non è cosa da poco contando il livello. Mi piace l’idea che Anna Mae Flynn porti un po’ di stelle e strisce sul podio…

Uomini: difficile su una distanza così. Dico Nico Martin perché mi piace l’idea di un francese sul podio. Ma Ruy Ueda è nella stessa identica posizione della Aviles: grandissima annata nel circuito sky, e a Chamonix lui ha già fatto gran bene. Sarà entusiasmante. E terzo mettiamo Thibo Baronian, andiamo sul local: se lo meriterebbe.

UTMB: avvertenze per l’uso.

L’UTMB costa. Offre un servizio fantastico, ma va detto, influisce sul bilancio di qualsiasi runner. Un po’ l’iscrizione, un po’il viaggio, un po’(tanto) trovare da dormire e mangiare a Chamonix. Ma la voce che più causerà discussioni con mariti, mogli, compagni, genitori, figli e commercialista, è il MATERIALE.

Anche cercando di non farsi tentare dalle sirene dell’Expo, per partire ed essere in regola con quanto richiesto dall’organizzazione (non pensate neanche a bypassare, che oltre ad essere triste è illegale: sapevate a cosa andavate incontro quando vi siete iscritti), serve una dotazione corposa.

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Jim, hai dimenticato a casa qualcosa?

Con l’idea di ripassarla, e dare qualche esempio di come spendere bene il proprio budget, abbiamo chiesto a Maria Carla di darci qualche dritta su come districarci tra materiali e costruzioni. In fondo sarebbe anche il suo lavoro quando non è precettata dai camp.

Il materiale richiesto è il seguente:

Kit di base

  • Zaino di gara per trasportare il materiale obbligatorio
  • Telefono cellulare (uno smartphone è consigliato): il corridore deve essere raggiungibile in qualsiasi momento prima, durante e dopo la gara:
    – Opzione internazionale che ne consenta l’utilizzo nei tre paesi (inserire nella propria rubrica il numero di sicurezza dell’organizzazione, non nascondere il proprio numero e non dimenticarsi di partire con la batteria carica)
    – Tenere il telefono acceso, la modalità aereo è proibita e potrebbe provocare delle penalizzazioni.
    – Per smartphone: applicazione LiveRun installata e configurata.
    – -Si raccomanda vivamente una batteria esterna.
  • Bicchiere di 15 cl minimo (non sono autorizzati borracce o fiaschette con tappo)
  • Riserva d’acqua di almeno 1 litro
  • 2 lampade frontali funzionanti con pile di ricambio per ogni lampada
    Raccomandazione: 200 lumen o più per la frontale principale
  • Telo di sopravvivenza di minimo 1,40 m x 2 m
  • Fischietto
  • Benda elastica adesiva per fasciature (minimo 100 cm x 6 cm)
  • Riserva alimentare
    Raccomandazione: 800 kcal (2 gel + 2 barrette energetiche di 65 g ognuna)
  • Giacca a vento impermeabile* e traspirante** (tipo Outdry) con cappuccio, adatta al brutto tempo in montagna
    *minimo 10 000 Schmerber.
    **RET inferiore a 13.
    – la giacca deve avere obbligatoriamente un cappuccio integrato
    – le cuciture devono essere stagne.
    – la giacca non deve avere parti con tessuto permeabile; sono accettate le parti per fare entrare aria (sotto le ascelle, sulla schiena), solo se non impediscono in modo evidente l’impermeabilità.
    Il concorrente giudica, secondo i suoi criteri, se la sua giacca è conforme al regolamento e dunque adatta al brutto tempo in montagna; ad ogni modo, in caso di controlli, solo gli addetti ed i Commissari di gara decideranno.
  • Pantaloni lunghi o collant e calzettoni che coprano tutta la gamba
  • Cappellino, bandana o Buff®
  • Secondo strato caldo: maglia a maniche lunghe (no cotone) di minimo 180g (uomo, taglia M)
    O maglia calda a maniche lunghe (primo o secondo strato, cotone escluso) di minimo 110g (uomo, taglia M) e di una giacca windstopper* con protezione idrorepellente duratura (DWR protection)
    *la giacca windstopper non sostituisce la giacca a vento impermeabile con cappuccio e vice versa
  • Cappello
  • Guanti caldi ed impermeabili
  • Pantavento impermeabili
  • Documento d’identità

