UTMB 2022: uno sguardo ai materiali.

Ritorna a scrivere su queste pagine Andrea Vagliengo, il nostro “geek” dei materiali: una breve analisi di cosa si è visto di nuovo a Chamonix, e quali sono i trend generali, con uno sguardo anche a quello che vedremo il prossimo anno sul mercato.

La “Semana Grande” del trail running mondiale si è chiusa, eppure tutti quanti siamo già qui a pensare a come tornare a Chamonix l’anno prossimo. Con quale veste? Ci metteremo (finalmente) un pettorale, oppure saremo sui sentieri a dare manforte ad atleti e amici lungo il percorso? Comunque la si voglia mettere, una certezza si è radicata saldamente in tutti noi appassionati di corsa e di montagna: nell’ultima settimana di agosto, “Chamonix is the place to be!”, il luogo in cui tutto succede e in cui il tempo corre più veloce delle lancette dell’orologio. Basta leggere i resoconti dei nostri Coach o andare a guardarsi il debrief su YouTube per percepire il lavoro di un anno intero condensato in pochi giorni ad intensità fotonica.

La kermesse di Chamonix è una delle poche occasioni in cui si può vedere tutto il mondo del trail running che conta radunato contemporaneamente in un unico luogo: ci sono gli atleti più forti del mondo, le promesse, gli underdog che stupiranno tutti con una prestazione monstre tirata fuori dal cilindro. Ci sono le migliaia di atleti e appassionati che hanno combattuto per anni con punti e lotterie, e finalmente ce l’hanno fatta ad essere alla partenza. E poi ci sono i brand, le aziende, che approfittano a mani basse di questo palcoscenico internazionale per dare bella mostra di sé e far sentire la loro voce. Sono passate alcune ere geologiche da allora, ma UTMB è stato il trampolino di lancio di prodotti come i primi zaini “vest” o delle prime Sense di Salomon, entrambi comparsi addosso a Kilian sottoforma di prototipi e divenute, di lì a poco, l’oggetto del desiderio degli appassionati di tutto il mondo. Come si è evoluta, oggi, quella scena? Cosa resta di quell’immenso showcase a distanza di qualche settimana dai grandi festeggiamenti di Place de l’Amitié? Vediamolo insieme, provando a fare un’analisi dei materiali che hanno caratterizzato questa edizione dell’UTMB.

Andreas Reiterer in salita verso il Col Ferret

Non solo top di gamma
Partiamo facendo una premessa, che parte dal fronte delle scarpe ma si applica anche ad altri materiali: è una tendenza che ormai è in corso da diverso tempo, ma quest’anno più che mai è apparso evidente come persino nelle primissime posizioni e sui podi delle gare più prestigiose si trovino modelli che non hanno nulla a che vedere coi top di gamma di ispirazione puramente “race”. Troviamo daily trainers come le Trabuco o le Fuji Lite di Asics, modelli da allenamento come le Ultra Glide di Salomon o le Terrex Speed Flow di Adidas: calzature acquistabili facilmente anche negli store della grande distribuzione, scarpe che indossiamo tutti i giorni per allenarci e che tecnicamente magari non hanno nulla di eccezionale ma che funzionano bene e condividono un unico grande comun denominatore: il comfort. Sempre meno ossessione verso la leggerezza assoluta, verso il peso piuma, e più attenzione verso la comodità, vero ingrediente chiave nel campo delle ultradistanze. Questo elemento salta all’occhio, innanzitutto, dando uno sguardo in particolare alle zone alte delle classifiche. Tanta più varietà rispetto a qualche anno fa, più modelli e tutti di tipo molto diverso: c’è il prototipo evolutivo ultra-racing accanto a scarpe di fascia media, ed è una novità che ci piace e nella quale ci riconosciamo.

La grande novità
Quest’anno non si può parlare di UTMB senza citare l’ennesima impresa di Kilian Jornet. Gli anni passano, la vita cambia ma i risultati no, anzi migliorano addirittura: dopo la scoppola presa a Sierre Zinal, i maligni già vedevano il Re in declino nonostante una Hard Rock ai limiti del sublime. E invece Kiki ha pensato bene di gestire il suo UTMB come solo lui sa fare, rimanendo sempre nel gruppo di testa e piazzando la zampata finale appena uscito da Vallorcine. Non è bastato un enorme Blanchard, arrivato in pieno recupero a pochi minuti di distanza dal catalano, a sconfiggerlo: record del percorso e prima volta sotto le 20h, con buona pace di Pau Capell e del suo tentativo di sub-20h, purtroppo fallito.
Stavolta, però, Kilian non indossava abbigliamento Salomon: NNormal, il brand fondato quest’anno in collaborazione con Camper, saliva per la prima volta alla ribalta di Chamonix esibendo gli esemplari di materiale tecnico che verrà presentato a brevissimo al grande pubblico e che era già stato utilizzato da Kilian nelle precedenti gare di quest’anno. Tutta l’attenzione è stata, naturalmente, per la nuovissima scarpa Kjerag, presentata ufficialmente proprio alla kermesse francese: 200 grammi di peso con suola Vibram Litebase e un’intersuola con un’altezza massima di 18 mm e 6 mm di differenziale. Una scarpa ottenuta con un processo di produzione ecosostenibile con l’idea di durare più a lungo possibile (una caratteristica ben nota agli amanti di Camper, l’azienda spagnola scelta da Kilian come partner tecnico per la realizzazione della collezione di calzature NNormal). A giudicare dalle prime impressioni e dal look generale della scarpa, potremmo trovarci di fronte ad un modello di grande successo per il prossimo anno: staremo a vedere, inutile dire che siamo curiosissimi di metterci le mani sopra e provarla sui sentieri.

Marianne Hogan, una delle sorprese di quest’anno

Strapotere massimalista
Avete presente quando guardiamo il top field di una maratona di altissimo livello e gli atleti indossano più o meno tutti le stesse scarpe? Con tre, quattro modelli (e due brand!) copriamo la quasi totalità degli atleti. Se questo non sembra essere il caso per i top runners in partenza a Chamonix, basta dare un’occhiata ai piedi dei midpackers e della stragrande maggioranza degli atleti amatori per vedere come i modelli massimalisti siano diventati un riferimento assoluto nelle gare sulle lunghissime distanze. Parliamo ovviamente di Hoka, che negli ultimi anni ha saputo combinare con sapienza una promozione intelligente a livello di atleti e marketing con una serie di prodotti di qualità sempre crescente. Oggi immaginare una scarpa da trail running che sia al contempo iper-ammortizzata e anche leggera non solo è possibile, ma sembra essere addirittura essere diventata la normalità. E questo lo dobbiamo innanzitutto a Hoka, che con la filosofia del “cushioned and light” ha influenzato positivamente tutto il mercato. Tra tutti, notiamo in particolare come le Speedgoat e le Mafate Speed siano i modelli più utilizzati, e a buon diritto: tanta ammortizzazione, calzate precise e suole Vibram ultraperformanti. Chiedere a Ludo Pommeret per avere una conferma, che taglia il traguardo di Chamonix con ai piedi le sue Speedgoat 5, vincendo la TDS a 47 anni e arrivando ancora abbastanza fresco da festeggiare come un diciottenne. Idolo assoluto.

(Almost) Natural running
Sono passati gli anni d’oro della corrente minimalista, che voleva i top runner con ai piedi scarpette drop-zero e praticamente prive di ammortizzazione, ma per fortuna non tutto è andato perduto della corrente “natural running” che ha caratterizzato i primi 2010s. Drop limitati, se non addirittura nulli, abbinati a geometrie di calzata ampie che fanno lavorare bene il piede e le sue dita, il tutto combinato con intersuole generose e confortevoli: Altra e Topo oggi sono ben presenti sul mercato con una serie di modelli molto interessanti che abbiamo visto ai piedi di parecchi runner in partenza da Chamonix. La “corsa naturale” ha forse smarrito un po’ la sua anima più purista, ma in compenso sembra aver trovato una sua nicchia di mercato.

Merillas e Martinez Perez, doppietta SCARPA all’OCC

E gli altri?
The North Face e Adidas si portano a casa una vagonata di premi. Se guardiamo le scarpe indossate dagli atleti di punta nelle posizioni di classifica che contano, appare evidente come l’investimento di questi due brand sul fronte degli elite si sia rivelato ancora una volta vincente: tanti prototipi, dalle geometrie generose e che richiamano in qualche modo i modelli stradali più veloci, spesso con carbon plate associato. A livello di adozione da parte degli amatori, siamo ancora lontani dai grandi numeri di Hoka e Salomon, ma chissà che non si stiano ponendo i presupposti per l’inizio di una nuova tendenza anche sul fronte degli amatori.
E Salomon? Dopo anni di strapotere assoluto sul fronte delle classifiche, oggi il colosso francese deve condividere il podio con altri brand, ma è sempre lì nelle posizioni che contano. Se sul fronte delle scarpe c’è in effetti più varietà rispetto a qualche anno fa, quando andiamo a vedere gli zaini non ce n’è per nessuno: i modelli vest sono diventati lo standard de facto, al punto che il successo di questo tipo di zaini è stato tale da far sì che anche tutti gli altri marchi del settore si mettessero a produrli. Sul fronte delle calzature, abbiamo visto meno enfasi sui modelli super cool della linea S/Lab e abbiamo invece notato con piacere che modelli come le Ultra Glide (dichiaratamente prodotte pensando al grande pubblico) abbiano conquistato posizioni di prestigio sui podi di TDS (3° uomo) e UTMB (2° donna).
Infine, menzione speciale a SCARPA che si porta a casa, con la sua Ribelle Run, le prime due posizioni della OCC: niente male, per la casa di Asolo! Sarà perché abbiamo l’occhio sensibile per quell’azzurro inconfondibile, ma non abbiamo potuto fare a meno di notare sempre più Spin Infinity ai piedi degli atleti. Il modello da lunghissima distanza di SCARPA ha convinto da subito e si sta affermando come riferimento sui percorsi alpini più impegnativi.