Negli ultimi anni sono stati aggiunti i leggendari kit canicola e invernale che l’organizzazione può rendere obbligatori anche all’ultimo minuto. Rispettivamente:

Kit canicola 

  • Occhiali da sole
  • Cappellino con paraorecchie che copra anche la nuca
  • Crema solare
    Raccomandazione: livello minimo di protezione 50 (SPF)
  • Riserva d’acqua di almeno 2 litri

Kit invernale 

  • Occhiali protettivi
  • 3° strato caldo (da indossare tra il 2° strato e la giacca impermeabile)
  • Raccomandazione: pile o piumino comprimibile
  • Scarpe da trail robuste e chiuse (NO scarpe minimaliste o super leggere)

Ma ora, parola all’esperta.

“La scelta di un equipaggiamento idoneo è uno dei fattori chiave del successo della gara. L’ultra-endurance necessita una preparazione minuziosa, attrezzatura da gara compresa”

Incipit della pagina dedicata al materiale obbligatorio sul sito ufficiale UTMB: come dargli torto? E allora ci siamo permessi di prendere in esame e consigliarvi alcuni capi d’abbigliamento.

Partiamo dallo zaino, visto che deve contenere tutto il resto. Le opzioni sono tante, ma in sostanza dipende da un fattore essenziale: avrete assistenza? Si può pensare ad uno zaino più snello. Ve la fate soli contando solo su sacca a metà strada? Allora serve un po’ più di spazio per essere sicuri. Per finiture e cura dei particolari, ci sono piaciute le nuove proposte Camelbak: l’ULTRA PRO VEST è la scelta per chi potrà contare sul supporto di amici e familiari, l’ULTRA 10 VEST è per tutti gli altri.

Entrambi sono stati progettati per soddisfare le esigenze di una gara come UTMB. Tessuto in 3D mesh per aumentare la traspirabilità e alleggerirne il peso. Il secondo può essere utilizzato sia con riserva idrica interna che con flask grazie alle apposite tasche frontali, l’ULTRA PRO fa affidamento solo sulle flask. Possibilità di riporre i bastoncini posteriormente e tasca anteriore per telefono, si differenziano nella distribuzione delle tasche laterali e posteriori e nella capacità. Se l’ULTRA PRO con i suoi 6 litri è al limite, l’ULTRA 10 offre decisamente più capacità di carico con i suoi 10 litri. Ampie possibilità di regolazione nell’ULTRA 10 e disponibilità in tre taglie per l’ULTRA PRO.

La giacca impermeabile è forse l’articolo chiave tra quelli in lista. Ci salverà in caso di pioggia, quindi waterproof  (minimo 10 000 colonne da regolamento, se sono di più tutto di guadagnato per voi), ma attenzione anche alla traspirabilità, e quindi al tipo di membrana utilizzata, visto che tendenzialmente vi state muovendo/correndo/strisciando. Tutte le cuciture dovranno essere nastrate e le zip sempre waterproof.  Non dovrà proteggerci solo dalla pioggia manche dal freddo e dal vento, quindi cappuccio ben avvolgente e regolabile e possibilmente alto sul davanti in modo da proteggere anche mento, bocca e naso. Dovrà avere un buon fitting asciutto, in modo che non ingombri, ma dovrà restare comoda nei movimenti, specie quelli delle braccia. Tirazip con cordino per facilitare l’apertura anche con guanti e mani gelate.

In DU usiamo la Montane Minimus Stretch Ultra Jacket, ci piace il design minimale, ma studiato nei particolari. Come il taglio della manica che facilita il movimento della corsa anche con i bastoni evitando che il fondo si alzi. Orlo sul fondo regolabile e cappuccio ergonomico con elastico posteriore e regolatori frontali. Tessuto 20 Denier PERTEX® SHIELD 2.5 layer waterproof . Leggero, morbido, elasticizzato e traspirante. Totalmente nastrata internamente e tutte le zip a prova d’acqua. E facilmente richiudibile in una tasca, così da non ingombrare troppo in uno zaino già strapieno. E ovviamente disponibile anche nella versione da donna.