E gli accessori?
Due note conclusive rispetto a due accessori che ci ha fatto piacere individuare in numero crescente sui sentieri dell’UTMB.Il primo sono i bastoncini, che almeno sulle distanze più lunghe, sono oramai utilizzati dal 99,9% degli atleti. Tra i marchi più visti Leki e Black Diamond: i primi li conosciamo e apprezziamo da anni, soprattutto per il sistema di impugnatura “nordic” con guantino integrato che è, a mani basse, il più comodo che ci sia sul mercato. Non stupisce vedere gli inconfondibili bastoncini a sonda della casa austriaca in mano e nelle faretre dei migliori runner del mondo: persino Jim si è messo ad usarli! I secondi sono sempre quelli che vedi più spesso in mano a giapponesi ed americani, e restano una garanzia assoluta di qualità e praticità.
Nel campo smartwatch, è invece impressionante la marcia di Coros che solo da qualche anno si è affacciata sul mondo del trail, prima con l’Apex e l’Apex Pro e poi con il Vertix 2: due sportwatch che hanno convinto da subito per la loro qualità costruttiva e per le funzionalità offerte in termini di software e di integrazione con piattaforme di allenamento come TrainingPeaks. Noi di Destination Unknown li conosciamo bene, usandoli da tempo, e ci ha fatto piacere constatare come si siano diffusi nel mondo degli amatori ma anche dei top runners: quando Kilian ha schiacciato il pulsante di stop e il suo Apex Pro segnava 19:49:30, per noi è l’esaltazione è stata doppia, e Coros era al polso anche del secondo classificato Mathieu Blanchard! In arrivo a fine anno dovrebbe esserci un modello nuovo ispirato proprio da Kilian, siamo curiosi di vedere quali funzionalità integrerà il nuovo modello.

Blanchard ed il suo Coros Apex Pro

Zen Circus – considerazioni sparse su UTMB Chamonix 2022

Da atleta, da allenatore, da giornalista o da semplice appassionato, questo era il mio quattordicesimo UTMB.

Chamonix è sempre stato in questi anni quella settimana folle cerchiata di rosso segnata sul calendario, convenientemente piazzata a scandire la fine dell’estate. Vissuta a volte con palpitazione (specie quando l’ho corso), a volte con emozione (quelli vissuti da allenatore), a volte con curiosità (quelli da giornalista), talvolta con spensieratezza (quelli da turista o le ore rubate al lavoro per uscite semiclandestine di corsa o per i party). Ma mi ha regalato in ogni caso incontri, ricordi, momenti, luoghi che hanno segnato la mia vita.

E’ovvio che, in quindici anni, ho visto UTMB e Chamonix cambiare in maniera radicale. Ma mai come quest’anno, avevo “sentito” il passaggio di un era. Nei prossimi giorni sarà il momento della parte “tecnica”, e sicuramente troverete qui o sulla newsletter approfondimenti ed osservazioni, ma mi faceva piacere aggiungere le mie considerazioni a quelle scambiate con colleghi ed amici o a quelle lette sul web, sul grande circus UTMB.

Discutendo di UTMB con Holly Rush: Simon Freeman perplesso si astiene.
  • Abbiamo il vizio di considerare i francesi boriosi e spesso siamo così provinciali da ripetere sempre gli stessi clichés idioti, ma sfido CHIUNQUE sia stato in questi giorni a Chamonix a negare l’affermazione che UTMB è il “sommet mondiale du trail”. Volente o nolente, è vero. L’hanno forse deciso arbitrariamente, all’inizio, ma le aziende, gli atleti, gli sponsor ed i media, ci hanno creduto ed ora è un dato di fatto.
  • L’hanno raccontata tutti quella del livello, ed è vero, siamo arrivati ad un punto in cui dietro ai top, c’è un esercito di corridori di alto livello che si allenano come matti. Ma prima di partire con i classici “l’anno scorso con XX ero arrivato XX” ricordiamoci (come ha ricordato a me il buon Enrico Deffe) che la scorsa edizione non vedeva al via quasi nessun americano/australiano/neozelandese/thailandese/cinese. Piuttosto, la notizia è che alcune di queste nazioni stanno infilando davvero tanta gente in quella zona appena dietro i top assoluti. Che è emozionante.
  • L’osservazione di Rigo nel suo bel post sulla pagina FB di Spirito Trail che “L’anno scorso per dimenticare emotivamente un morto ci sono volute 27 ore ma si vede che il movimento è cresciuto bene e quest’anno ne sono bastate 2” è incontrovertibile e a modo suo è segnale di quanto siano diventati bravi nella comunicazione. Anche se questa declinazione cinica della parola “comunicazione” mi fa abbastanza schifo.

Non la classica relazione Coach – Atleta. Ma sembra funzionare. Coach Tommy & Francesca Pretto, 9a donna all’UTMB.
  • Non sono invece d’accordo con lui sul fatto che la TDS si sia presa comunque un bel palcoscenico grazie ai suoi vincitori Pommeret e Valmassoi. Forse è stato vero fino a venerdì, poi una CCC vissuta sul filo di lana ed una UTMB che, a parere personale e di qualche altro collega, è stata la più emozionante di sempre, l’hanno un po’cancellata dallo schermo. La TDS aveva onestamente contenuti tecnici inferiori, che non leva niente all’impresa di Ludo, Martina e di chiunque l’abbia fatta e finita, perché è un bel mostro di gara. Verissimo invece che UTMB (inteso come organizzazione) abbia voluto affossarla levandole visibilità, collocandola in una posizione assurda e con uno start ad un ora indegna che ha costretto troppi atleti a due notti fuori. Ma già con l’allungamento ed indurimento l’avevano svuotata di contenuti per farne una sorella macho di UTMB. Poi hanno capito che potevano comunque guadagnare di più facendo gare nuove altrove invece di infilare a forza gare nuove nella settimana di Chamonix ed è diventata una presenza imbarazzante. Io credevo addirittura la spostassero in altra data, invece ne faranno il contentino per chi non ha le Stones. Peccato, le prime edizioni erano state davvero belle gare su un percorso di livello.
  • Non parlo della PTL perché non è il momento e non ho voglia di sentire tutte quelle menate su chi è “montagnard” e chi no.
  • A tutti i cari amici che mi dicevano “te ne vai in vacanza eh, beato te”: le vacanze le vado a fare in un posto che scelgo io, in un momento che scelgo io, e solitamente non comprendono il fatto di dormire male 3 ore a notte, inseguire persone sudate, nervose e distrutte dalla fatica, rispondere a messaggi alle 11 di sera come alle 5 del mattino e fare la coda per comprare due brioches che costano quanto un pranzo in un paese normale. Il mio lavoro non lo cambierei con nessun altro, ma resta un lavoro: puoi anche fare l’assaggiatore di creme alla nocciola o il tester di materassi, ma se lavori 20 ore al giorno weekend incluso, una settimana resta lunga. Got it?

Si, c’è anche da far festa. Ma poca e senza esagerare.
  • Per gli addetti ai lavori era abbastanza palese, ma la presenza di IRONMAN si faceva discretamente sentire. Non vedevi il loro marchio manco per sbaglio, perché probabilmente c’era la paura di “spaventare” un mercato abbastanza tradizionalista e mugugnone, ma nell’impostazione dell’evento, in alcune piccole cose come l’organizzazione dell’Expo, il risalto dato alle categorie di età, non ci voleva molto per notarlo. Prima di tutti, ci sono arrivati alcuni miei atleti anglosassoni che sono migrati alle ultra dal triathlon per sfuggire dalla morsa di IM: non ne erano contenti, ma fortunatamente in questi anni hanno capito che esistono alternative.
  • E questa è forse la lezione più importante che porto a casa: venerdì, in uno di quei momenti di spensieratezza rubati al lavoro, io, Mari e Tommy siamo saliti al Mer de Glace e poi abbiamo corso il Balcon Nord fino alla cabinovia. A metà strada abbiamo passato una coppia ed ho riconosciuto immediatamente Diana e Tim Fitzpatrick. Ora, servirebbe troppo per raccontare di loro e lo lascio a questo bell’articolo di iRunfar, ma Diana è in questo momento la Presidente del Board della Western States 100. Con la solita cordialità americana, quando ci hanno raggiunti mentre io e Mari dividevamo una barretta, hanno attaccato discorso e quando hanno scoperto che avevo corso WS e che conoscevamo tante amicizie comuni, abbiamo passato una mezz’oretta che credo non dimenticherò mai. Per loro era la prima volta ad UTMB e quasi con timore Diana ci ha confidato come la magnitudine dell’organizzazione UTMB l’avesse impressionata, al punto di non sapere come Western States potrà mai avvicinarsi a quello che aveva visto. La mia risposta, e lo penso dal profondo del cuore, è che Western States non dovrà mai cercare di replicare UTMB: Western States non ha nessun bisogno di inseguire nessuno, l’atmosfera, il senso di comunità che ha saputo creare, la sua storia, non hanno niente da invidiare a UTMB. Sono due standard diversi, entrambi di altissimo livello, ma è bello che possano convivere. Assieme ad altri 100 ancora diversi. Vale per le gare grosse, storiche, ma anche per quelle nuove: quando una gara ha un bel percorso, o una storia particolare, o un attenzione speciale per i corridori, quando sa “raccontare” qualcosa ed emozionare, che bisogno c’è di scimmiottare qualcosa che è pressoché unico ed irripetibile?
    L’ho detto tante volte e non mi stancherò di ripeterlo: il nostro mondo è in espansione, ma sarà davvero una crescita se sapremo rendere il nostro sport inclusivo. E allora quale modo migliore se non iniziare a godere della diversità nelle gare che scegliamo?
All work and no play makes Davide a dull boy.
  • Ci sono due motivi principali per cui io, Mari e gli altri allenatori di DU decidiamo ogni anno di spendere un sacco di soldi (Chamonix è diventata inavvicinabile, a proposito) e bruciare una settimana del nostro tempo per essere a UTMB.
    Il primo è stare vicino ai nostri atleti e vivere insieme il culmine di mesi di mail, telefonate, messaggi ed allenamenti: vederli tagliare quel traguardo, è una delle cose più belle che possono capitare ad un allenatore.
    Il secondo è la gente: quella che rivedi dopo un anno, quella che conosci in giro, quella di cui avevi sentito parlare o quella che hai sempre ammirato (come Tim e Diana). Ma non ritorni mai indietro da Chamonix senza qualche nuovo amico e qualche storia in più da raccontare. E questo è uno dei motivi (come dice il buon Simon di LIKE THE WIND) per cui corriamo: la comunità che ci circonda e rinnovare il nostro ruolo in essa.

    Ci vediamo il prossimo anno, maledetta Chamonix.
UTMB: la migliore scusa per rivedere un amico. Il mio pacer di Rio Del Lago 2016, nonché Race Director di Canyons 100, Chaz Sheya.

Something I learned today: la settimana UTMB vista dal Coach.

Attesa da mesi di tabelle e grafici, preceduta da due settimane di sano panico, vissuta con l’intensità di un concerto hardcore: la settimana UTMB regala a noi allenatori ansie, gioie, dolori e stress. Tanto che il lunedì siamo sempre completamente svuotati di fronte allo schermo a chiederci se reggeremo un altro anno di Chamonix.

Eppure, ogni anno, ad un certo punto della stagione la questione si ripresenta: e allora bisogna ricominciare a mettere su il planning annuale a qualcuno, bisogna trovare una gara alternativa a qualcun’altro e la testa va già a prenotare dove stare l’ultima settimana di Agosto. Anno, dopo anno, dopo anno. Perché alla fine l’opportunità di vedere i propri atleti in gara, di condividere qualche momento sul percorso o all’arrivo, di stare un po’insieme, è troppo bella per essere lasciata: non capita spesso nel mondo ultra che l’allenatore possa vivere l’esperienza gara con il proprio atleta, e quindi quando si può, va colta al volo.

Cosa ci portiamo a casa da questo UTMB 2021? Lo abbiamo chiesto ai nostri allenatori: a ciascuno la sua visione, come al solito. Per proteggere gli innocenti sono stati evitati alcuni nomi… ma voi sapete chi siete, l’ira del Coach non vi risparmierà.

Chamonix non è solo stress e ansia eh…

Tommaso Tommy Bassa

Da ogni evento mi piace conservare qualcosa che arricchisca la cassetta degli attrezzi per le prossime occasioni e dopo una gara complessa e ricca di problematiche come una 100 Miglia, trarre degli insegnamenti viene sempre molto facile, figuriamoci quando il setting è quello di UTMB.
Un anno extra di attesa per la start line post pandemia, grandi aspettative e l’hype che questa grande kermesse promette alimentano tanti pensieri deleteri che anche negli atleti più tranquilli conducono a grandi agitazioni e aspettative: sarò all’altezza? mi comporterò bene? mi seguiranno? abbasserò il tempo del mio vicino di casa?

  • L’iper-preparazione che consegue a questo stato di agitazione è il primo pericolo che eventi popolari come UTMB si trascinano dietro, trasformando ogni partente in una potenziale bomba.  Presentarsi su quella start line con l’umiltà di conoscere i propri limiti e la convinzione di saper tirar fuori il meglio dalle proprie possibilità nel rispetto di un percorso difficile, rimane il miglior consiglio che continuerò a dare agli atleti che vogliono presentarsi a Chamonix l’ultimo weekend di Agosto. 

Quest’anno, sulla carta, poteva ospitare un’edizione più benevola di altre viste le condizioni meteo favorevoli: cielo terso, temperature diurne gradevoli al limite del vero caldo, terreno arso da settimane con scarse perturbazioni, e invece già alla base vita di Courmayeur i ritiri e gli atleti in estrema difficoltà erano più che abbondanti:

  • Non sempre avere con sè il semplice materiale obbligatorio è sufficiente: diventa importante continuare a raccomandare di affidarsi a prodotti caldi e adatti alla situazione (specie quando consigliano il Kit Freddo), avere con sè una giacca robusta extra e vestire un intimo più pesante che magari si può sostituire a Courmayeur con uno più leggero per la giornata davanti.
    Una prima nottata fredda, ventosa e inaspettatamente difficile ha tagliato il fiato a molti e costretto ai ripari i runners colti impreparati: ipotermia, difficoltà a mangiare e bere a causa di blocchi intestinali, difficoltà ad orientarsi nella nebbia: forse la fama di UTMB come gara dal percorso scorrevole e ‘facile’ ha spinto tanti a sottovalutare certe sezioni nella parte più delicata di ogni trail: la notte, specie in luoghi distanti dalle grandi basi vita come lo stretch in quota tra il Col de la Seigne e il Lac Combal, km 55-65.

Non voglio fermarmi solo a scelte di materiali, la strategie di gara chiaramente fa il suo sporco lavoro, perchè non conta solo come mi vesto nel momento del bisogno ma anche come mi comporto in certe situazioni:

  • Una condotta di gara al limite o un ritmo appena fuori dalle proprie possibilità non modulato sulla base dei fattori ambientali avversi (o favorevoli, in alcuni casi) può facilmente condurre fuori rotta e trasformare grandi sensazioni in miseri risultati nell’arco di qualche ora. Bisogna affrontare la prima metà di gara con calma e non lasciarsi andare: UTMB non è temuta per il suo gradiente tecnico, ma per la difficoltà di pacing e gestione che impone a tutti i partenti: sfinirsi di ritmi poco plausibili nei primi 50 km, inseguire i gruppetti sbagliati, fa sì che a metà gara avremo un serbatoio già drenato e dovremo fare affidamento alla riserva, rendendo il tutto fisicamente più difficoltoso. E quando il fisico va in crisi, c’è da avere una mente lucida per rimettersi in carreggiata e salvare la giornata, altrimenti si arriva al momento in cui ci si obbliga a prendere delle decisioni. E non sempre le cose vanno per il verso giusto arrivati a quel punto…

Il che mi conduce all’ultimo punto, il problem solving che ci viene richiesto quando tutto inizia a smontarsi e arriva il momento di fare i conti con le difficoltà o gli errori commessi.

  • Rimane fondamentale prendere decisioni senza fretta: talvolta sedersi, ragionare sulla situazione, considerare pros e cons può fare la differenza tra il gestire una crisi e rovinarsi un’esperienza. Nessuno vi corre dietro, rimanere fermi alla aid station per una decina, anche ventina di minuti e darsi il tempo di ricomporsi per proseguire non porta nessuna vergogna: dimostra solo di avere la freddezza di calcolare come muoversi di fronte al momento di crisi. Fare una telefonata, avere qualcuno che dia una raddrizzata all’umore, sono una estrema ratio che ogni tanto può salvarci da un ritiro motivato da questioni futili: mangiarsi le mani a posteriori per aver preso una decisione sbagliata è un ricordo che rimane indelebile, di quei 10 minuti passati seduti al ristoro per decidere il da farsi non si ricorda nessuno. 

Francesco Paco Gentilucci

Per quanto mi riguarda, avendo pochissimi atleti impegnati in gara, mi focalizzo su un aspetto dell’allenamento che ho avuto con Filippo, che secondo me ha ripagato molto.
La scelta del piano sul lungo periodo, che va poi nella direzione di scegliere gli appuntamenti che più ci faranno trovare pronti all’evento “A” è molto importante. Filippo preparava UTMB e abbiamo scelto di fare un Translagorai Classic (che è un fkt collettivo e non una vera gara) invece che appunto una gara “ufficiale”.
Dopo l’inverno passato a lavorare sui ritmi veloci, culminato con una gara breve ma veramente dura, abbiamo iniziato a lavorare sull’endurance. Come ultimo punto prima della gara abbiamo appunto inserito Translagorai Classic, ma con coscienza, e questo credo che abbia di molto ripagato. Oltre ad aver potuto sperimentare la notte, tutto il materiale per UTMB e i problemi che ne conseguono per chi è abituato a correre di solito leggero (dal mal di schiena/addominali da zainetto, ai ritocchi sul materiale) il fatto di essere su un percorso “vero di montagna” e non in una gara con dei ristori organizzati credo che abbia dato a Filippo la capacità di problem-solving di cui parla Tommaso.

Se è vero che a livello di allenamento i km e il dislivello di una gara sono equiparabili, trovarsi in un sentiero che ti obbliga a spendere energie mentali dove non puoi distrarti, invece che correre semplicemente “verso il prossimo ristoro” è un’esperienza molto diversa.

Credo che questo aspetto abbia dato da una parte la tranquillità a Filippo di non sprecare mai energie mentali durante UTMB, ma di essere sicuro del lavoro fatto e delle dinamiche di gare in montagna, della distanza e dei problemi che sorgono (notte fredda/ crisi mentali) e di averlo messo nella condizione di correre in modo rilassato nel pieno delle sue possibilità.



Per la cronaca: ha fatto un garone.

Andrea Guglielmetti

La mia prima volta, il mio primo UTMB, è stato quello del 2017: mai prima di allora ero stato a Cham a vedere la corsa dal vivo. 24h one shot che mi hanno contagiato, e da lì non ne ho potuto più fare a meno! Con buona probabilità aver assistito a quella che ritengo sia stata “la gara” di sempre ha condizionato il mio modo di vivere la Settimana Santa del Trail e la trepidante attesa di Vangelis e dello show degli elite attorno al Bianco.

Nonostante la presenza continua negli anni di amici che si sono cimentati sulle varie distanze, ho sempre badato di più a godermi la competizione della gara regina, ma il 2021 mi ha regalato qualcosa di diverso. È stato il primo anno in cui ho partecipato da coach: è vero non avevo nessun atleta con il pettorale, ma il mio modo di vivere il weekend è stato completamente diverso. In maniera involontaria la mia attenzione si è focalizzata su tutta una serie di aspetti e di dettagli che prima avevo sempre trascurato e che mi hanno subito colpito, ma più di tutto sono stato in grado di vedere da spettatore esterno il rapporto che si crea tra atleta e coach, qualcosa che avevo già vissuto e che vivo tutt’ora ma dalla parte opposta della barricata. Dopo mesi di tabelle, workout, ragionamenti, confessioni e benedizioni, un viaggio durato settimane o mesi, in cui la gara è il concretizzarsi di tutto questo impegno, si crea un certo tipo di empatia, vengono abbattute barriere e si raggiunge una intimità strana e un livello di fiducia raro. Pochi istanti, sguardi e qualche parola di conforto: il coach, attore non protagonista, nel suo ruolo di guida spirituale, accoglie l’atleta in quei pochi momenti in cui ritorna alla realtà prima di rituffarsi al proprio interno in un mood in cui è solo con se stesso. Il piano gara è già stato ampiamente snocciolato nei mesi precedenti, e chi corre è preparato, ma si sa che questo sport riserva imprevisti e difficoltà che invece non sono prevedibili. Lucidità, tempestività e preparazione sono i requisiti richiesti al coach che deve sapere ascoltare e consigliare il proprio adepto, per ricaricarlo di quelle energie mentali e di quelle certezze che la fatica e la stanchezza fanno venire meno, che sono la linfa e che lo fanno ripartire più carico di prima. Quasi come se fossero gli unici due a capirsi in quel momento, gli unici due a poter parlare una lingua incomprensibile a tutti gli altri.

E quanta soddisfazione quando si taglia il traguardo, quanta soddisfazione nel vedere qualcuno realizzare il proprio sogno, quanta soddisfazione nel sentirsi dire grazie. Perché questo vale più di ogni cosa. Anche se però non sempre le cose vanno bene e non sempre si raggiunge l’obiettivo: senza che per forza si consideri tutto un fallimento, analizzare capire e spiegare, confrontarsi, serve a dar valore a quello che si è fatto e perché no, a riportare l’umore ad un livello accettabile, anche sospinti da nuovi e ritrovati stimoli verso la prossima volta.

Questo mi sono portato a casa, questo ho visto fare ai miei “colleghi”: e mi sono immaginato nei loro panni e per qualche momento li ho anche invidiati. Non tutto si impara sui libri, molto si impara sul campo, tanto deve essere vissuto!