Alla giacca va abbinato un pantalone impermeabile. Si spera sempre di non doverli utilizzare, quindi primo punto dovranno essere comprimibili al massimo, ma sempre waterproof, sempre con cuciture nastrate. Cercate una lavorazione del tessuto ripstop: eviterà lo strappo in caso di caduta o incontri ravvicinati con bastoncini, rami, rovi e varie. Zip laterali lunghe per poterseli infilare in modo rapido anche con le scarpe. Dovranno essere comodi ma non troppo larghi, in modo da non intralciare la corsa.

Montane  anche nella parte sotto usa il tessuto PERTEX® Shield ™, anche sui pantaloni Minimus Pants. Vita elasticata con regolatore. Zip sul fondo con doppio velcro di regolazione per poterli stringere su polpaccio e caviglia. Comodo sacchetto in rete per poterli comprimere e riporre nello zaino. Anche qui disponibile in versione femminile.

Montane Minimus Trousers

Altro capo chiave, il secondo strato. Il suo scopo principale è quello di scaldare e mantenere la temperatura corporea, deve però asciugarsi il più in fretta possibile se sudiamo. Non essere ingombrante indosso e ancora meno quando riposto nello zaino. Vi consigliamo uno stile “semplice” senza troppi fronzoli, inserti e cuciture e zip, visto che siamo quasi a contatto con la pelle. Rischiamo solo abrasioni inutili ed in più andrebbero ad interferire con quelle della giacca. E non dimentichiamo che abbiamo anche sempre lo zaino in spalla, carico e chiuso attorno al corpo.

Negli ultimi anni si è visto un grande ritorno alle fibre naturali, ma quello che a noi ha convinto maggiormente è la combinazione tra “sacro e profano” e cioè la speciale mescola tra lana Merino e PRIMALOFT® che Montane usa sui suoi capi della linea PRIMINO come il Montane Primino Long Sleeve 140 (qui nella versione da donna).

 

La lana ha da sempre la straordinaria proprietà di scaldare anche da bagnata (e non puzzare), il PRIMALOFT di espellere il sudore verso l’esterno ed asciugarsi in fretta. Particolarmente sottile e piacevole al tatto, può essere usata anche direttamente sulla pelle.

Così caldo e comodo che noi usiamo anche i guanti in PRIMINO: a nostro parere l’ideale è averne un paio snello, leggero e caldo, a cui abbinare un sovraguanto da infilare e togliere rapidamente in caso di pioggia o vento freddo, come il Montane Minimus Mitt leggerissimo (45 grammi!) e supercomprimibile.

 

 

Non è nel kit obbligatorio, ma spendiamo ancora due parole per l’insieme calza + scarpa. Perché su chilometraggi di un certo tipo, può fare la differenza tra finire o no. O anche solo tra finire, sorridere e godersi la cerimonia di premiazione in piedi o finire, essere incazzato e godersi la cerimonia sdraiato a letto con dolori lancinanti.

Passiamo la palla a Coach Davide che ci racconta il suo set-up preferito.

Per me, in una gara lunga, la primissima necessità è essere comodo. E potermi dimenticare di cosa succede lì sotto.
La prima cosa che guardo di una mia scarpa da ultra è quindi la calzata prima ancora dell’ammortizzazione: rarissimamente una scarpa mi ha fatto ricredere dopo un po’di uscite, il fatto che il piede stia bene, è spesso questione di amore a prima vista. Poi vengono tutti gli altri fattori, certo. In primis proprio l’ammortizzazione, perché diciamocelo, nessuno correrà come un ottocentista tra Trient e Vallorcine: serve una scarpa che perdoni e che non chieda troppo impegno muscolare. Poi la tenuta: sogniamo tutti di fare l’UTMB asciutto, ma capita raramente. E comunque anche in quegli anni, una scarpa che sulle lunghe discese verso Les Chapieux, La Fouly o Chamonix sta dove la metti è fondamentale. Avete mai fatto la discesa delle Pyramids verso il Lac Combal? Ecco, una suola decente lì ve la godete tutta. Però la scarpa da UTMB, per me deve anche essere leggera. Eh si, 20-30-40 ore con una scarpa ai piedi, non so quanti passi (ma sono tanti)… quei 200 grammi in meno diventano tonnellate. Se vale per lo zaino, vale ancora di più per le scarpe, no?