Il conto alla rovescia è già partito: ci vediamo il prossimo anno Cham!

Maria Carla Ferrero

ADATTARSI penso sia il concetto che ha guidato qualsiasi gara che ho corso, o a cui ho fatto assistenza. Ancor più a Chamonix, dove gli atleti sulla TDS hanno dovuto fare i conti con un dramma vero: la morte di un ragazzo sul loro stesso percorso. Tutti gli altri “problemi” dal mal di stomaco, le vesciche, i quadricipiti andati, ai crampi si risolvono e lo sappiamo bene tutti, anche se in certi momenti li vediamo come questioni insormontabili ed irrisolvibili.

Detto questo, vi do la mia visione, avendo avuto l’opportunità di osservarvi, e sedermi con voi dopo la finish line.

Parto dal fatto che per quanto se ne dica, trovarsi sulla linea di partenza di una delle gare del circuito UTMB è un privilegio, una cosa che si aspetta a volte per anni. Quindi bisogna farsi trovare preparati. Col cuore pieno di emozione la voglia di spaccare tutto ma la consapevolezza che in tutte quelle ore di gara, le variabili sono infinite e qualche problema da affrontare si presenterà sempre.

Penso che la gara perfetta non esista. Invece esiste essere in grado di gestire ed affrontare ciò che ci si presenta davanti. Non ci sono allo stesso modo soluzioni perfette, ci sono soluzioni che in quel momento sono ideali e che possono portarci alla gara migliore.

Il punto sta proprio nell’imparare ad affrontare i problemi e farlo subito, in modo che non si accumulino fino al punto da sovrastarci e levarci lucidità di pensiero.

E l’altro punto essenziale, è imparare a farlo da soli, perché in quel momento in gara ci siamo noi: nessun altro può sapere meglio di noi stessi cosa stiamo provando, nella gioia e nel dolore. Non riuscirai mai a spiegare quanto stai male o perché ti scendevano le lacrime dall’emozione un attimo dopo, neanche al Coach più empatico, al tuo migliore amico o a tuo marito/moglie.

Ultimamente è sempre più difficile stare da soli con se stessi, viviamo nell’era in cui bisogna sempre condividere tutto. Ma perché? Forse speriamo che il problema ce lo risolva un altro? Difficilmente è così: la persona dall’altra può darci un incitamento, un incoraggiamento, un consiglio prezioso o un aiuto pratico, certo. Ma in una gara di lunghissima durata, dobbiamo sempre fare affidamento su di noi. A mio parere il processo di un’ultra è proprio quello di metterci a contatto con le nostre debolezze e portarci a scoprire invece i nostri punti di forza.

Dobbiamo rimanere concentrati su noi stessi, tenere la mente impegnata e gestire i pensieri, ad esempio prima di entrare nei ristori iniziamo a ragionare su cosa dobbiamo fare, cambiare la maglia, se è sudata, piuttosto che mettersi in “assetto” strato pesante e frontale in testa se stiamo per affrontare la notte, caricare le borracce ecc. Non ci servirà solo a tenere la testa in movimento ma anche a perdere meno tempo alla aid station, specie se non abbiamo assistenza.

In gara credo sia utile restare concentrati su qualcosa di reale, pratico, immediato: guardiamoci da fuori e “sezioniamoci” partendo dalla testa ed arrivando ai piedi, controlliamo che tutto sia a posto, la nostra postura, il nostro passo, le necessità basiche del mangiare e bere. Creare quella continuità, quel flusso che ci porterà ad avanzare sempre inesorabilmente, macinando i chilometri che ci separano dall’arrivo. Tutti lo abbiamo provato in qualche momento correndo: il trucco è cercare di amplificare questi momenti, e spesso per farlo serve isolarsi.

Sono gare che vanno attese, costruite, pianificate, ma che vanno vissute realmente passo dopo passo, adattandosi alle condizioni ed accettando che possano mutare. Abbiamo così tante ore davanti che spesso la soluzione al problema è dietro l’angolo, ma raramente abbiamo la pazienza di aspettare e adattarci.

Detto questo, se poi decidi di partire con un paio di scarpe che hai messo solo in giro per Chamonix il giorno prima e alla prima discesa ti rendi conto che sono corte e ti tocca fare metà gara con le dita tirate indietro… un po’te lo meriti Enrico, però alla fine ti è uscita lo stesso una gran gara.

Davide Grazielli

Ci sono tante cose che mi riporto a casa da Chamonix dal punto di vista tecnico. Ma purtroppo ce n’è anche una che mi porto dietro dal punto di vista umano. Aver vissuto la notte di martedì sul campo alla TDS, in pensiero per chi si trovava in una situazione del tutto inattesa, ha lasciato il segno. In quelle ore spesso io e Mari abbiamo pensato “E se fosse stato uno dei nostri?”. E poi “Se fosse stato uno di noi due e l’altro avesse ricevuto la chiamata dall’Organizzazione?”. Domande inutili, chiaro. Ma a volte un po’di riflessione ci fa capire meglio che niente è scontato.

Passando a cose più futili.

A mio modo di vedere, la prima cosa che conta per fare una bella gara a Chamonix è una: la voglia. O meglio ancora la fame. Quel desiderio di mettersi sui sentieri e chiudere un processo iniziato 2/4/6/9 mesi prima senza farsi influenzare da aspettative, pressione, paure e imprevisti. Bisogna arrivare al giorno X sapendo che non vuoi altro che passare un tot di ore sui sentieri e che quel momento è tuo, che te lo meriti e che va vissuto a pieno. Poi, potrà capitare di tutto, e tanti di questi eventi saranno completamente fuori dal tuo controllo. Ma per fare bene, bisogna essere felici di essere lì. Rispettare la gara e la distanza, il percorso e la difficoltà. Ma essere entusiasti di esserci. Sembra scontato, ma tanti di noi non sono atleti professionisti o elite e spesso si trovano a tenere in equilibrio vita privata, professionale e sociale con la passionaccia per la corsa: le 24 ore che passerete in giro, sono un momento vostro, quindi levate il resto di torno e dedicatevi a voi stessi. Se non siete nella situazione per farlo, è meglio non partire: due dei mie hanno dovuto rinunciare alla loro gara a 24 ore dalla partenza. E sono stati bravi a farlo perché avrebbero corso senza quella tranquillità che serve a godersi una gara così importante.

La seconda, è uno dei miei pilastri: la continuità. Chi ha chiuso bene la gara, è chi è riuscito nei mesi a creare una routine, a far diventare la corsa parte integrante della giornata, quando si ha l’uscita. Chi è riuscito ad automatizzare il gesto di prendere ed uscire a correre come se fosse parte integrante della propria vita. A qualcuno sono bastati due mesi dopo sei di infortunio: ma in quei due mesi ogni pezzo del puzzle è andato a posto senza sforzo. Certo, all’inizio con più ragionamento, ma una volta che la figura prendeva forma, i pezzi “chiamavano” invece di dover stare a cercarli.

La terza, è che sul tipo di percorso delle tre gare più lunghe, allenare salite continue lunghe ed un ritmo efficace ma economico è spesso la chiave giusta. Coi miei abbiamo sacrificato nell’ultimo mese i lavori in ripetuta lunghi, ed inserito quando possibile dei Climb Block da 30/40/50 minuti cercando di non far salire troppo il cuore. E ha pagato. Allo stesso modo, nell’ultimo mese con qualcuno abbiamo sperimentato un lavoro di condizionamento eccentrico a secco leggero ma efficace: matrici di affondi e pliometria leggera. Fare bene le salite significa efficacia, riuscire a limitare i danni muscolari in discesa è l’altro lato della medaglia, e siccome il rapporto costo/beneficio si è dimostrato alto, è qualcosa che in futuro inserirò sempre coi miei atleti che vanno a Chamonix.

Hurry up and wait. E se ti va bene, c’è il sole.

La quarta è più generica e riguarda la distanza che c’è tra una CCC ed un UTMB (o anche una TDS). Non sono 60 km e 4.000 metri di dislivello, è molto di più. Se la CCC ha una magnitudine per cui può essere affrontata a quasi tutti i livelli ancora come gara, l’UTMB, richiede un impegno diverso, ed una preparazione che vada ad affrontare in maniera specifica una gara con spazi dilatati. L’ho visto chiaramente a livello elite, dove la CCC è stata scoppiettante ed anche molto tattica, mentre l’UTMB è stato anche davanti l’ennesima gara a chi mollava per ultimo (e comunque mettetevi il cuore in pace che quasi mai molla D’Haene): aka parto, ci provo, se va bene vinco o salgo sul podio, sennò pazienza e ci rivediamo prossimo anno. Gara di attrito più che di intelligenza. E la cosa si può trasportare comunque tra i midpacker e anche con i lottatori di cancelli, aggiustando i target: poco cambia. Questo per dire che è giusto sognare in grande, è giusto aspirare a chiudere il giro… ma gestite le aspettative e mettetevi nello stato mentale di “esplorazione”. UTMB svela raramente i suoi segreti alla prima uscita, come tutte le donne (e uomini) intriganti. Il corteggiamento dovuto è lungo, ma come spesso vi dico, amate il processo, e non sarà mai un semplice allenamento.

Vi chiedete da dove viene il titolo? Eccolo qui, in tutto il suo splendore

Il Bianco – punto

Finalmente, eccoci arrivati alla gara madre che non per niente da il nome al circuito, l’UTMB (Ultra Trail du Mont Blanc), nome che viene nientepopodimeno che dalla montagna regina delle Alpi, italiane e non.

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L’UTMB è la 100 miglia più iconica d’Europa, sia perché corre intorno al Bianco, sia per tutto il clamore che le si è creato intorno, con migliaia di partecipanti provenienti da tutto il mondo. Chi finisce il Bianco non si porta a casa una fibbia (non avete ancora ascoltato lo speciale UTMB pubblicato da Buckled? male – QUI il link alla puntata) ma una cento (e più) miglia dura, in puro stile alpino.

Il Bianco è l’unica gara che parte da Chamonix alle 18.00 di venerdì, così che i runner dovranno presto sfoderare le frontali per poter ammirare l’Aiguille de Bionnassay. All’alba molti corridori passano il col de la Seigne per entrare in Italia nella Val Veny, nella quale dominano i ghiacciai del Monte Bianco. Si prosegue poi verso Val Ferret, sovrastata dal Dente del Gigante e dalle Grandes Jorasses, prima di scollinare in Svizzera dove si affrontano le infime salite di Bovine e Les Tseppes. Si passa poi sotto l’Aiguille Verte e i Drus per poi tornare al centro di Chamonix. Sembra facile a metterla così eh? Ma parliamo di 170 chilometri con 10.000 metri di dislivello, da correre in massimo 46 ore e 30.  Il cutoff fa capire quanto la gara sia dura.

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Runner europei, abituati a correre su questo genere di terreno, da anni la fanno franca e vincono questa gara, non lasciando spazio agli atleti d’oltreoceano. Vediamo se quest’anno si spezza la magia.

UTMB – dettagli tecnici

Distanza 170 km

Dislivello 10.000 mt +

Cutoff 46 h 30

Partenza Chamonix 30/08/2019 18:00

Punti ITRA 6

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La parola agli atleti DU

Fabio De Boni

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Cosa ti aspetti dalla gara? 

Torno a correre UTMB dopo l’esperienza del 2017, pieno di entusiasmo e con un po’ di esperienza in più! Due anni c’era fa l’incoscienza del principiante e un allenamento “fai da te”. Quest’anno conosco già il percorso e vengo da un lavoro mirato. L’obiettivo è divertirsi innanzitutto e godermi i paesaggi che percorreremo. Due anni fa fu un’edizione segnata dal maltempo e non ho gioito dei panorami come speravo, son tornato a Cham soprattutto per questo motivo. Poi c’è anche l’aspetto agonistico, che per me vuol dire migliorare il mio crono del 2017, ma so che non sarà facile perché le variabili in gioco sono tante. La gestione delle forze, della alimentazione e delle energie mentali sarà fondamentale per centrare l’obiettivo! A differenza di due anni fa, quest’anno avrò una crew al seguito, che mi assisterà lungo tutto il percorso e che non voglio deludere!

Quale sarà secondo te il punto cruciale del percorso?

I punti secondo me cruciali saranno Courma, dove si deve arrivare sereni e senza forzare, e poi Champex- Lac, alla fine della lunga discesa dal Col Ferret. Lì bisogna arrivare bene sia di fisico che di testa. Presa coscienza che il più e fatto gli ultimi 40 km , con due assistenze consentite, non saranno facili ma nemmeno proibitivi.

Copia di THE COACHES WILL HAVE THEIR SAY

Stavolta ci siamo divisi i compiti e saranno le DU ladies a prendersi cura delle preview maschili…

Eva:

Chiedermi chi secondo me vincerà l’UTMB è come chiedere a un bambino su quale puntare: “su quello lì perché è più bello”. Ma se mi impegno a fare i compiti forse qualche nome sensato riesco a cavarlo fuori. Vediamo. Quanto sarebbe fico che vincesse un americano? L’anno scorso Zach era partito bene ma nel suo stile o la va o la spacca, ha spaccato. Mi piacerebbe che si rompesse quest’incantesimo e che Zach o Tollefson vincessero. Se dovessi puntare in maniera più oculata direi quest’ultimo, ma se dovessi usare la pancia punterei sul cavallo pazzo. Chi potrebbe impedire l’avverarsi del mio sogno? Senza dubbio Pau Capell, il collezionatore Xavier Thévenard e gli inglesi Tom Owens e Andrew Symonds.

Mari:

Che responsabilità questa… mettere giù i pronostici per per la regina delle gare che partirà da Chamonix: l’ Ultra Trail del Monte Bianco, scritto per intero fa ancora più paura. I coaches se ne lavano le mani e lasciano a noi l’ingrato compito. Alla fine la domanda è sempre quella: quando un uomo americano tirerà su quel nastro? Se un americano deve essere a mio parere il più papabile è Tollefson, alla fine tutte le volte che si è presentato a Chamonix è salito sul podio. Anche se penso che il plurivincitore Thevenard non molli l’osso facilmente! Capell ha già terminato bene tutte le gare del circuito UTMB, e quest’anno pare essere in gran forma, podio a Mozart 100 km e primo posto anche su Patagonia Run 100 Mile, quindi potrebbe fare bene. Ci metterei anche Zach Miller ma finora quest’anno non ci ha dato grandi soddisfazioni. Mi piacerebbe vedere battagliare lì davanti anche un italiano e spererei fosse Macchi, torna dopo 4 anni in cui è cresciuto molto. Comunque vada, mi risulta che uno solo dei partenti abbia fatto l’Everesting. Di corsa. Noi tifiamo per lui…

THE COACHES WILL HAVE THEIR SAY

Lasciamo ai due coach il compito di delucidarci sul gentil sesso. Resta valida l’opzione di poterli deridere a giochi fatti, eh.

Coach Paco:

Mi gioco un’outsider, o comunque un volto nuovo: Katie Schide, perché mi piacerebbe proprio succedesse qualcosa di completamente inaspettato. Una ragazza del 1992 che vince e sbaraglia la concorrenza, sembrerebbe impossibile in una gara europea e dove le donne sono solitamente runner di esperienza. Eppure il motore Katie lo ha, secondo lo scorso anno a CCC, nonché fresca vincitrice della Marathon Du Mont Blanc. Certo, qui i km sono molti di più, ma se invece di una gara timida la Schide giocasse il jolly e facesse una gara alla Zach Miller, sempre in testa? Sarebbe di sicuro molto divertente. Poi Courtney Dauwalter, che anche se sulla carta è la più forte, non me la sento di metterla al primo posto. Se la gara fosse composta da due loop del percorso non avrei avuto dubbi. Per quanto per gli americani questa gara è tecnica, rimane comunque corribile, e seppure Courtney sia forte sul corribile, vedi a Western States, non ha così tanta velocità di fondo come altre concorrenti. Chiudo con Luzia Buhler. Ok questo è un voto di simpatia, lo ammetto. Luzia è una delle ragazze più simpatiche e con l’attitudine più bella in circolazione e mi piacerebbe molto vederla avanti. Credo che sia poco probabile perché ha iniziato a gareggiare presto, ha già corso Western e non avrà tantissima lucidità nella gambe. Ma ricordiamolo, ha vinto Wasatch 100, che è una gara molto tosta, e quest’anno ha strappato un biglietto per WS. Inoltre in Italia piacerebbe a tutti vederla sul podio e UTMB rimane una gara imprevedibile, specie se invece che il caldo arriva il tempaccio e le condizioni alpine…forza Luzia!

Coach Davide

Sapete cosa vi dico? Che la rivince Rory Bosio, e sarebbero tre. Non so perché, ma su questa distanza, su questi sentieri, io ci credo. Passerà a Champex  Miao Yao che però resisterà in seconda posizione nonostante una rimonta terrificante di Luzia Buhler. Si era capito che a noi sta simpatica Luzia?

CCC – Corri Cento e sei Contento

Niente, ogni volta che leggo CCC nella mia testa compare una P e mi viene in mente il gruppo di Ferretti, ma tralasciando questo fatto, andiamo a vedere in cosa consiste questa corsa, ovviamente, utilizzanto quante più C possibili.

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Dopo la sorella cattiva dell’UTMB ecco arrivare la sorella minore, che con i suoi 101 chilometri passa per tre nazioni ricalcando in parte il Giro del Monte Bianco.

La CCC (Courmayeur – Champex – Chamonix) parte da Courmayeur e si alza subito in quota con un ‘incredibile vista sul Bianco e sulle Jorasses. Si entra poi in Svizzera con il passaggio a Grand Col Ferret e si prosegue verso la Fouly, Champex e Trient. Qui ci si fa il segno della croce e si spera di arrivare a Chamonix prima che sorga il sole. I corridori “normali”, sono i meno acclamati di tutto il circuito perchè arrivano a Chamonix quando tutto il paese dorme.

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Se si predilige l’esperienza all’arrivo è, tutto considerato, una gara bellissima, tecnica il giusto ma più scorrevole della TDS.

CCC – dettagli tecnici

Distanza 101 km

Dislivello 6100 mt +

Cutoff 26 h 30

Partenza Courmayeur 30/08/2019 09:00

Punti ITRA 5

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La parola agli atleti DU

Adam Lucas Lucas

Adam

Cosa ti aspetti dalla gara? 

Sono ancora indeciso su quanto spingere (Adam ha fatto ad inizio mese una 100 miglia – Nota del Coach). Sarà la mia seconda vera gara in montagna, quindi sono ancora un principiante. Dipenderà molto dal meteo. Mentalmente mi aspetto le montagne russe, e voglio che sia così. E’per questo che corro le ultra: so che arriveranno le crisi e voglio vedere quanto in basso posso arrivare e poi quanto in alto. Di solito correre mi da grosse dosi di endorfina e voglio vedere a che punto smetterà di darmi queste sensazioni. Il terreno montagnoso sarà il vero test perché non corro quasi mai in montagna e la discesa sarà dura. Alla Maxi Race lo scorso anno mi sentivo distrutto prima della salita più dura e ho dovuto fermarmi cinque minuti in cima per far passare qualche svarione. Correvo con un amico ma pensavo che quella fosse la fine della mia gara: una volta finita la salita stavo bene. Quindi ho questo tipo di paura, dubbio, che voglio superare.

Quale sarà secondo te il punto cruciale del percorso?

Rispetto molto la gara, come detto. Ma 100km non sono 100 miglia. Secondo me dopo 70km si vedrà come starò, se sarò riuscito a gestire nutrizione e fisico. Trient, sarà il punto chiave: dopo ci saranno solo due salite e casa.

Per me sarà un test nel cercare di allungare un pelino le mie solite distanze, sognando qualche 100 miglia isolana o americana su terreno non amichevole.

Alessandro Marmorato

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Cosa ti aspetti dalla gara? 

Visto com’è andata la mia preparazione (durata solo 5/6 settimane causa infortunio) mi auguro solo di finirla, se fossi al 100% mi darei magari degli obiettivi a livello di tempo ecc, ma in questo caso finire è l’unico obiettivo.
Non vedo l’ora di essere alla partenza venerdì mattina ed ascoltare i Vangelis, ho già la pelle d’oca. Spero anche di poter beccare Coach, Mari, Adelina ed i torinesi ai ristori, sarebbe una gran carica.
Paesaggi? Penso tra i più belli, peccato non poterli filmare/fotografare durante la gara, se Angelo dovesse beccarmi…

Quale sarà secondo te il punto cruciale del percorso?

Onestamente conoscono pochissimo il percorso, mi guarderò qualche video su YouTube hahahaha. Sarà sicuramente molto tecnico e con tanto dislivello ma a tratti corribile, ma non ti so dire un punto cruciale, spero solo di star bene per tutto il viaggio.

 

Davide “Vertebra” Bellio

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Cosa ti aspetti dalla gara? 

Direi che a livello emozionale vorrei ripetere in tutto e per tutto la Lut, che è stata la giornata perfetta.Come prestazione mi sa che il il jolly me lo sono già giocato lì, quindi spero entro le 20 ore. Il mio motto, comunque vada, rimarrà “vado piano, ma mi diverto”!