La scarpa che sto usando in tutte le mie gare risponde egregiamente a questi quattro dogmi, ed è la SPIN ULTRA di SCARPA. Calzata comoda, linguetta non troppo spessa per riuscire a sistemare bene l’allacciatura, ma neanche così scarna da non proteggere abbastanza. Soletta interna morbida, calzata con sistema Sock-Fit LW senza punti di frizione. E abbiamo sistemato la comodità. Ammortizzazione garantita dall’intersuola in EVA con doppio inserto su tallone ed avampiede e shank centrale antitorsione. 24/18 mm, suola importante senza diventare ingombrante. E abbiamo risolto la seconda. Suola Vibram dove al classico e comprovato Megarip e disegno con tasselli da 4mm, viene accoppiata la Litebase che permette di mantenere il peso totale a 270 gr. Sistemati anche i punti tre e quattro. Ci aggiungo come bonus il puntale stampato in 3D che protegge da pietre e radici quando non si è più proprio così sobri da gestire falcate kenyane.

SCARPA Spin Ultra

Come per tanti, nelle prime gare lunghe, lo stato in cui riducevo i miei piedi era qualcosa che affascinava, nella sua morbosità. Anche al mio primo UTMB, acqua e freddo mi avevano martoriato. Creme, fasciature, taping, camminate sui carboni ardenti nei mesi precedenti, non avevano cambiato nulla. Anzi. Poi sono stato negli States, e prima della Western ho visto che tanta gente usava queste calze buffe con le dita. Chiedo al mio pacer, compro ed uso in gara senza averle mai provate. Rivelazione. Da quel giorno, raramente ho corso gare lunghe senza Injinji.

 

Mi hanno liberato dal mio problema principale, che erano le vesciche tra le dita, e mi hanno sempre dato risultati ottimi anche in contesti terrificanti (WS 2017 neve, fango, detriti, poi 42°, polvere ed acqua addosso e guadi tutto il giorno).

A seconda del contesto uso le Original Weight o le Light Weight: le Mid Weight sono per me troppo spesse e mi piace un po’di “feeling” per non snaturare la scarpa. Io che sono vecchio uso ancora le No Show (perdono), ma ovviamente hanno l’altezza Crew che sembra essere diventata obbligatoria, pena la squalifica dal circolo di quelli che contano. Ok arrivare. Ma arrivare con un paio di calze a metà polpaccio è tutta un’altra cosa. Se vi sembrano un po’strane, ci vuole un attimo per abituarsi: mettetele dentro una scarpa e non le sentite più.

Ah: cambiare le calze è una botta di vita, fatelo anche tre/quattro volte in una gara lunga. Cambiare le scarpe, è sempre un pericolo: se non avete un motivo più che valido e lo fate tanto per avere una scarpa nuova e fresca, spesso bastano le calze.

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Ci vediamo a Chamonix, in fondo alla discesa, appena passato il ponte. Come dice il buon Fulvio, gli amici si va ad aspettarli lì.

UTMB madness

Difficile parlare di trail facendo finta che non esista l’UTMB.

E’come svegliarsi al mattino, scendere in cucina e trovare un elefante seduto al tavolo. Potete anche far finta di parlare della giornata lavorativa o della spesa da fare, ma l’elefante resta lì.

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Non esiste, non esiste, non esiste…

E allora nel mese dell’UTMB saliamo anche noi sul carrozzone. E sapete perché?

Perché a noi la settimana dell’UTMB piace. E le sue gare ancora di più.

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Perché girano intorno a quel benedetto massiccio che rappresenta il passato, presente (e speriamo anche futuro) dell’alpinismo, dello sci, della corsa in natura.

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Perché sa strappare un urlo al professionista sgamato, come a chi arriva dopo 46 ore.

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Perché è maledettamente bene organizzato.

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Perché abbiamo i nostri ricordi che tirano fuori ancora qualche sorriso.

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Perché un pensiero, volente o nolente, ce lo fanno tutti ad andare a Chamonix.

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E non ultimo, perché ci sono le nostre ragazze ed i nostri ragazzi che cercano di passare quello striscione.

Dovremmo restare a casa e far finta di niente? No, e allora nei prossimi giorni proviamo a portarvi in Savoia e spiegare cos’è per noi la “UTMB madness”.

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The DU crew