Quale sarà secondo te il punto cruciale del percorso?

l punti cruciali in gara secondo me saranno due : la lunga discesa verso La Fouly e la seconda salita dopo Champex. Lì si vedrà che tipo di giornata sarà…

THE COACHES WILL HAVE THEIR SAY

Abbiamo chiesto ai nostri valorosi allenatori di tirare fuori i nomi giusti di chi starà davanti. Post UTMB, sarete liberi di deriderli.

Coach Paco

Dico Eva Toschi: abbiamo tutti voglia di avere un pretesto per fare festa. A seguire mi piace Kelly Wolf: ragazza molto forte, solitamente predilige una condotta di gara autoritaria. Se parte avanti è difficile che crolli, una delle grandi favorite. Dietro, MacDonald Alisa, canadese trentanovenne ha trovato la sua distanza su questo chilometraggio. Lo scorso anno ha vinto Black Canyon 100. Quest’anno si è vista poco, ma sulla carta è sempre un osso duro.

Uomini, continuiamo con gli americani e mettiamo Mario Mendoza.
Proviamo a immaginare un caldo apocalittico, cosa che ogni tanto succede in quella settimana: Mario Mendoza potrebbe partire nel picco di caldo e sparire alla vista degli altri concorrenti. Poi Stefano Rinaldi
perché è un ragazzo con delle ottime gambe, ma soprattutto è così fuori di testa che sarebbe veramente fantastico vederlo davanti a mordere il collo al primo. Vincere no, troppo mainstream. Completo con Luis Alberto Hernando che, lo ammetto, non mi fa morire il suo modo di correre, essendo piuttosto prevedibile e sempre molto oculato. Ma indubbiamente è uno dei più forti sul campo, e non è molto difficile vederlo davanti.

Coach Davide:

Eh, dai, tanto lo sanno anche i muri che stravedo per Stephanie Howe, e allora voglio lei sul gradino alto. E’in Europa da mesi, sta correndo come una matta, che sia la volta che anche sulle Alpi fa il colpo? Tra le altre statunitensi qualcosa di grosso esce: Kelly Wolf, Keely Henninger che è anche già esperta del percorso, Brittany Patterson… Tutte candidate plausibili. Ma a sorpresa io metto la britannica Holly Page, che mi sembra in stato di grazia.

Tra gli uomini, scontato: tifo per Stefano Rinaldi e basta, chiudiamo le previsioni. Tra lui e Marco De Gasperi, un po’di Italia a fare bagarre ci sarà. Occhio a Michel Lanne però e anche a Luis Alberto Hernando. A me, al contrario di Paco, piace da morire. Ed ha l’account Instagram più divertente del mondo trail e/o running in generale. Lo attenderò sul dritto finale al grido di “Tortilla de patatas para todos!”

BUCKLED – UTMB madness e (dis)equilibri di coppia.

In occasione dell’UTMB, Alessandro Locatelli di BUCKLED ci regala episodio dedicato, e questa volta in studio ha nientemeno che Sara Lando.

Ora, se dicessi che è una fotografa sensazionale la chiuderei in fretta, ma non è in questa veste che la troviamo dietro al microfono. Questa volta mette a servizio il suo occhio sensibile, la sua sagacia, e la sua notevole capacità narrativa, per cercare di spiegare cosa significa vivere un UTMB da fuori.

Ne esce un oretta che fila via liscia: sono sicuro che strapperà qualche risata, e anche che tanti di noi trailer si sentiranno scavati nell’intimo. Proprio come nelle sue foto.

Ah, ho forse dimenticato di dire che Sara è la moglie di Alessandro, e che ovviamente parla della sua esperienza al seguito dello stesso? Beh, ora lo sapete e non potete far altro che rilassarvi e schiacciare play.

Enjoy.

TDS – Technique, Difficile, Superbe

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Se negli anni passati la TDS era considerata una gara super-tecnica, bella e dura adesso che al percorso sono stati aggiunti 23 chilometri e 1800 m di dislivello che dire? Beh a questo punto la potevate far diventare una 100 miglia!

Scherzi a parte, la TDS (sur les Traces des Ducs de Savoie) è senza dubbio la gara più tecnica del circuito e adesso dalla categoria dura passa a durissima con un terreno tutto da scoprire nella regione del Beaufortain. Con partenza sempre da Courmayeur (quest’anno alle 4) e arrivo a Chamonix il percorso dell’undicesima edizione sarà più lungo ma più adattabile in caso di condizioni climatiche difficli. Per quanto riguarda i “paesaggi”, chi corre la TDS si becca il Pas d’Outray con tanto di vista sulle iconiche Pierra Menta e Grand Mont, ed ovviamente il Bianco.

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La TDS sarà una gara veramente da seguire visti i cambiamenti e i tempi tutti da ristabilire. Ma su quest’argomento lasciamo la parola all’esperto.

TDS – dettagli tecnici

Distanza 145 km

Dislivello 9100 mt +

Cutoff 42 h

Partenza Courmayeur 28/08/2019 04:00

Punti ITRA 6

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La parola agli atleti DU

Luca Ambrosini

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Cosa ti aspetti dalla gara? 

Mi aspetto panorami assurdi, già avendo fatto la CCC so cosa mi aspetta da quel punto di vista. Delle gare del circuito UTMB sarà sicuramente la più tosta, cruda, tecnica: già quando era 120 km dicevano che era la sorellina cattiva, ora chissà di quanto l’hanno incattivita. Se hanno previsto che il vincitore ci impiegherà 19 ore, io mi sono messo l’anima in pace e non guardo a tempo, ritmo: cerco di godermi il viaggio. Sarà la sfida più grossa che abbia mai affrontato, ero arrivato ai 120 km e 22 ore della SUSR del 2016, che nel 2017 ho replicato e le ore erano scese a 20:06.

Posso solo dire che a me queste “cancarate” lunghe mi ispirano tanto, ritmi non esagerati ma su terreno supertecnico, fisicamente forse nessuno è pronto per affrontare questo tipo di gare, secondo me è la testa che ti manda avanti: quando vedi che per 10 km impieghi 3 ore, allora viene fuori chi ha testa. Sarà anche la prima gara dove avrò un assistenza speciale, la mia dolce metà mi seguirà per tutto il viaggio, sono molto felice per questo, poi so già che ci sarà anche tutta la DU family, non vedo l’ora di prendermi parole dal coach quando vede che in salita cammino…

Quale sarà secondo te il punto cruciale del percorso?

I punti cruciali della gara daranno sicuramente Bourg Saint-Maurice -km 51- e Beaufort –km 91-: si scende in valle e poi bisogna “svalicare” praticamente 2 montagne, con un D+ filato mostruoso. Qualche difficoltà si incontrerà anche a Les Contamines, la stanchezza sarà tanta, e ci aspetta ancora una bella salita.

Da non sottovalutare le parti tecniche della gara, la concentrazione deve essere sempre massima. Poi diciamocelo chiaro, un viaggio cosi lungo ha talmente tante variabili che a noi non resta che prendere tutto così come viene.

Per me sarà un test nel cercare di allungare un pelino le mie solite distanze, sognando qualche 100 miglia isolana o americana su terreno non amichevole.

Alessio Albanese

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Cosa ti aspetti dalla gara? 

Settimana UTMB? Per me tutto è nato con questa “manifestazione”: mi sono avvicinato a passi di bimbo, per approdarci l’anno scorso, 2018, come responsabile UGLOW ITALIA e vivere i più bei giorni dal punto di vista sportivo grazie alla vittoria della nostra atleta Francesca Canepa.

Quest’anno, problemini permettendo, parteciperò alla TDS … 145km x 9100 …
Penso e ripenso molto a chi te lo fa fare? Te l’ha consigliato il medico? Nessuno ti paga, anzi…

Il mio Coach, pazzo a decidere di seguirmi, dice che la posso portare a casa tranquillamente. In effetti mi ha portato lui a questo livello personale, quindi ascoltiamolo. Pensiamo e soprattutto godiamoci ogni singolo centimetro, panorama, sensazione nelle nostre gare perché in quei momenti siamo soli con noi stessi con i nostri pensieri. Ma ci sono persone che ci amano, che ci vogliono bene, che ci seguono, che aspettano al traguardo o sono a casa a seguire con il LIVE.

GODETEVI IL MOMENTO: io personalmente affronterò il mio mostro. E lo voglio battere lo stronzo sta volta.

Quale sarà secondo te il punto cruciale del percorso?

Sono veramente tanti 145km. Ne ho già corsi 120 nel 2018 ma sono i 9100 metri che mi mettono paura: è una gara nervosa, non molla mai, su su su e giù giù giù. Non c’è un pezzo in particolare che mi preoccupa: sono tutti i 145 km, ogni singolo km…

 

THE COACHES WILL HAVE THEIR SAY

Abbiamo chiesto ai nostri valorosi allenatori di tirare fuori i nomi giusti di chi starà davanti. Post UTMB, sarete liberi di deriderli.

Coach Paco:

Ma quanto forte va la Pretto? Tanto. E non è fantascienza vederla sul podio, anche sul gradino più alto. Quindi voto Francesca Pretto. La gara è molto dura e adatta alle sue caratteristiche. Inoltre, val la pena ricordarlo, ha vinto per due volte di fila URMA 50k Invitational. Poi Audrey Tanguy, campionessa in carica, fortissima. La ragazza del Team Hoka è una che sbaglia poche gare, e parte da favorita. E terza metto Meredith Edwards anche se sembra che dopo essersi messa con Jason Schlarb si sia un po’ rammollita. E’ comunque un cavallo di razza. Patisce il freddo e se qualcosa va un po’ fuori dalle sue previsioni fa fatica a tenere assieme i pezzi, ma è comunque una che può fare bene.

Uomini: Ludo Pommeret. Ha una biomeccanica di corsa da dimenticare, soprattutto quando lo vedi correre dal vivo, eppure è il più forte in griglia partenti. Vincerà? Probabile. Un’altra vecchia conoscenza del giro di gare dell’UTMB, Tofol Castanyer, è uno veloce, ma anche bravo sul tecnico e con condizioni difficili. Può stare sul podio comodamente. Chiudo con Ryan Sandes, che ogni volta che ho pronosticato che sarebbe andato male ha fatto bene, una volta ha pure vinto Western States. Quindi a sto giro lo metto sul podio e vediamo che succede.

Coach Davide:

Kathrin Gotz sembra il nome da giocarsi, anche più della Tanguy in virtù della stagione allucinante che sta avendo. Ho solo paura che abbia caricato un po’troppo in questi mesi, non è sempre facile ed immediato smaltire certi carichi, specialmente in gara. E sono curioso di vedere come Hillary Allen se la caverà con la distanza. Perché per il resto ha tutto per fare davvero gara: velocità di base, brava in salita come in discesa, amante del terreno tecnico. Si è ripresa alla grande dalla terrificante caduta di Tromso e secondo me vuole lasciare la zampata, anche se dopo Cortina non ha brillato. Mi odieranno entrambe, ma sul podio io ci vedo bene due ragazze italiane: Francesca Pretto è in forma strepitosa, non ha paura di niente e ha Tommaso Bassa a farle assistenza (se Riccardo Tortini è il pacer che tutti vorremmo, Tommaso Bassa è la crew che tutti vorremmo… specie con gli occhiali di Robocop) e Sonia Glarey, che qui a Chamonix il podio l’ha già conosciuto. Ed era il gradino più alto. Il mio cuore batte per loro, inutile nasconderlo.

Vuoi vedere che vince davvero Pommeret? Secondo me si, sarebbe un segnale di speranza per tutti noi ultraquarantenni. Quindi si tifa Ludo. Poi vado esotico con Yanqiao Yun e completo con Aurelien Dunand-Pallaz, che si meriterebbe una gara strepitosa in patria. Ma c’è una cricca di spagnoli assatanati (ed esperti) che non starà a vedere.

 

OCC – in (trail) medio stat virtus

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L’avevamo promesso (o minacciato) ed eccoci qui, pronti ad entrare gradualmente nella UTMB madness. Ma alle 100 miglia – soprattutto quella del Bianco – non ci si arriva partendo da zero ma godendosi tutto il sapore che hanno i chilometraggi che vengono prima.

Per questo, non ci resta che partire dalla OCC (Orsières – Champex – Chamonix), la gara di media distanza (sono considerate Trail Ultra Medium le gare tra i 42 e i 69 km) che quest’anno vede la sua quinta edizione.

La gara, che esplora il Vallese, parte da Orsières, (sud-ovest del Canton Vallese, nella valle Val d’Entremont) passa sotto il versante orientale del Monte Bianco per arrivare prima a Champex-Lac e poi proseguire sul percorso di UTMB e CCC fino al centro di Chamonix.

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Passiamo ai numeri che, per quanto sarebbe bello pensare al trail solo come uno splendido viaggio sui sentieri, vanno tenuti da conto.

OCC – dettagli tecnici

Distanza 55 km

Dislivello 3500 mt +

Cutoff 14 h 30

Partenza Orsières centro 29/08/2019 08:15

Punti ITRA 3

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La parola agli atleti DU

Matilde Giovannoni

3c84cab3-ba5c-49fd-9da2-f642eb13fe22Cosa ti aspetti dalla gara? 

Spero e sono sicura di trovare paesaggi super, di guardarmi intorno tanto e conoscere nuove persone. Spero di non trovarmi in una gara di invasati-imbruttiti stile milanese
Punto a godermela e a finire in un tempo decente…. che non so quale sia….

Quale sarà secondo te il punto cruciale del percorso?

Punto cruciale critico credo arrivare a Trient e La Flegere. Anche se personalmente mi spaventano quasi più le fasi di corsa in piano che la salita (so che me ne pentirò quel giorno). Quindi forse cruciale il primo pezzo per non rimanere troppo indietro…

THE COACHES WILL HAVE THEIR SAY

Abbiamo chiesto ai nostri valorosi allenatori di tirare fuori i nomi giusti di chi starà davanti. Post UTMB, sarete liberi di deriderli.

Coach Paco:

Tra le donne, al primo posto ci piazzo la vincitrice di Speedgoat 50k in carica, Anna Mae Flynn. Seconda metto Ruth Croft che è una che va forte e ha scelto di stabilizzarsi su distanze più corte e gare tirate, parte da favorita, e a buona ragione. Terza metto Dominika Stelmach, una polacca che parte di sicuro da outsider. Si è vista poco e tutto il resto, ma vedrete che potrebbe fare bene. Podio azzardato, ma vediamo come va.

Tra gli uomini invece spazio a Pat Reagan, uno che sa correre, forte, più forte di tutti forse. Il suo problema è la salita, ma OCC non è tutto sommato una gara incorribile. Col caldo e con qualche errore davanti, potrebbe saltare fuori in discesa correndo comodamente sotto ai 4 al km. Poi Chris Mocko se non salta per aria provando a seguire qualcuno che ha più gambe di lui. Voglio proprio vedere cosa combina. E poi Francesco Trenti: occhi puntati sul trentino, che è uno che si allena tanto. Fermato a Cortina da una slogatura, ma l’ho visto coi miei occhi più tirato che mai. Forza Franz!

Coach Davide:

Ruth Croft parte con tutti i favori, e a ragione. A Chamonix non ha mai sgarrato, qualsiasi distanza abbia fatto. L’unica che quest’anno potrebbe impensierirla, secondo me, è Sheila Aviles, nel circuito sky sta mettendo in riga tutti e non è cosa da poco contando il livello. Mi piace l’idea che Anna Mae Flynn porti un po’ di stelle e strisce sul podio…

Uomini: difficile su una distanza così. Dico Nico Martin perché mi piace l’idea di un francese sul podio. Ma Ruy Ueda è nella stessa identica posizione della Aviles: grandissima annata nel circuito sky, e a Chamonix lui ha già fatto gran bene. Sarà entusiasmante. E terzo mettiamo Thibo Baronian, andiamo sul local: se lo meriterebbe.

UTMB: avvertenze per l’uso.

L’UTMB costa. Offre un servizio fantastico, ma va detto, influisce sul bilancio di qualsiasi runner. Un po’ l’iscrizione, un po’il viaggio, un po’(tanto) trovare da dormire e mangiare a Chamonix. Ma la voce che più causerà discussioni con mariti, mogli, compagni, genitori, figli e commercialista, è il MATERIALE.

Anche cercando di non farsi tentare dalle sirene dell’Expo, per partire ed essere in regola con quanto richiesto dall’organizzazione (non pensate neanche a bypassare, che oltre ad essere triste è illegale: sapevate a cosa andavate incontro quando vi siete iscritti), serve una dotazione corposa.

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Jim, hai dimenticato a casa qualcosa?

Con l’idea di ripassarla, e dare qualche esempio di come spendere bene il proprio budget, abbiamo chiesto a Maria Carla di darci qualche dritta su come districarci tra materiali e costruzioni. In fondo sarebbe anche il suo lavoro quando non è precettata dai camp.

Il materiale richiesto è il seguente:

Kit di base

  • Zaino di gara per trasportare il materiale obbligatorio
  • Telefono cellulare (uno smartphone è consigliato): il corridore deve essere raggiungibile in qualsiasi momento prima, durante e dopo la gara:
    – Opzione internazionale che ne consenta l’utilizzo nei tre paesi (inserire nella propria rubrica il numero di sicurezza dell’organizzazione, non nascondere il proprio numero e non dimenticarsi di partire con la batteria carica)
    – Tenere il telefono acceso, la modalità aereo è proibita e potrebbe provocare delle penalizzazioni.
    – Per smartphone: applicazione LiveRun installata e configurata.
    – -Si raccomanda vivamente una batteria esterna.
  • Bicchiere di 15 cl minimo (non sono autorizzati borracce o fiaschette con tappo)
  • Riserva d’acqua di almeno 1 litro
  • 2 lampade frontali funzionanti con pile di ricambio per ogni lampada
    Raccomandazione: 200 lumen o più per la frontale principale
  • Telo di sopravvivenza di minimo 1,40 m x 2 m
  • Fischietto
  • Benda elastica adesiva per fasciature (minimo 100 cm x 6 cm)
  • Riserva alimentare
    Raccomandazione: 800 kcal (2 gel + 2 barrette energetiche di 65 g ognuna)
  • Giacca a vento impermeabile* e traspirante** (tipo Outdry) con cappuccio, adatta al brutto tempo in montagna
    *minimo 10 000 Schmerber.
    **RET inferiore a 13.
    – la giacca deve avere obbligatoriamente un cappuccio integrato
    – le cuciture devono essere stagne.
    – la giacca non deve avere parti con tessuto permeabile; sono accettate le parti per fare entrare aria (sotto le ascelle, sulla schiena), solo se non impediscono in modo evidente l’impermeabilità.
    Il concorrente giudica, secondo i suoi criteri, se la sua giacca è conforme al regolamento e dunque adatta al brutto tempo in montagna; ad ogni modo, in caso di controlli, solo gli addetti ed i Commissari di gara decideranno.
  • Pantaloni lunghi o collant e calzettoni che coprano tutta la gamba
  • Cappellino, bandana o Buff®
  • Secondo strato caldo: maglia a maniche lunghe (no cotone) di minimo 180g (uomo, taglia M)
    O maglia calda a maniche lunghe (primo o secondo strato, cotone escluso) di minimo 110g (uomo, taglia M) e di una giacca windstopper* con protezione idrorepellente duratura (DWR protection)
    *la giacca windstopper non sostituisce la giacca a vento impermeabile con cappuccio e vice versa
  • Cappello
  • Guanti caldi ed impermeabili
  • Pantavento impermeabili
  • Documento d’identità

Negli ultimi anni sono stati aggiunti i leggendari kit canicola e invernale che l’organizzazione può rendere obbligatori anche all’ultimo minuto. Rispettivamente:

Kit canicola 

  • Occhiali da sole
  • Cappellino con paraorecchie che copra anche la nuca
  • Crema solare
    Raccomandazione: livello minimo di protezione 50 (SPF)
  • Riserva d’acqua di almeno 2 litri

Kit invernale 

  • Occhiali protettivi
  • 3° strato caldo (da indossare tra il 2° strato e la giacca impermeabile)
  • Raccomandazione: pile o piumino comprimibile
  • Scarpe da trail robuste e chiuse (NO scarpe minimaliste o super leggere)

Ma ora, parola all’esperta.

“La scelta di un equipaggiamento idoneo è uno dei fattori chiave del successo della gara. L’ultra-endurance necessita una preparazione minuziosa, attrezzatura da gara compresa”

Incipit della pagina dedicata al materiale obbligatorio sul sito ufficiale UTMB: come dargli torto? E allora ci siamo permessi di prendere in esame e consigliarvi alcuni capi d’abbigliamento.

Partiamo dallo zaino, visto che deve contenere tutto il resto. Le opzioni sono tante, ma in sostanza dipende da un fattore essenziale: avrete assistenza? Si può pensare ad uno zaino più snello. Ve la fate soli contando solo su sacca a metà strada? Allora serve un po’ più di spazio per essere sicuri. Per finiture e cura dei particolari, ci sono piaciute le nuove proposte Camelbak: l’ULTRA PRO VEST è la scelta per chi potrà contare sul supporto di amici e familiari, l’ULTRA 10 VEST è per tutti gli altri.

Entrambi sono stati progettati per soddisfare le esigenze di una gara come UTMB. Tessuto in 3D mesh per aumentare la traspirabilità e alleggerirne il peso. Il secondo può essere utilizzato sia con riserva idrica interna che con flask grazie alle apposite tasche frontali, l’ULTRA PRO fa affidamento solo sulle flask. Possibilità di riporre i bastoncini posteriormente e tasca anteriore per telefono, si differenziano nella distribuzione delle tasche laterali e posteriori e nella capacità. Se l’ULTRA PRO con i suoi 6 litri è al limite, l’ULTRA 10 offre decisamente più capacità di carico con i suoi 10 litri. Ampie possibilità di regolazione nell’ULTRA 10 e disponibilità in tre taglie per l’ULTRA PRO.

La giacca impermeabile è forse l’articolo chiave tra quelli in lista. Ci salverà in caso di pioggia, quindi waterproof  (minimo 10 000 colonne da regolamento, se sono di più tutto di guadagnato per voi), ma attenzione anche alla traspirabilità, e quindi al tipo di membrana utilizzata, visto che tendenzialmente vi state muovendo/correndo/strisciando. Tutte le cuciture dovranno essere nastrate e le zip sempre waterproof.  Non dovrà proteggerci solo dalla pioggia manche dal freddo e dal vento, quindi cappuccio ben avvolgente e regolabile e possibilmente alto sul davanti in modo da proteggere anche mento, bocca e naso. Dovrà avere un buon fitting asciutto, in modo che non ingombri, ma dovrà restare comoda nei movimenti, specie quelli delle braccia. Tirazip con cordino per facilitare l’apertura anche con guanti e mani gelate.

In DU usiamo la Montane Minimus Stretch Ultra Jacket, ci piace il design minimale, ma studiato nei particolari. Come il taglio della manica che facilita il movimento della corsa anche con i bastoni evitando che il fondo si alzi. Orlo sul fondo regolabile e cappuccio ergonomico con elastico posteriore e regolatori frontali. Tessuto 20 Denier PERTEX® SHIELD 2.5 layer waterproof . Leggero, morbido, elasticizzato e traspirante. Totalmente nastrata internamente e tutte le zip a prova d’acqua. E facilmente richiudibile in una tasca, così da non ingombrare troppo in uno zaino già strapieno. E ovviamente disponibile anche nella versione da donna.

Alla giacca va abbinato un pantalone impermeabile. Si spera sempre di non doverli utilizzare, quindi primo punto dovranno essere comprimibili al massimo, ma sempre waterproof, sempre con cuciture nastrate. Cercate una lavorazione del tessuto ripstop: eviterà lo strappo in caso di caduta o incontri ravvicinati con bastoncini, rami, rovi e varie. Zip laterali lunghe per poterseli infilare in modo rapido anche con le scarpe. Dovranno essere comodi ma non troppo larghi, in modo da non intralciare la corsa.

Montane  anche nella parte sotto usa il tessuto PERTEX® Shield ™, anche sui pantaloni Minimus Pants. Vita elasticata con regolatore. Zip sul fondo con doppio velcro di regolazione per poterli stringere su polpaccio e caviglia. Comodo sacchetto in rete per poterli comprimere e riporre nello zaino. Anche qui disponibile in versione femminile.

Montane Minimus Trousers

Altro capo chiave, il secondo strato. Il suo scopo principale è quello di scaldare e mantenere la temperatura corporea, deve però asciugarsi il più in fretta possibile se sudiamo. Non essere ingombrante indosso e ancora meno quando riposto nello zaino. Vi consigliamo uno stile “semplice” senza troppi fronzoli, inserti e cuciture e zip, visto che siamo quasi a contatto con la pelle. Rischiamo solo abrasioni inutili ed in più andrebbero ad interferire con quelle della giacca. E non dimentichiamo che abbiamo anche sempre lo zaino in spalla, carico e chiuso attorno al corpo.

Negli ultimi anni si è visto un grande ritorno alle fibre naturali, ma quello che a noi ha convinto maggiormente è la combinazione tra “sacro e profano” e cioè la speciale mescola tra lana Merino e PRIMALOFT® che Montane usa sui suoi capi della linea PRIMINO come il Montane Primino Long Sleeve 140 (qui nella versione da donna).

 

La lana ha da sempre la straordinaria proprietà di scaldare anche da bagnata (e non puzzare), il PRIMALOFT di espellere il sudore verso l’esterno ed asciugarsi in fretta. Particolarmente sottile e piacevole al tatto, può essere usata anche direttamente sulla pelle.

Così caldo e comodo che noi usiamo anche i guanti in PRIMINO: a nostro parere l’ideale è averne un paio snello, leggero e caldo, a cui abbinare un sovraguanto da infilare e togliere rapidamente in caso di pioggia o vento freddo, come il Montane Minimus Mitt leggerissimo (45 grammi!) e supercomprimibile.

 

 

Non è nel kit obbligatorio, ma spendiamo ancora due parole per l’insieme calza + scarpa. Perché su chilometraggi di un certo tipo, può fare la differenza tra finire o no. O anche solo tra finire, sorridere e godersi la cerimonia di premiazione in piedi o finire, essere incazzato e godersi la cerimonia sdraiato a letto con dolori lancinanti.

Passiamo la palla a Coach Davide che ci racconta il suo set-up preferito.

Per me, in una gara lunga, la primissima necessità è essere comodo. E potermi dimenticare di cosa succede lì sotto.
La prima cosa che guardo di una mia scarpa da ultra è quindi la calzata prima ancora dell’ammortizzazione: rarissimamente una scarpa mi ha fatto ricredere dopo un po’di uscite, il fatto che il piede stia bene, è spesso questione di amore a prima vista. Poi vengono tutti gli altri fattori, certo. In primis proprio l’ammortizzazione, perché diciamocelo, nessuno correrà come un ottocentista tra Trient e Vallorcine: serve una scarpa che perdoni e che non chieda troppo impegno muscolare. Poi la tenuta: sogniamo tutti di fare l’UTMB asciutto, ma capita raramente. E comunque anche in quegli anni, una scarpa che sulle lunghe discese verso Les Chapieux, La Fouly o Chamonix sta dove la metti è fondamentale. Avete mai fatto la discesa delle Pyramids verso il Lac Combal? Ecco, una suola decente lì ve la godete tutta. Però la scarpa da UTMB, per me deve anche essere leggera. Eh si, 20-30-40 ore con una scarpa ai piedi, non so quanti passi (ma sono tanti)… quei 200 grammi in meno diventano tonnellate. Se vale per lo zaino, vale ancora di più per le scarpe, no?

La scarpa che sto usando in tutte le mie gare risponde egregiamente a questi quattro dogmi, ed è la SPIN ULTRA di SCARPA. Calzata comoda, linguetta non troppo spessa per riuscire a sistemare bene l’allacciatura, ma neanche così scarna da non proteggere abbastanza. Soletta interna morbida, calzata con sistema Sock-Fit LW senza punti di frizione. E abbiamo sistemato la comodità. Ammortizzazione garantita dall’intersuola in EVA con doppio inserto su tallone ed avampiede e shank centrale antitorsione. 24/18 mm, suola importante senza diventare ingombrante. E abbiamo risolto la seconda. Suola Vibram dove al classico e comprovato Megarip e disegno con tasselli da 4mm, viene accoppiata la Litebase che permette di mantenere il peso totale a 270 gr. Sistemati anche i punti tre e quattro. Ci aggiungo come bonus il puntale stampato in 3D che protegge da pietre e radici quando non si è più proprio così sobri da gestire falcate kenyane.

SCARPA Spin Ultra

Come per tanti, nelle prime gare lunghe, lo stato in cui riducevo i miei piedi era qualcosa che affascinava, nella sua morbosità. Anche al mio primo UTMB, acqua e freddo mi avevano martoriato. Creme, fasciature, taping, camminate sui carboni ardenti nei mesi precedenti, non avevano cambiato nulla. Anzi. Poi sono stato negli States, e prima della Western ho visto che tanta gente usava queste calze buffe con le dita. Chiedo al mio pacer, compro ed uso in gara senza averle mai provate. Rivelazione. Da quel giorno, raramente ho corso gare lunghe senza Injinji.

 

Mi hanno liberato dal mio problema principale, che erano le vesciche tra le dita, e mi hanno sempre dato risultati ottimi anche in contesti terrificanti (WS 2017 neve, fango, detriti, poi 42°, polvere ed acqua addosso e guadi tutto il giorno).

A seconda del contesto uso le Original Weight o le Light Weight: le Mid Weight sono per me troppo spesse e mi piace un po’di “feeling” per non snaturare la scarpa. Io che sono vecchio uso ancora le No Show (perdono), ma ovviamente hanno l’altezza Crew che sembra essere diventata obbligatoria, pena la squalifica dal circolo di quelli che contano. Ok arrivare. Ma arrivare con un paio di calze a metà polpaccio è tutta un’altra cosa. Se vi sembrano un po’strane, ci vuole un attimo per abituarsi: mettetele dentro una scarpa e non le sentite più.

Ah: cambiare le calze è una botta di vita, fatelo anche tre/quattro volte in una gara lunga. Cambiare le scarpe, è sempre un pericolo: se non avete un motivo più che valido e lo fate tanto per avere una scarpa nuova e fresca, spesso bastano le calze.

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Ci vediamo a Chamonix, in fondo alla discesa, appena passato il ponte. Come dice il buon Fulvio, gli amici si va ad aspettarli lì.

UTMB madness

Difficile parlare di trail facendo finta che non esista l’UTMB.

E’come svegliarsi al mattino, scendere in cucina e trovare un elefante seduto al tavolo. Potete anche far finta di parlare della giornata lavorativa o della spesa da fare, ma l’elefante resta lì.

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Non esiste, non esiste, non esiste…

E allora nel mese dell’UTMB saliamo anche noi sul carrozzone. E sapete perché?

Perché a noi la settimana dell’UTMB piace. E le sue gare ancora di più.

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Perché girano intorno a quel benedetto massiccio che rappresenta il passato, presente (e speriamo anche futuro) dell’alpinismo, dello sci, della corsa in natura.

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Perché sa strappare un urlo al professionista sgamato, come a chi arriva dopo 46 ore.

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Perché è maledettamente bene organizzato.

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Perché abbiamo i nostri ricordi che tirano fuori ancora qualche sorriso.

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Perché un pensiero, volente o nolente, ce lo fanno tutti ad andare a Chamonix.

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E non ultimo, perché ci sono le nostre ragazze ed i nostri ragazzi che cercano di passare quello striscione.

Dovremmo restare a casa e far finta di niente? No, e allora nei prossimi giorni proviamo a portarvi in Savoia e spiegare cos’è per noi la “UTMB madness”.

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The DU crew